17 agosto 2009

"Storia naturale dei giganti" di Ermanno Cavazzoni


di Alessandro Trasciatti

Non è un libro per tutti (nessun libro è per tutti) Storia naturale dei giganti di Ermanno Cavazzoni, ma ha qualcosa di geniale.

Non si presenta come un romanzo né come una raccolta di racconti, ma come l'abbozzo, il manoscritto di un vero e proprio trattato di storia. Quella dei giganti, appunto, i giganti dei poemi cavallereschi quattro-cinquecenteschi, e ai poemi viene attribuita da Cavazzoni la stessa attendibilità di una cronaca o di un documento d'archivio. La finzione letteraria del passato assurge al rango di "verità" storica. Siamo di fronte, quindi, a un raffinatissimo e ponderoso divertissement, che ha qualcosa sia dell'etnologia fantastica sia della rigorosa antologia di letteratura. Sì, perché di tutti i giganti citati viene puntigliosamente ricordato il luogo letterario della loro apparizione, la fonte insomma, così che la letteratura cavalleresca si srotola di fronte al lettore fin nelle sue pieghe più recondite, nei suoi autori e nelle sue opere meno conosciute, tenendo sempre lo sguardo puntato sulla presenza dei giganti, figure che appaiono marginali e a cui, invece, nessun autore di poemi sembra saper rinunciare.

Di tanto in tanto, si fa sentire la voce dell'autore-ricercatore, sotto forma di notazioni diaristiche poetiche e desolanti intorno alla fatica dello studioso e ai suoi mali d'amore, incarnati dalla sfuggente signorina Guastavillani. La sfera intima del narratore si alterna al rigore della sua ricerca impervia e coscienziosa, una trama di ragno sul nulla, su quel mondo di nulla che è la letteratura.

Quando la passione amorosa prende il sopravvento sulla ricerca scientifica, la scrittura cambia passo, la voce si fa risentita e irresistibilmente comica, come nelle lunghe tirate contro Barbieri, l'inetto fidanzato della signorina Guastavillani. Altrove la voce rallenta, e il paragrafo si chiude con qualche sconsolata considerazione sull'esistenza, sulla solitudine.

L'inizio stesso del libro è desolato, poeticissimo e esilarante, è una Dedica futura che merita di essere riportata, almeno in parte: "Questo scritto, quando sarà perfezionato e pulito dalle note mie personali, voglio che sia dedicato a Monica Guastavillani, anche se da lei per la verità non ho avuto un aiuto, anzi, da lei ho sempre avuto un implicito ivito a lasciare perdere. I giganti non l'hanno mai interessata. Eppure sono stati una cosa gloriosa, a quanto dicono i poemi di cavalleria; una popolazione gloriosa di cui oggi poco si sa, purtroppo, dei loro usi, costumi, caratteri fisici, tendenze sessuali, sistemi riproduttivi, manie, sociologia; e poi decadenza e scomparsa; perché a questo mondo tutto finisce, Monica Guastavillani ad esempio con lei è finita, alla data attuale, e anche i giganti sono ad un certo punto finiti, poveretti, come sono finiti i mammuth, o come fra poco saranno finiti i gorilla del Kilimangiaro, i panda, la balenottera azzurra, la tigre della Tasmania. I giganti sono finiti per via della caccia spietata che hanno subito; e per via, io dico, del loro sistema riproduttivo male orientato, della attività sessuale sgonfia, imprecisa."

In questo inizio c'è tutto Cavazzoni, la sua voce, la sua tristezza impastata di euforia, la sua frase molle in cui si scivola dal rigore pseudo-scientifico all'imprecisione lirica del tema in classe, del pensiero a voce alta, e il discorso così va su e giù, tra massimi sistemi ("a questo mondo tutto finisce") e minimi collassi ("Monica Guastavillani ad esempio con lei è finita, alla data attuale") che ne sono la poco calzante dimostrazione, per poi infilzare come salsicce le parole, una dietro l'altra, perché Cavazzoni conosce bene il comico degli elenchi, il riso che nasce dagli accumuli, dalla sproporzione. E questo sui giganti è un libro sulla sproporzione.

Mi ricordo - vagamente devo dire - che qualcuno criticava il suo primo libro, Il poema del lunatici (1987), perché era bello, sì, ma troppo lungo. Ora, anche questa Storia naturale dei giganti non è che sia corto, sono 250 pagine molto fitte, e a un tratto mi sono chiesto anch'io se ci volessero davvero tutte. Poi mi è venuta in mente una scena del film Amadeus: qualcuno critica Mozart dopo un concerto perché nella sua sinfonia c'è qualcosa di...come dire..."Troppe note!". Al che Mozart, tagliente, chiede che gli vengano indicate quelle da togliere. Il critico ovviamente non sa che dire. Ovviamente neanch'io saprei che dire a proposito del libro di Cavazzoni, è un'impressione buttata lì senza pensarci troppo. Una certa dismisura è implicita nella sua scrittura e, del resto, proprio la letteratura cavalleresca trova nella sovrabbondanza inesauribile dei suoi episodi una delle sue ragioni di fascino. E forse è anche il retaggio di un certo sperimentalismo, di una certa poetica dell'oltranza (mi vengono in mente Queneau e soprattutto Perec). Cavazzoni non è certo estraneo a questi ambienti, anzi, è membro dell'Opificio di Letteratura Potenziale.

Ma poi davvero cosa depennare, l'Indice dei giganti citati, strepitosa parodia degli indici ragionati della saggistica? ("Amoroldo: non pensa niente e scalcia", "Antena: simile a un martello pneumatico", "Arcifanfano: scorreggia molto prima di essere castrato" ...e così via). O l'altro indice, quello delle opere citate, prezioso di indicazioni e di commenti autoriali? ("Ludovico Ariosto, Orlando furioso, 1516-1532; libro da venerare e tener sempre in tasca in edizione mignon - ad esempio Hoepli - perché mai fu scritto al mondo libro più eccelso ed aereo"; Cesare Lombroso, L'uomo delinquente, 1876; questo è un libro che può riuscir comico e fantasioso, quando si è di buon umore; altrimenti è il libro di un povero citrullo"...). Ovviamente no. Resta solo un'impressione vaga di ridondanza. Nient'altro. Nient'altro che un libro bello e singolare.


Ermanno Cavazzoni. Storia naturale dei giganti. Guanda 2007. Pag. 252. Euro 14.50.