11 settembre 2010

"Il cellulare: bellezza e dipendenza" di Gianni Quilici

C'è una bellezza del cellulare, che per una vita attiva e avventurosa, può risultare oltre che necessaria, addirittura affascinante.

Primo: il cellulare rende superfluo il domicilio.

Secondo: è personale, non della famiglia

Terzo: è, se noi vogliamo, segreto. Lo diamo a chi vogliamo.

Quarto e sopratutto: è mobile, si può muovere con noi, diventa il nostro universo di relazioni. Possiamo essere raggiunti, se noi vogliamo, in ogni momento; possiamo raggiungere gli altri, se loro vogliono, in ogni momento. Può favorire il lavoro e le relazioni, i problemi pratici e quelli più intimi.

Può diventare una sorta di carta di identità se il cellulare è anche connessione ad internet e alla posta elettronica; se scatta foto e gira video. In questo caso diventa, oltre che conversazione, informazione, documentazione, strumento espressivo di rappresentazione fotografica o video-amatoriale. Come non ricordare riprese video di eventi importanti, che soltanto cellulari hanno potuto cogliere nel preciso istante in cui avvenivano!

Il cellulare per ragioni innanzitutto pratiche, ma non solo, è, infine, lo strumento della globalizzazione più diffuso e utilizzato nel Pianeta, anche nei paesi poveri.

I rischi

E tuttavia c'è l'altra faccia della medaglia: la dipendenza, con tutte le conseguenze che ne derivano.

Quanti hanno dipendenza dal cellulare? Quanti possono stare serenamente senza il loro cellulare?

E ad un altro livello che può essere più avanzato: quanti possono stare senza il loro computer?

Questa dipendenza, senza dubbio molto diffusa nelle generazioni vissute nella società post-moderna, cosa nasconde? Quasi sicuramente un bisogno affettivo. Il bisogno di essere raggiunti e di raggiungere con e da un messaggio. Il messaggio può essere una necessità, ma assumere anche un valore simbolico. Quindi immaginativo. Nasconde e cerca dei desideri. Da quello elementare del contatto (“sento il bisogno di telefonare”) al desiderio di essere raggiunto da qualcosa di sorprendente, di imprevedibile.

Tutto normale: è l'irriducibile desiderio di un “oltre” rispetto a ciò che si vive nella vita quotidiana.

Quando invece diventa preoccupante o addirittura nevrosi?

Quando ai rapporti quotidiani si sostituisce la ricerca di tanti piccoli stimoli, di tanti piccoli desideri, accompagnate da piccole ansie, da piccole frustrazione, da stati d'animo veloci che si consumano per essere vissuti di nuovo senza lasciare alcun sedimento, se non insoddisfazione e vuoto.

Ne consegue una struttura della personalità che cerca continuamente stimoli e sensazioni, incapace di lunghe concentrazioni e di silenzi, che non riesce ad essere soddisfatta, perchè consuma senza elaborare.

Elaborare, infatti, vuol dire concentrarsi, chiedersi i perché, dare risposte, insomma crescere, rinnovarsi. Non elaborare invece vivere in una continua dimensione consumistica, che porta noia, esacerbazione, oblìo, ricerca di stimoli sempre più forti. Guardate i bambini oggi. Diversi segnali ci dicono: “ Tante piccole nevrosi crescono”.

Possiamo cambiare percorso, comportamenti, valori? Sarà un'impresa titanica per la enorme potenza tecnologica, in rapidissima trasformazione, oggi molto più forte di quella psichica.

da Arcipelago 51, rivista dell'Arci di Lucca