07 marzo 2009

"Donne Donne" di Marco Vichi


di Gianni Quilici


Marco Vichi è conosciuto soprattutto per la (fortunata) serie sul commissario Bordelli, di cui nulla ho (finora) letto.

Leggo invece Donne Donne e penso immediatamente a Bukowski (pure all'Henry Miller parigino, però, più barocco, più filosofeggiante) per il desiderio ossessivo verso le donne come corpo, come idea e perché il protagonista vive nel pieno della precarietà (a corto continuo di soldi, in un caseggiato malandato della periferia fiorentina, con romanzi e racconti non pubblicati), bevendo di continuo, fumando e scrivendo.

Poi, ancora di più, ci ho trovato John Fante per quella felicità esistenziale del vivere e del voler vivere con quel briciolo di ingenuità quasi adolescenziale di chi vede comunque, anche tra le precarietà e la depressione, un avvenire luminoso di scrittore famoso ecc, ecc.

Questa presenza di John Fante è confortata poi dallo stesso io narrante, Filippo Landini, che lo esplicita come modello e mito. Marco Vichi comunque non è imitatore, ma narratore vero, uno scrittore che ha in sé l'arte del raccontare. Uno scrittore vitalistico del filone che da Knut Hamsun arriva fino a Bukowski (e oltre). Per due ragioni.

Una stilistica. Nella prosa di Vichi c'è una tensione continua, che è lo stesso desiderio di vita del protagonista. I fatti si succedono spesso veloci in frasi brevi, spezzate. E' il tempo della ricerca del piacere, che ha come fulcro luminoso la donna, le donne: la donna scontrosa e fuggitiva, spregiudicata e seduttiva, attraente e verginale, annoiata e desiderosa, libera e trasgressiva, tragica e misteriosa.

Una costellazione di donne cercate, desiderate, inseguite, volute, possedute, lasciate. Non soltanto, però, un romanzo sulle donne, ma anche un romanzo sull'impossibilità di un piacere vero, profondo, che si sviluppi attraverso una storia che trasformi. In questo senso è un romanzo molto attuale, perché rappresenta nel profondo un processo ciclico di desiderio-consumo-dolore/indifferenza. Un consumo continuo, che lascia nevroticamente inappagati.

Non c'è però serialità in questa galleria di donne. C'è uno scrittore che conosce i suoi personaggi, li sa descrivere e far vivere nella loro carnosità e psicologia, anche quando sono fugaci comparse. Alcuni di questi personaggi sono indimenticabili: Aznavour e Porciatti, che, essendo figure maschili, hanno pure una maggiore continuità, ma anche le figure femminili si stampano nell'immaginario: Marina, l'amore irraggiungibile, scontrosa, selvaggia, imprevedibile, misteriosa o Barbara, colta, agiata, aperta, libera...

La seconda ragione del suo vitalismo è, per così dire, filosofica.
L'ideologia che percorre il romanzo è la vita come flusso di desideri da cogliere voracemente e da rappresentare. Vivere e scrivere insomma in uno spazio in cui muoversi liberamente. Senza gerarchie sociali, ma semmai con una fraterna (ma anche acida) solidarietà nei confronti dei più vitali tra coloro che vivono ai margini. Non esiste invece una responsabilità più collettiva. Non esiste la società organizzata, la società politica. Il mondo sembra racchiuso tra queste coordinate: l'io-le donne-lo scrivere-il successo. Qui dentro c'è luce, bellezza, movimento, disperazione.

Curioso il finale. Il romanzo sembra finito. Filippo Landini si trova a Parigi. Cerca Marina, fuggita a sua insaputa. La cerca. Non la trova. Incontra qualche altra donna. Compra un dolce arabo, arancione e appiccicoso. Lo mangia. “Nella mia testa non c'era più nessuna donna” racconta. “Se n'erano andate tutte. Tutte... tranne Anna”.
Qui potrebbe finire anche il romanzo. Il protagonista è rimasto solo e frustrato, però all'orizzonte c'è un nuovo desiderio. Invece no. Inizia un nuovo capitolo, inutile. “Alcune donne di Filippo Landini”, che mentre non aggiunge nulla toglie invece la risonanza del finale.

Marco Vichi. Donne Donne. Guanda. Pag. 295. Euro 16.00