21 ottobre 2010

"Carne di cane" di Pedro Juan Gutierrérrez

di Gianni Quilici

Inizio a leggere un romanzo di Salman Rushdie Furia di pagine 342. Inizio al galoppo. La storia sembra piacermi: un professore di idee 55enne, una bionda con “capelli ispidi, biondi con riflessi tizianeschi, labbra piene e sardoniche” cerca di fermarlo per strada. Gli dice: "Lei è una specie di mistero. Lo è per me, in ogni modo". Lui abbaia: "Quello che sto cercando è di essere lasciato in pace"

Giunto però a pagina 118, decido di desistere.

Mi irrita la scrittura barocca di Rushdie, questo accumulo di subordinate e di coordinate delle subordinate, questo sventolio di nomi e di fatti...

Decido di non avere più la pazienza di seguire gli incroci di storie e di lasciarlo sospeso. Lo riprenderò poi. Non un giudizio, una stanchezza, una banale impressione, che descrivo semplicemente come flusso possibile di lettore.

Trovo un romanzo di uno scrittore cubano Pedro Jaun Gutiérrez Carne di cane, di cui ho già letto qualcosa, diverso nello stile a Rushdie.

Tanto l'uno è verboso, l'altro è asciutto; tanto l'uno è flusso di coscienza e sconnessione di tempi, tanto l'altro è occhio sul presente più tangibile.

La lettura procede veloce e mi tiene "preso".

Penso che Gutiérrez sia un Bukowski all'Avana.

Di Bukowski ha la stessa capacità di fotografare una realtà nella sua asciutta crudezza, così come essa è, senza domande ulteriori. Una rappresentazione orizzontale cruda e credibile.

Povero tra poveri, disperato tra disperati, ma anche “desideroso”: tracanna rum, scopa come un forsennato con grande piacere di farlo, senza tuttavia trovare un senso, nè una possibile comprensione di questo mondo "gigantesco e caotico. Incomprensibile".

Pedro Juan Gutiérrez. Carne di cane. Edizioni e/o. TraduzionediGiovanni Barone e Mirta Vignatti.