29 dicembre 2022

" Le nuvole" di Juan Josè Saer

 

di Giulietta Isola

“Con i miei cinque malati, mi sentivo come quei giocolieri del circo che fanno girare contemporaneamente su un tavolo cinque piatti in piedi sul bordo”

        Un viaggio apocalittico nel deserto ,nel comportamento umano e nella follia. Cinque pazzi stanno attraversando la pampa argentina : il giovane Prudencio Parra, un introverso catatonico dal pugno costantemente serrato, Troncoso, irrequieto, maniaco, brillante, autonomo, perennemente insonne ; Suor Teresita, una religiosa in preda a deliri mistico – sessuali, convinta di poter far convergere l’amore divino con quello carnale ben oltre ogni concetto di blasfemia, i fratelli Verde con il maggiore Juan che ripete sempre le stesse parole con modalità diverse , il minore, Verdecito, che si esprime attraverso pernacchie, grugniti e versi di ogni genere. 

       Devono raggiungere la Casa della Salute, un sanatorio all’avanguardia dove si crede che l’anima sia curabile perché altro non è che una mescolanza di sentimenti, passioni, immaginazioni, menzogne, verità, là i malati di mente, figli di gente ricca, godono di libertà ed assistenza. 

       L’accompagnatore dello stravagante gruppetto è Pichón Garay in possesso di un misterioso floppy disk che contiene il diario di Real, un medico del XIX secolo, allievo del dottor Weiss, un illuminato psichiatra austriaco. “Per la scienza che ne ha fatto il proprio oggetto di studio, i pazzi sono un enigma, ma per le famiglie in seno alle quali vivono, sono un problema”. Il dottor Weiss sa trattare i malati e li capisce, la sua teoria prevede il controllo della malattia psichiatrica attraverso il lavoro: la cura dell’orto, le riparazioni, la pittura.

       Il romanzo di Saer è incentrato prevalentemente sul viaggio, ma egli descrive con perizia e talento l’esperienza e i caratteri dei personaggi “matti distanti e ostinati”, l’ambiente della pampa, la piena invernale del fiume, la difficoltà di spostarsi su un terreno piuttosto impervio. I suoi matti sono provocanti, burloni, indefinibili, l’ignoto acquisisce forma e dimensione grazie ad una storia di rara bellezza e una scrittura impegnativa, ma poetica e profonda . 

       “Le nuvole” è una seria e profonda riflessione sulla follia che non ha alcuna presunzione di spiegare, è una finestra che ci offre l’opportunità di comprendere che tra ragione e follia c’è un legame più saldo di quanto si possa immaginare e non un grande divario come sarebbe facile pensare, perché in fondo “è la ragione a generare la pazzia”.

«Con il caldo, il silenzio della campagna vuota sembrò aumentare, come se tutte le specie che la popolavano, incapaci di muoversi, giacessero esauste e in letargo. Anche noi, che pretendevamo di regnare su tutte loro, eravamo come intorpiditi, uomini e donne, civili e soldati, credenti e agnostici, eruditi e analfabeti, sani di mente e pazzi, resi tutti uguali da quella luce accecante e quell’aria ardente che ci abbrutivano e, riducendoci alle stesse languide sensazioni, cancellavano le nostre differenze».

JAUN JOSE' SAER. LE NUVOLE. EDIZIONE LA NUOVA FRONTIERA

 

 

26 dicembre 2022

“La luce delle stelle morte” di Massimo Recalcati

 


 di Marigabri

[…] il solo modo di portare a compimento un lutto è quello di riconoscerne la strutturale incompiutezza.”

La vita oscilla tra la perdita e il desiderio e forse la sfida esistenziale è riuscire a mantenere l’equilibrio tra queste due polarità fondamentali del nostro essere al mondo.

In questo saggio Massimo Recalcati analizza le diverse modalità di gestire il dramma della scomparsa di una persona cara, sapendo bene che- Freud insegna- il lutto è un lavoro psichico profondo, un lungo e tortuoso processo che dovrà portare il soggetto al superamento della fissazione melanconica sull’oggetto perduto.

Ma, a differenza di quel che pensava Freud, anche quando il soggetto è in grado di aprire il suo desiderio verso altro/altri, cioè in termini tecnici reinvestire la sua libido sequestrata dal lutto, il peso della perdita non può essere mai del tutto alleviato.

       È lo Zarathustra di Nietzsche che, pur dichiarando il suo sì alla vita, dovrà portare sulle spalle il peso dell’acrobata precipitato dalla fune. Ovvero: il lavoro del lutto prevede sempre un resto, uno scarto, qualcosa che non si lascia né domare né dimenticare.

      Perché una parte di me se n’è andata con la persona scomparsa.

      E questo significa dolore. Irrimediabile dolore.

      Eppure la luce di chi mi ha lasciato continua e continuerà a splendere in me finché vivo. Come il bagliore delle stelle morte arriva al mio sguardo superando i limiti dello spaziotempo, assenza che si fa presenza, misteriosa e imperscrutabile, eppure vera.

      Ecco allora aprirsi un sentimento nuovo: la gratitudine. Che può intrecciarsi alla nostalgia perché “quello che è passato non è più tra noi ma, anziché diventare oggetto di un rimpianto regressivo, risplende nella sua assenza raggiungendoci come una visitazione inattesa”.

Massimo Recalcati. La luce delle stelle morte. Feltrinelli

 

 

 

24 dicembre 2022

"Rossa e plebea" di Luciano Luciani

 


Rossa e plebea
: pagine autobiografiche di Luciano Luciani

 Ladro di bicchieri nella notte di San Ranieri

di Giovanna Baldini

       Pagine autobiografiche, che raccontano di una formazione sentimentale e politica, l’ultimo libro di Luciano Luciani, Rossa e plebea. Pisa, mezzo secolo fa, Carmignani Editrice, 2022. Esse si concentrano su quel segmento di vita che abbraccia la fine della giovinezza e degli studi e le scelte lavorative a venire; anni che furono per lui e per quelli della sua generazione “formidabili”, connotati com’erano dall’impegno politico, dalla voglia di cambiare le cose, di migliorare il mondo, o, più modestamente, la società italiana attraverso l’educazione, l’istruzione e la scuola accessibili a tutti.

       Pisa, allora, era una città stimolante che viveva un grande fermento creativo e che nelle aule delle sue Università ospitava le menti più brillanti della cultura e della politica. Anche se, come si legge nel libro, l’autore conosceva appena l’esistenza della città della Torre pendente e furono solo il caso o il destino a metterlo in contatto, lui che proveniva da Roma caput mundi, con la realtà toscana. È, dunque, qui, a Pisa, mezzo secolo fa, come recita il sottotitolo, che Luciani, in fuga dalla sua città e migrante, si misura con se stesso e con le difficoltà del quotidiano: trovare casa e un lavoro dignitoso, contando solo sulle proprie forze e sull’amicizia generosa e sincera di alcuni studenti calabresi. Con loro condivise, addirittura, il furto di qualche decina di vetri infrangibili della Luminara di San Ranieri, patrono della città, un 16 di giugno: il primo servizio di bicchieri della sua vita!

       Tante le sconfitte e non pochi i malumori professionali e personali: mai, però, la rinuncia, l’abdicazione a un sogno di autonomia, la speranza in un futuro migliore per sé e per gli altri. Questo raccontano le pagine del libro insieme anche ai modesti successi e alle rare soddisfazioni, ottenute grazie alla solidarietà e alla partecipazione di molti compagni di strada e di Partito. 

       Era pieno di idee il giovane Luciani e non si arrendeva: come quando pensò di fare “qualcosa di sinistra”: per esempio, un doposcuola per i figli delle famiglie proletarie nei locali della Casa del Popolo della Cella, quartiere popolare alla periferia sudest di Pisa. Un’iniziativa che si rivelò capace di coinvolgere il fior fiore dell’intellighenzia pisana per aiutare i figli degli operai che la scuola pubblica maltrattava e umiliava. I bambini erano svogliati, i genitori disattenti, i voti sulle pagelle pessimi… Fu un’esperienza davvero fuori dall’ordinario: non solo i ragazzi alla fine furono promossi e i genitori tirarono un sospiro di sollievo, ma quei professori improvvisati toccarono con mano il significato vero, concreto, di espressioni come “selezione di classe”, che, fino a quel momento, avevano solo letto nelle pagine illuminanti e profetiche di don Milani.

       E poi le mitiche feste dell’Unità della periferia pisana, di cui l’autore dà un resoconto minuzioso: dalle specialità culinarie toscane preparate dalle compagne della Cella, al ballo, alla lotteria con un prosciutto in palio, al gioco del porcellino… Vengono, poi, riproposte all’attenzione del lettore anche iniziative pubbliche che ebbero allora una certa risonanza: il campeggio per adolescenti a Zeri, in Lunigiana, promosso dall’Amministrazione provinciale di Pisa e il soggiorno per anziani sulla Riviera romagnola, voluto dal Comune di San Giuliano. E Luciani sempre lì, presente, a partecipare.

      Accanto a tutto questo il libro non sorvola sulle battaglie politiche, le proteste degli studenti e degli operai, non dimentica l’aria di cambiamento che si respirava a Pisa in quegli anni, come il diritto allo studio, al lavoro, alla salute. Anni belli e duri, ma soprattutto belli, come ci appaiono oggi guardando tra le pagine alcune foto di manifestazioni che immaginiamo piene di striscioni colorati e di bandiere rosse.

       Tempi forse confusi, ma indimenticabili, che, poi, con gli anni di piombo diventarono terribili e bui. Ma a quel punto, il nostro protagonista, inquadrato nei ruoli della scuola, si è fatto professore… Non ha smemorato, però, a tutt’oggi, cosa accadde a Pisa, rossa, plebea e proletaria cinquant’anni prima. Quelle vicende e quei personaggi nessuno, per quanto ne so, è riuscito a raccontarle così bene come Luciano Luciani, che è romano e vive a Lucca.

Luciano Luciani, Rossa e plebea. Pisa, mezzo secolo fa, Carmignani Editrice, Pisa 2022, pp. 138, euro 15,00

19 dicembre 2022

“ La mia vita in bicicletta “ di Margherita Hack

 

 

di Carla Rosco

       Per scrivere di “La mia vita in bicicletta” di Margherita Hack vorrei partire da queste per me luminose parole: “Quell’anno avevano chiesto a me di condurre un corso di astrofisica ad Anterselva, sulle Dolomiti, in provincia di Bolzano. Fra i miei allievi c’era Massimo, un tipo anticonformista come noi (lei e il marito), capace ancora di indignarsi di fronte all’ingiustizia, alla stupidaggine e alla passiva rassegnazione davanti ai potenti, e con cui facemmo naturalmente amicizia”.

       Eccola la Margherita battagliera e capace di tenere alta la testa e vigile la mente, non solo per esplorare i mondi celesti.

       Una scoperta precoce la bicicletta e il piacere di fare lunghissime pedalate, anche a rotta di collo, giù per discese noncurante del pericolo: ”Con Andrea Falorni quell’estate del ’40 abbiamo girato molto in bicicletta ... un giorno ebbe l’idea di propormi di andare a Viareggio in bici ... Avevamo impiegato quasi dieci ore a fare i cento chilometri da Firenze a Viareggio e altrettante ce ne mettemmo a tornare, e finalmente verso le quattro di mattina eravamo a casa”.

        Nata a Firenze nel 1922, “allora il babbo era impiegato alla Valdarno, l’azienda elettrica toscana ... la mamma, che era maestra e diplomata all’Accademia delle Belle Arti, aveva lavorato come impiegata al telegrafo, e poi aveva lasciato quando ero nata io”, a Firenze cresce e frequenta le scuole.

        Nel maggio del 1940, in classe, durante l’intervallo c’è una discussione con alcune compagne sull’invasione tedesca di Danimarca, Olanda, Belgio: “Io stigmatizzavo questa prepotenza nazista, l’alleanza con Hitler, le vergognose leggi razziali”. Stavano per venire alle mani, quando entrò in classe il professore di matematica, fascista sfegatato. La Hack fu sospesa per venti giorni ed ebbe sette in condotta.

       All’università si era iscritta a Lettere, ma si annoiava; si ricordò allora che al liceo la materia preferita era fisica e cambiò subito facoltà, iscrivendosi a Fisica: “Al pomeriggio ci trasferivamo ad Arcetri, sul colle a sud di Firenze dove sorge  l’osservatorio astrofisico e dove Galileo, dopo esser stato costretto ad abiurare, aveva vissuto gli ultimi anni della sua vita ‘agli arresti domiciliari’ nella villa Il Gioiello”.

       Un passo dopo l’altro per una carriera davvero brillante: ha insegnato all’università di Trieste, divenendo in seguito professore emerito di astronomia; ha lavorato presso osservatori italiani, americani ed europei, oltre ad aver diretto quello di Trieste (1964 - 1987); ha collaborato con l’Agenzia Spaziale Europea (ESA).

       A settantacinque anni va in pensione, torna a giocare a pallavolo e a fare gite in bicicletta, poi però arrivano tre bypass: “dovrò decidermi ad attaccare la bicicletta al fatidico chiodo”.

 Margherita Hack. La mia vita in bicicletta, ediciclo editore