31 maggio 2019
"Nessun dorma... Fuori" di Pasquale Sgrò
La seconda indagine
dell'ispettore Carlo Felicino
di Luciano Luciani
L'ispettore Carlo Felicino, alla sua seconda indagine, si trova alle prese con due decessi misteriosi che scuotono la calda, pigra, sensuale e sempre uguale a se stessa estate versiliese. Morti che, in apparenza casuali e prive di nesso, lasciano, poi però, intravedere un inquietante filo conduttore che le lega. Un teatrino d'avanguardia e uno splendido yacht sono i luoghi in cui si consumano due feroci delitti travestiti da incidenti sul lavoro: solo la pazienza, l'intelligenza e la tenacia del nostro protagonista e dei suoi collaboratori riusciranno a fare piena luce su una trama tanto complessa quanto cupa e avvincente. Viareggio, la sua Darsena e il canale Burlamacca fanno da sfondo a una vicenda efferata, ricca di colpi di scena e percorsa dalle ragioni di una dolente umanità. Pagine, ancora una volta, capaci di esprimere la complessa politicità della vita quotidiana ai tempi della contemporaneità, il diffuso incanaglirsi delle relazioni sociali anche nella civile Toscana, il caos affettivo ed esistenziale dei giorni nostri.
Nessun dorma … fuori, 2018, conferma, una volta di più, come il romanzo poliziesco in buone mani rappresenti oggi il modo migliore per raccontare la realtà ed esprimere il generalizzato senso di malesere che ci tocca tutti da vicino: forse, il vero colpevole lo si può trovare, oltre che negli egoismi individuali, soprattutto nella globalizzazione e nella crisi finanziaria, nella disuguaglianza generalizzata e nello Stato sociale che non funziona.
Consulente alla sicurezza sui luoghi dove si svolgono le attività produttive, l'Autore, Pasquale Sgrò, calabrese d'origine e toscano di mare di adozione, ha dato vita alla figura dell' ispettore del lavoro Carlo Felicino: burbero ma giusto, questo "eroe indagatore" di tipo nuovo - come già dimostrato nel suo primo romanzo, Corpo morto a paratia, 2017 - difende strenuamente la legge e la legalità, senza accettare pressioni e condizionamenti da qualunque parte provengano: siano i ricchi e i potenti della comunità di appartenenza o i propri superiori gerarchici.
La sua vocazione? Quella degli sbirri di razza: cogliere il senso di fatti indecifrabili e nascosti in base a elementi poco apprezzati o trascurati dalla osservazione dei più. Le stesse qualità di Pepe Carvalho, l'indimenticato protagonista dei romanzi di Vazquez Montalban - di cui Felicino condivide anche il piacere per la buona cucina – o del testardo Kostas Charitos, il commissario ateniese inventato dal greco Petros Markarīs. Instancabile come loro nella sua ricerca investigativa, scrupoloso e metodico, lo “sceriffo” viareggino non molla la presa sino a quando verità e giustizia non siano ristabilite e il colpevole finalmente consegnato alla giustizia.
Pasquale Sgrò, Nessun dorma... Fuori, Collana Giallo e Nero, Mauro Pagliai Editore, Firenze 2018, pp. 158, Euro 13,00
21 maggio 2019
"Il Fauno scomparso" di Cristiana Vettori
Il mistero di Poppi
di Luciano Luciani
Se dovessimo identificare "cromaticamente" questo romanzo di Cristiana Vettori diremmo tra il giallo - inteso come romanzo d'indagine - e il rosa shocking, perché vicenda raccontata con gli occhi di una giovane donna. Quelli di Emma, giovane scrittrice di guide turistiche, casentinese di nascita e pisana d'adozione, che nel corso di una permanenza a Poppi, sua terra d'origine, - per una, come si suol dire, pausa di riflessione da un compagno che è insieme "troppo" e "troppo poco" - si imbatte nel mistero del Fauno: ovvero, la scultura di un giovanissimo Michelangelo, svanita nel nulla nella tragica estate del '44, durante la ritirata dei tedeschi dalla Toscana, incalzati dalle truppe Alleate.
A distogliere Emma dal suo lavoro di competente compilatrice e dai pensieri di una storia d'amore problematica per non dire traballante, interviene una strana presenza: un uomo affascinante, di mezza età e dall'accento tedesco, che da qualche settimana, sistematicamente e in grande solitudine, batte il paese dei conti Guidi, frequentandone la biblioteca, il castello, le chiese, i palazzi... È Peter, nipote di un ufficiale della Wehrmacht di stanza nel Casentino durante gli anni della guerra innamoratosi di una bella casentinese figlia di un partigiano, poi ritrovata fortunosamente e sposata negli anni immediatamente successivi al conflitto. Ma sono solo le memorie familiari a riportare Peter in quell'area della Toscana interna e in quel borgo unanimemente reputato tra i più belli d'Italia? O ci sono altre ragioni, recondite e meno confessabili? Certo è che in quel terribile agosto di 75 anni prima, numerosissime opere d'arte di eccezionale valore - Botticelli, Raffaello, Tiziano, Michelangelo, Beato Angelico... - provenienti dai musei fiorentini e incassate per sottrarle alle violenze della guerra furono sistemate nel castello che aveva ospitato Dante, nelle ville e nei monasteri dei dintorni per poi prendere la via della Germania nazista. Tutti tornati poi in Italia quei capolavori, tranne la maschera di Fauno, opera di un Michelangelo ancora adolescente, di cui sembra non essere rimasta nessuna traccia. E Peter è un volgare avventuriero o un uomo sinceramente preoccupato delle ferite lasciate ancora aperte dalla guerra e impegnato in una lodevole opera di risarcimento?
Tra le perplessità dei compaesani e qualche chiacchiera - si sa il paese è piccolo e la gente mormora -, la protagonista e il suo nuovo accompagnatore tentano di mettere insieme lacerti di informazioni, ricordi di chi c'era, memorie di memorie e molti "sentito dire"... Per poi ripiegare, malinconicamente, sulla constatazione della impossibilità di ritrovare, almeno al momento, il Fauno michelangiolesco. Condividono, però, i due un impegno: fare il possibile per impedire che si rinnovi il clima di odii e di inimicizie che appena ieri aveva sfigurato il volto del Novecento. Mai più guerre tra i popoli d'Europa, mai più violenze, frutti velenosi di ideologie intolleranti e totalitarie. E, come avviene nei migliori romanzi di formazione, la protagonista, l'Emma che ritorna a Pisa, non è più la stessa che ne era partita. È una donna cresciuta: più consapevole del suo ruolo nel mondo, meno vincolata da obblighi sentimentali, più capace di scegliere, volta per volta, le tappe e i modi della propria esistenza. Più forte e più libera.
L'Autrice, Cristiana Vettori, docente, psicologa, curatrice di antologie di poesie e narrativa, racconta bene e ci partecipa con utile leggerezza una storia di stringente attualità, collocata tra un passato recente e la contemporaneità, densa di moniti per un futuro che tutti noi percepiamo procedere in direzione di un abisso, le cui forme non riusciamo neppure a immaginare.
Cristiana Vettori, Il fauno scomparso, Edizioni Helicon, Arezzo 2018, pp. 198. Euro 14,00
.
di Luciano Luciani
Se dovessimo identificare "cromaticamente" questo romanzo di Cristiana Vettori diremmo tra il giallo - inteso come romanzo d'indagine - e il rosa shocking, perché vicenda raccontata con gli occhi di una giovane donna. Quelli di Emma, giovane scrittrice di guide turistiche, casentinese di nascita e pisana d'adozione, che nel corso di una permanenza a Poppi, sua terra d'origine, - per una, come si suol dire, pausa di riflessione da un compagno che è insieme "troppo" e "troppo poco" - si imbatte nel mistero del Fauno: ovvero, la scultura di un giovanissimo Michelangelo, svanita nel nulla nella tragica estate del '44, durante la ritirata dei tedeschi dalla Toscana, incalzati dalle truppe Alleate.
A distogliere Emma dal suo lavoro di competente compilatrice e dai pensieri di una storia d'amore problematica per non dire traballante, interviene una strana presenza: un uomo affascinante, di mezza età e dall'accento tedesco, che da qualche settimana, sistematicamente e in grande solitudine, batte il paese dei conti Guidi, frequentandone la biblioteca, il castello, le chiese, i palazzi... È Peter, nipote di un ufficiale della Wehrmacht di stanza nel Casentino durante gli anni della guerra innamoratosi di una bella casentinese figlia di un partigiano, poi ritrovata fortunosamente e sposata negli anni immediatamente successivi al conflitto. Ma sono solo le memorie familiari a riportare Peter in quell'area della Toscana interna e in quel borgo unanimemente reputato tra i più belli d'Italia? O ci sono altre ragioni, recondite e meno confessabili? Certo è che in quel terribile agosto di 75 anni prima, numerosissime opere d'arte di eccezionale valore - Botticelli, Raffaello, Tiziano, Michelangelo, Beato Angelico... - provenienti dai musei fiorentini e incassate per sottrarle alle violenze della guerra furono sistemate nel castello che aveva ospitato Dante, nelle ville e nei monasteri dei dintorni per poi prendere la via della Germania nazista. Tutti tornati poi in Italia quei capolavori, tranne la maschera di Fauno, opera di un Michelangelo ancora adolescente, di cui sembra non essere rimasta nessuna traccia. E Peter è un volgare avventuriero o un uomo sinceramente preoccupato delle ferite lasciate ancora aperte dalla guerra e impegnato in una lodevole opera di risarcimento?
Tra le perplessità dei compaesani e qualche chiacchiera - si sa il paese è piccolo e la gente mormora -, la protagonista e il suo nuovo accompagnatore tentano di mettere insieme lacerti di informazioni, ricordi di chi c'era, memorie di memorie e molti "sentito dire"... Per poi ripiegare, malinconicamente, sulla constatazione della impossibilità di ritrovare, almeno al momento, il Fauno michelangiolesco. Condividono, però, i due un impegno: fare il possibile per impedire che si rinnovi il clima di odii e di inimicizie che appena ieri aveva sfigurato il volto del Novecento. Mai più guerre tra i popoli d'Europa, mai più violenze, frutti velenosi di ideologie intolleranti e totalitarie. E, come avviene nei migliori romanzi di formazione, la protagonista, l'Emma che ritorna a Pisa, non è più la stessa che ne era partita. È una donna cresciuta: più consapevole del suo ruolo nel mondo, meno vincolata da obblighi sentimentali, più capace di scegliere, volta per volta, le tappe e i modi della propria esistenza. Più forte e più libera.
L'Autrice, Cristiana Vettori, docente, psicologa, curatrice di antologie di poesie e narrativa, racconta bene e ci partecipa con utile leggerezza una storia di stringente attualità, collocata tra un passato recente e la contemporaneità, densa di moniti per un futuro che tutti noi percepiamo procedere in direzione di un abisso, le cui forme non riusciamo neppure a immaginare.
Cristiana Vettori, Il fauno scomparso, Edizioni Helicon, Arezzo 2018, pp. 198. Euro 14,00
.
16 maggio 2019
" I sogni del vecchio marinaio e altri racconti" di Beppe Calabretta,
di Luciano Luciani
A volte ritornano... Si tratti di lontani parenti emigrati e poi dispersi in inospiti plaghe patagoniche o neozelandese; oppure, di antichi rimorsi per il non detto e il non fatto nel corso della propria deprecabile esistenza; o anche di sogni, sempre uguali a se stessi, tranne qualche piccolissima variante, appena un dettaglio, importantissimo, che comunque svanisce come neve al sole appena ti svegli e la sua ricerca assillante basta e avanza per rovinarti la giornata...
A volte anche i racconti ritornano. Magari perché a essi e al loro Creatore pare di non aver adempiuto sino in fondo al destino per cui erano stati faticosamente fatti emergere dal Gran Magma delle Storie e dal Caos dell'Ispirazione. O, più semplicemente, si riaffacciano perché ritenuti finalmente maturi per un pubblico che sembra aver aver mutato in meglio rispetto a un tempo precedente gusti e sensibilità. In fondo non è male tornare sulle storie, vere o inventate, di una volta e riproporle affinché qualcuno possa coglierne meglio gli umori profondi, i significati più intimi, i risvolti più riposti. Simili, questi "racconti lontani", a buoni vini ben adatti all'invecchiamento che impreziosiscono col tempo.
Vengono da lontano le storie raccontate in questa seconda sezione dell'antologia. Addirittura dal secolo scorso e da un'esperienza editoriale tanto generosa quanto sfortunata che forse qualcuno potrebbe - anche questa - "tornare" a raccontare. Comunque, se l'Autore ha deciso di riproporre i suoi racconti di allora sta a significare che, a suo parere, possono presentare ancora una qualche loro utilità al pubblico dei Lettori di oggi
E purtroppo, dobbiamo ammetterlo, ha ragione: perché la catastrofe planetaria evocata nel racconto Grani di sabbia, contrappuntata dalle immagini della straordinaria bellezza della basilica di San Frediano a Lucca, incombe perenne su di noi e il fatto che se ne parli sempre meno invece di tranquillizzarci dovrebbe, piuttosto, allarmarci di più e di più; le pagine di Guglielmo ci ricordano melanconicamente che spesso dentro di noi c'è un male subdolo come un tumore che ti piglia alla gola e sembra metterti in relazione diretta col Dolore. Ti nasce dentro, senza un motivo apparente, non ti lascia mai e tu non sai neppure dargli un nome: qualcuno l'ha chiamato depressione, ma forse è un termine alquanto riduttivo. È la qualità della vita che peggiora, le relazioni familiari e amicali che degradano, lo studio e il lavoro che si fanno sempre più deludenti, mentre il cibo non dà più piacere né il sonno riposo... Tutto è sofferenza. Puro disagio, fatica di vivere e ricerca senza scampo di una qualsivoglia via di fuga che non si riesce a individuare, siccome non si accetta l'idea di farsi aiutare, perché non è mai facile ammettere la propria impotenza.
La pescia, invece, è una favola ecologica. In essa il degrado ambientale indotto e accelerato dall'egoismo umano imposto alla Natura viene letto con gli occhi ingenui e l'elementare consapevolezza di un'abitante dei fondali del Serchio: un pesce, meglio una pescia, un pesce femmina, a cui l'Autore attribuisce doti di maggiore sensibilità e uno sguardo più lungo circa il destino degli esseri minori, minimi, più fragili e indifesi. E così anche il loro dolore, anche la loro sofferenza entrano nel circuito insensato del male universale e eterno dove non c 'è requie, responsabiltà, vergogna.
Beppe Calabretta, I sogni del vecchio marinaio e altri racconti, Tralerighe Libri, Lucca 2018. pp. 96, Euro 14.00
A volte ritornano... Si tratti di lontani parenti emigrati e poi dispersi in inospiti plaghe patagoniche o neozelandese; oppure, di antichi rimorsi per il non detto e il non fatto nel corso della propria deprecabile esistenza; o anche di sogni, sempre uguali a se stessi, tranne qualche piccolissima variante, appena un dettaglio, importantissimo, che comunque svanisce come neve al sole appena ti svegli e la sua ricerca assillante basta e avanza per rovinarti la giornata...
A volte anche i racconti ritornano. Magari perché a essi e al loro Creatore pare di non aver adempiuto sino in fondo al destino per cui erano stati faticosamente fatti emergere dal Gran Magma delle Storie e dal Caos dell'Ispirazione. O, più semplicemente, si riaffacciano perché ritenuti finalmente maturi per un pubblico che sembra aver aver mutato in meglio rispetto a un tempo precedente gusti e sensibilità. In fondo non è male tornare sulle storie, vere o inventate, di una volta e riproporle affinché qualcuno possa coglierne meglio gli umori profondi, i significati più intimi, i risvolti più riposti. Simili, questi "racconti lontani", a buoni vini ben adatti all'invecchiamento che impreziosiscono col tempo.
Vengono da lontano le storie raccontate in questa seconda sezione dell'antologia. Addirittura dal secolo scorso e da un'esperienza editoriale tanto generosa quanto sfortunata che forse qualcuno potrebbe - anche questa - "tornare" a raccontare. Comunque, se l'Autore ha deciso di riproporre i suoi racconti di allora sta a significare che, a suo parere, possono presentare ancora una qualche loro utilità al pubblico dei Lettori di oggi
E purtroppo, dobbiamo ammetterlo, ha ragione: perché la catastrofe planetaria evocata nel racconto Grani di sabbia, contrappuntata dalle immagini della straordinaria bellezza della basilica di San Frediano a Lucca, incombe perenne su di noi e il fatto che se ne parli sempre meno invece di tranquillizzarci dovrebbe, piuttosto, allarmarci di più e di più; le pagine di Guglielmo ci ricordano melanconicamente che spesso dentro di noi c'è un male subdolo come un tumore che ti piglia alla gola e sembra metterti in relazione diretta col Dolore. Ti nasce dentro, senza un motivo apparente, non ti lascia mai e tu non sai neppure dargli un nome: qualcuno l'ha chiamato depressione, ma forse è un termine alquanto riduttivo. È la qualità della vita che peggiora, le relazioni familiari e amicali che degradano, lo studio e il lavoro che si fanno sempre più deludenti, mentre il cibo non dà più piacere né il sonno riposo... Tutto è sofferenza. Puro disagio, fatica di vivere e ricerca senza scampo di una qualsivoglia via di fuga che non si riesce a individuare, siccome non si accetta l'idea di farsi aiutare, perché non è mai facile ammettere la propria impotenza.
La pescia, invece, è una favola ecologica. In essa il degrado ambientale indotto e accelerato dall'egoismo umano imposto alla Natura viene letto con gli occhi ingenui e l'elementare consapevolezza di un'abitante dei fondali del Serchio: un pesce, meglio una pescia, un pesce femmina, a cui l'Autore attribuisce doti di maggiore sensibilità e uno sguardo più lungo circa il destino degli esseri minori, minimi, più fragili e indifesi. E così anche il loro dolore, anche la loro sofferenza entrano nel circuito insensato del male universale e eterno dove non c 'è requie, responsabiltà, vergogna.
Beppe Calabretta, I sogni del vecchio marinaio e altri racconti, Tralerighe Libri, Lucca 2018. pp. 96, Euro 14.00
14 maggio 2019
"Gregorio con la sua roulotte" di Silvia Chessa
Il soggetto, il signor Gregorio, ritratto da
Alessandro Lanciotti con singolare capacità veristica ma anche poetica, si
staglia con una evidenza teatrale e scultorea, balzando in primissimo piano, e
rammentando qualche canuto ma invincibile eroe omerico.
La barba lunga, più bianca che grigia, la folta
capigliatura, anch'essa piuttosto imbiancata, il volto scavato da profonde
rughe ma molto abbronzato, benché in inverno, i lineamenti marcati, i muscoli
che affiorano dalle braccia, la forza e l'energia messe anche in un gesto
minimo come quello di tenere in mano una sigaretta, .. questo complesso di
elementi denota essenzialmente due cose.
La prima è che siamo di fronte ad un volto
parlante, segnato dalla strada, rappresentativo quindi di una moltitudine di
altri volti e di una infinita stratificazione di epoche, quali solo la strada
accoglie, accumula e consegna a chi la vive così da vicino, homeless, creature
ai margini, poveri o non integrabili, per la banale e feroce logica della
globale economia e della società moderna.
La seconda evidenza è che, da uomo di strada, la
sua vera età non sarà mai chiaramente decifrabile e conoscibile da noi che lo
osserviamo. Potrebbe essere molto anziano, ma anche un uomo di mezza età,
poiché si appalesa quella caratteristica tipica di chi ha un passato pesante:
il divario fra età dimostrata ed età anagrafica. E questo mistero rende il
soggetto ancora più emblematico e sfuggente, in quanto incuriosisce, senza
lasciarsi inquadrare.
Accanto a Gregorio la sua casa: una roulotte. La
roulotte, dimora già di per sè fragile e precaria, sembra, accanto a Gregorio,
ancor più piccina: surreale per dimensioni, sebbene nessun ritocco ottico o
filtro abbia potuto ottenere questo impressionante effetto, a parte la
prospettiva acuta e sensibile da cui si è posto il fotografo. Come un
giocattolo a paragone della grandezza di lui, la roulotte ci appare qual fosse
un suo sogno (il sogno di Gregorio, incubo od ossessione), venendo ad acquisire
la qualità della proiezione poetica, oltre a quella realistica di essere una
cosa vera, ma talmente sproporzionata da sembrare qualcosa abitato dallo
spirito di Gregorio e non, viceversa, abitabile da Gregorio.
![]() |
Foto di Alessandro Lanciotti |
La prospettiva del fotografo ha il dono di
rafforzare questo aspetto, cosicché la valenza allegorica e morale del ritratto
fotografico appare ineluttabile e viene da desumere che l'artista si sia mosso
e recato di proposito verso la periferia, non solo materiale ma umana, per
riportare, al centro, appunto, la centralità dell'uomo: che abbia incontrato e
voglia presentarci Gregorio come un grande uomo, un personaggio mitico
costretto, dal fato, in una casetta in miniatura, confinato in periferia, in
una vita angusta e risicata, in una società limitata ed ingiusta, in una cornice
sociale e in uno spazio abitativo, insomma, inadeguati alla sua tempra, alla
sua forza ed alla sua caratura. Le luci di un tenue tramonto arrivano da dietro
fino alla linea laterale del volto di Gregorio, cercando un varco fra i suoi
capelli, ma vengono arrestate da una densità impenetrabile.. forse i segreti,
luci ed ombre, custoditi dentro e portati con sé, resteranno insondabili per
sempre, da chi non ha combattuto e non immagina, ma soprattutto si rifiuta di
farlo, le tante -troppe!- battaglie dell'uomo della roulotte.
05 maggio 2019
"Barga, viaggio nella Garfagnana" di Gianni Quilici
![]() |
Acquerello di Umberto Vittorini -1957- |
1
maggio 2019. Desiderio di altro. Altro paese, altro paesaggio, altro tempo. Ma
dove? Ci penso, ma niente mi attrae. O il paese è troppo lontano. O già troppo rivisto. Alla fine decido: Barga. A metà tra
la cittadina e il paese è il più
medievale e ricco di sorprese della Garfagnana, penso. Ci sono stato tuttavia
più volte. Mi convinco, però, che abbia senso rivederla. Ho visto in
superficie: la bella porta, i vicoli, il Duomo in alto, ma ho fotografato più
che osservato.
Sulla
strada una fila di moto argentate, di grossa cilindrata, potenti, una dietro
l’altra sfilano lentamente davanti agli occhi. Mi piacciono? Sì, ma provo un
leggero fastidio. Forse perché non ho mai guidato una moto, solo motorini, e
immagino l’autocompiacimento di chi ne è alla guida con quella potenza
scattante, i manubri alti e larghi che danno al pilota una sembianza quasi
ieratica.
Nel
parcheggio in basso l’erba è piena di margherite fitte, che fanno primavera,
anche se il cielo è multiforme: grigio, scuro con chiazze celestine.
La
porta Mancianella ( o Porta Reale) prosegue con un alto muraglione che arriva
ad una villa (chiusa), mentre sottostante la piazza rettangolare adibita a
parcheggio (infatti è sempre piena di
macchine), è fiancheggiata da una fila di platani, protesi nudi come braccia
verso il cielo.
Alla
fine di questa piazza si sale con brevi, verdeggianti gradinate verso il
monumento in bronzo dedicato a Antonio Mordini, garibaldino e poi senatore
barghigiano al primo Senato dell’Italia Unita. Una collocazione teatrale in
alto con lo sfondo dell’aria e con enormi sassi ai piedi. Salendo appena si
arriva ad un bastione su cui si erge un maestoso cedro del Libano
piantato-leggo- nel 1823.
Rientrando
dalla porta si prende la via delle mura, che sale stretta, si incontra un
giardino con panchine, un palazzo liberty, il conservatorio e la chiesa di S.
Elisabetta, oggi chiuse, e poi ecco le scale scenografiche che salgono al
Duomo.
Sul
piazzale largo e quasi solitario la bellezza della facciata del Duomo, la
distesa dei tetti e delle terrazze della antica e nuova Barga e un paesaggio
che dalle Alpi Apuane prosegue con gli Appennini e le Pizzorne nello sfondo di
un cielo rabbuiato.
Davanti
al Duomo il sagrato marmoreo e l’interno ci accoglie nel silenzio appena appena
illuminato da una luce che filtra dalle finestre romaniche chiuse da lastre di
alabastro egiziano. A parte le acquasantiere lucenti del XII e XIII secolo è il
Pulpito l’ornamento più rilevante e prezioso. Ha la forma di cassa rettangolare
ricco di sculture ai lati, è sorretto da quattro colonnine, che poggiano su due
tranquilli leoni, che tengono tra i loro artigli rispettivamente un drago e un
uomo.
Fuori
nel piazzale un gruppo folto di ragazze e ragazzi disposti in circolo stanno
giocando. Li fotografo e capisco che c’è una di quelle competizioni fatte con
il sorriso sulle labbra. Dirige uno di loro che, a un certo punto, stabilisce
chi ha vinto tra i due gruppi. Tutti bravi, dice, ma per i video ecc, ecc. assegna la vittoria agli “arancioni” tra
sorrisi e mugugni.
“Ci
potrebbe fare una foto?” mi chiedono, consegnandomi un cellulare e una macchina
fotografica. Si mettono in fila uno accanto all’altro ed io scatto, chiedo un’esultanza
e riscatto. Inizia a pioviscolare. Ci sarebbero ancora tanti luoghi da vivere:
la Porta Macchiaia con i resti di mura, l’acquedotto, le piazze centrali con la
Loggia dei Mercanti, il Teatro e lì a un passo la loggetta del Podestà, oggi
Museo storico, ma scendendo lungo una
carraia, coprendo la testa con un fazzoletto “non è che l’inizio” penso.