05 marzo 2009

Due testi-autori a confronto: Sigmund Freud e Franco Rella


di Emilio Michelotti


Ciò che infine ci custodisce
è il nostro essere senza protezione

Rainer Maria Rilke



A partire dallo scoppio della prima guerra mondiale e fino alla sua morte, avvenuta nel 1939, Freud, accanto alla revisione della dottrina delle pulsioni, va elaborando, con scritti come Psicologia delle masse e analisi dell’io, Il disagio della civiltà, Mosè e il monoteismo, una sorta di psicoantropologia, per la quale aveva già gettato le basi teoriche in saggi come Totem e tabù e, appunto, queste Considerazioni, del 1915.

Per Freud, almeno fino a questa data del tutto in controtendenza, l’istituzione statale, come tale, non è intrinsecamente violenta. Le radici della guerra vanno ricercate nella psiche individuale, nei moti pulsionali che albergano in ognuno di noi. Pulsioni, egli dice, né buone né cattive: è la “coercizione educativa” a combattere quelle che la società considera inclinazioni egoistiche e crudeli.

Ma l’educazione non sarebbe sufficiente se non trovasse un fondamento nell’erotismo, nel bisogno di amore, che insegna ad apprezzare di essere amati come un vantaggio, per il quale vale la pena di rinunciare ad altri vantaggi. Così le pulsioni egoistiche si trasformerebbero in pulsioni sociali.

Nel corso della storia l’azione della costrizione esterna avrebbe finito per costituire una predisposizione alla trasformazione dell’egoismo in socialità, che potrebbe essere progressivamente in aumento con l’evoluzione della civilizzazione. Ma, attenzione, la “buona condotta” è una “ipocrisia”, perché costringe a reprimere e ad inibire istinti basilari, che restano disponibili a cogliere ogni opportunità per manifestarsi. Potremmo, insomma, credere di essere più civili di quanto realmente siamo.

E’ nota la posizione freudiana sulle civiltà di massa: allorché le folle si riuniscono, è come se tutte le conquiste morali dei singoli fossero cancellate, “sicché rimangono solo gli atteggiamenti psichici più primitivi, più antichi e più rozzi”. Il carattere stesso dell’originario imperativo “non uccidere” non farebbe che dimostrare quanto forte sia la tendenza ad annullare l’altro, il nemico.

La guerra mette a nudo i desideri inconsci, ci libera dalle tarde conquiste della civiltà e lascia riapparire l’uomo primitivo e con esso l’odio dal “carattere primordiale”. Perché, ed è un punto decisivo, l’aggressività, stornata da oggetti esterni, si rivolge al soggetto sottoponendolo a una forte pressione interna. La guerra, l’aggressione verso l’altro, potrebbe essere una difesa contro la conflittualità interna, contro la sofferenza e lo squilibrio provocati da questa ed emersi al livello della coscienza.

Il tema freudiano della coscienza come territorio di scontro, come scudo protettivo contro gli stimoli interni ed esterni è ripreso ed ampliato da Rella: “Le pulsioni interne cercano di raggiungere una meta antica, seguendo vie ora vecchie ora nuove”. Vi sarebbero due gruppi di pulsioni, alla base dell’aggressività: uno che spinge al ripristino della condizione inanimata originaria, all’odio e alla morte, l’altro che spinge alla vita e al mutamento.

Il sistema della percezione cosciente sarebbe dunque nient’altro che una costruzione difensiva nei confronti degli stimoli esterni che potrebbero turbarne l’assetto. Anche gli stimoli interni (il ritorno del rimosso) verrebbero proiettati all’esterno e riconosciuti come stimoli esterni: “Questo”, dice Rella, “è il tempo della scienza e del progresso come noi lo conosciamo” (p.123). Figlia diretta del ritorno del rimosso – di ciò che pareva superato e vinto – è la coazione a ripetere che, invece, “ignora questo tempo, il tempo lineare e cumulativo della scienza”, ed è portatrice delle ragioni della sfera pulsionale inconscia, legata alle spinte verso la morte e l’inorganico.

“Se vuoi la vita prepara la morte”. Freud così conclude le Considerazioni attuali . Ogni formazione contiene di fatto anche ciò che vuol negare: la coscienza è anche il luogo dell’inconscio, del conflitto e della tensione. Riconoscere che le due pulsioni (i “due tempi” nella visione di Rella) – di vita e di morte – coesistono, significa riconoscere e articolare la morte non come conclusione di un percorso lineare, ma all’interno dello spazio vitale.

E’ una concezione che implica per la morte il riconoscimento di una co-presenza nel cuore stesso della vita. La meta di tutto ciò che è vivo è la morte, la quale sarebbe dunque lo stato di quiete cui tutti gli organismi tendono.

Si apre un territorio inesplorato: una “realtà che sfugge alla ragione della costanza e alla temporalità attraverso cui essa ha esercitato il suo potere” e si esprime per mezzo di un “turbamento”, uno “sgomento”, che è prodotto dal ritorno del rimosso, dal “costante ritorno dell’uguale”, dal prodursi e dall’irrompere della memoria involontaria sul presente

Questo ritorno del passato è “perturbante”: essendo pensato come superato e vinto, si presenta con la forza di una perversione delle leggi naturali. Esso è, invece, una “fuoruscita dall’ordine secondo cui veniva organizzata una rappresentazione del mondo, ritenuta per secoli (dalla ragione cartesiana in poi, potrei aggiungere) la sua immagine fedele”.

La rottura del tempo lineare, insiste Rella, diventa “spaesamento” con la scoperta della coazione a ripetere, una forza tanto potente (“demoniaca”, “più originaria”, “più elementare”, “più pulsionale”, dice Freud) da imporsi sopra il principio freudiano per eccellenza, il “principio di piacere” stesso.

Freud, sostiene Rella, si avvede che la perdita di fiducia nella linearità del progresso e della temporalità storica non può essere riparata ricorrendo al tempo ciclico: l’eterno ritorno nietzcheano non può uscire, dice Rella, dalla concezione di tempo storico, con le sue perdite e i suoi recuperi.

Ciò che emergerebbe, attraverso la figura della ripetizione del tempo operata dalla memoria involontaria (e il nesso con La Récherche proustiana mi pare evidente), dal ritorno del rimosso che è figura del doppio e del sosia, è la morte dell’io come principio ordinatore unitario del mondo. Il tempo del ritorno del rimosso agisce spaventosamente, perché oppone al soggetto parti di sé che l’Io pensava aver definitivamente dominato. E queste parti non agiscono come memoria rassicurante del passato, ma penetrano dolorosamente nella nostra esistenza presente.

Il ritorno agisce come natura collettiva e sociale: è lo spaesamento che si produce quando convinzioni primitive, pulsioni antisociali, aggressività mimetiche trovano nuovi canali di esternazione, ossia quando la legge del “così fu” sembra infrangersi.

Ecco come interviene la scrittura nietzscheana nella convinzione – ancora legata alla “ragione classica”, dice Rella, - che l’indicibile (ciò che è “il peso più grande”) debba far ricorso alla letteratura e all’arte, al linguaggio e alla parola di una “via trasversa”, perché non esistono parole per formulare un altro pensiero.

Se il passato superato e vinto ritorna vuol dire che non è stato annientato. Ma la possibilità di redenzione del passato che si basi su una “volontà di volere” (nella definizione di Heidegger) a ritroso, risulta a Nietzsche il più arduo dei pensieri. In effetti il tempo ciclico, insiste Rella, non è alternativo alla linearità: nella storia tempo lineare e tempo ciclico si sono alternati o sono addirittura coesistiti.

Zarathustra ha sperimentato il tempo della ripetizione temporale e ne è rimasto sgomento, ma uno sgomento ancora più grande è l’impossibilità di costruire un sapere su questa esperienza. Il tentativo di Freud è nel segno di un ritrovamento del tempo perduto che sciolga a livello di coscienza il conflitto fra le divaricanti pulsioni di vita e di morte, entrambe legate ad eros e ad una aggressività interna proiettata come esterna.

La via della scelta pacifista, di una “intolleranza costituzionale alla guerra” non sarebbe dunque né “naturale” né facile. L’interiorizzazione dell’aggressività, uno dei caratteri psicologici collettivi indotti dalla civiltà, è irto di pericoli, ma di fronte al “timore degli effetti di una guerra futura” (ora siamo perfino di fronte alla possibilità della catastrofe nucleare), non c’è tensione interna per quanto dolorosa che non sia accettabile.

Sigmund Freud – Considerazioni attuali sulla guerra e la morte.Roma, Editori Riuniti, 1982
Franco Rella – Il silenzio e le parole. Il pensiero al tempo della crisi. Milano, Feltrinelli, 1981