25 dicembre 2008

"Un terribile amore per la guerra" di James Hillman


di Emilio Michelotti

Gli estimatori di James Hillman sanno che dal grande vegliardo della psicoanalisi americana non devono aspettarsi rigore e scientificità. Anche in questa recente fatica balzano in primo piano più che ineguaglianze e ingiustizie, nazionalismi e imperialismi, figure archetipiche capaci, a suo dire, di condizionare l’umano agire.

Come in René Girard, l’opzione per la pace di Hillman non nasce da una visione ottimista della ‘natura umana’, anzi. Per entrambi, seppure – mi pare - con differenti scrupoli di legittimità, antropologica, violenza e sacro – considerati costruttori della civilizzazione della ‘scimmia nuda’ – si identificano.

L’invito provocatorio è quello di aprire gli occhi su questa terribile verità: la guerra sarebbe pulsione primaria e ambivalente, dotata di una carica libidica al pari dell’amore e della solidarietà. Ogni scelta pacifista sarà vana finché Ares non verrà riconosciuto come forza primordiale accanto ad Afrodite.

Più che un’incarnazione del Male la guerra è, per Hillman, una costante costitutiva dell’umanità, in grado di determinare il nostro comportamento tanto più potentemente quanto più ne rinneghiamo la cogenza.

James Hillman, Un terribile amore per la guerra, traduzione di Adriana Bottini, Adelphi Edizioni, Milano 2005.