04 febbraio 2011

“Un uomo solo” di Christopher Isherwood

di Gianni Quilici


Un piccolo capolavoro. Piccolo per struttura compositiva e per dimensioni. Capolavoro, perché dà un senso tangibile, stratificato e complesso del flusso dell'esistenza.

Un romanzo da leggere, prima o dopo non importa, vedendo anche il film omonimo “A Single Man” di Tom Ford con un grande Colin Firth.

Scriveva lo stesso Isherwood all'inizio di “Addio a Berlino”:“Io sono una macchina fotografica con l'obiettivo aperto; non penso, accumulo passivamente impressioni

Qui fa di più: non solo registra ciò che vede come una macchina fotografica, che però non si ferma per scegliere l'attimo decisivo, ma scatta in successione per cogliere psicologie; decifra anche l'invisibile, ciò che attraversa George, il protagonista: pensieri e sentimenti, che spesso vanno alla radice nel desiderio di verità, anche contro se stesso, i propri limiti, la condizione di “perdita” con la recentissima morte del suo giovane “amante”.

Tre piccoli esempi per darne una misura, sia pure limitata..Il primo: il risveglio di George all'inizio del romanzo.

“Il risveglio comincia con due parole, sono e ora. Poi ciò che si è svegliato disteso un momento a fissare il soffitto, e se stesso, fino a riconoscere Io, e a dedurne Io sono ora. Qui viene dopo, ed è, almeno in negativo, rassicurante; poiché stamattina è qui che ci si aspettava di essere; come dire, a casa”.

Un inizio originale e imprevedibile, dove la parola di un “io intellettuale” scava in quel misto di stupore che può nascere quando al risveglio non si hanno cognizioni di tempo e di luogo.

Il secondo esempio: George si dirige, accompagnato da un suo allievo, verso l'aula per la lezione e osserva due ragazzi impegnati in un singolo di tennis.

La nudità li avvicina, li mette uno di fronte all'altro, corpo a corpo, come lottatori. Se fosse un incontro di lotta, però, sarebbe impari, perché il ragazzo a sinistra è di parecchio più piccolo. Un messicano, forse: capelli neri, ben fatto, felino, crudele, compatto, agile, muscoloso; veloce e aggraziato nel gioco di gambe. Ha il corpo di un bruno dorato scuro naturale; una ricciuta peluria nera sul petto, sul ventre e sulle cosce. Gioca duro e veloce, con spietata maestria, scoprendo i denti candidi: mentre ribatte la palla non sorride...”

E' sufficiente questa breve descrizione per intuire quanto la rappresentazione di Isherwood sia dettagliata e vibrante, quanto sia intrisa da una pulsione erotica, che nello stesso tempo, in cui rende plastica l'immagine te la fa percepire con i sensi.

Terzo esempio: l'incontro di sera di George con Kenny, un altro suo allievo, in un bar, in cui il professore è solito recarsi. Un incontro pieno di sottigliezze, di mutamenti di stati d'animo, di dialoghi concettuosi, di parole dietro cui brulicano pensieri sotterranei, difensivi e seduttivi, con cambiamenti improvvisi di scenari e di situazioni psicologiche. Al bar bevono fino ad ubriacarsi, discutono, senza però scoprirsi, quando improvvisamente, senza una ragione apparente, Kenny propone a George di fare una nuotata. Tutta la sequenza: dalla corsa sulla spiaggia, all'impatto con le onde dell'oceano, fino a quando bagnati fradici vanno a casa del professore, con tutto quello che succederà all'interno dell'appartamento, è grande letteratura. Ecco una breve sequenza:

Le luci alle loro spalle sembrano già lontane, molto lontane. Sono luminose, ma non rischiarano; forse brillano in una coltre di nebbia. Le onde si vedono a stento. Sono nere, immensamente fredde, umide. Kenny si sta strappando gli abiti con urla selvagge. Anche se l'ultimo briciolo di prudenza gli ricorda le luci e le possibilità di autopattuglie della polizia, George non esita, ormai è troppo tardi; la corsa forsennata dal bar non può finire che nell'acqua. Si spoglia goffamente, incespicando nei calzoni. Kenny, già tutto nudo, si è tuffato e avanza intrepido come un guerriero indigeno all'attacco delle onde. Il risucchio è violentissimo. Per un po' George si dibatte in un turbine di pietre. Quando alla fine lo supera, e sente sotto i piedi la sabbia, Kenny sorge dalla notte a cavallo di un'onda e schizza oltre senza uno sguardo, creatura acquatica fusa col proprio elemento.Per George quelle onde sono troppo alte. Gli sembrano spaventose montagne d'acqua, tenebre che si dipanano dalle tenebre, misteriosamente, orridamente scintillanti (...)”

C'è già in questa breve scheggia, di una sequenza ben più ampia, un realismo visionario psico-fisico, che diventa quasi onirico, in cui i due protagonisti si stagliano, nella forza spaventosa delle onde e delle tenebre, diversamente: l'uno spavaldo e trionfante dominatore delle onde; l'altro incerto e pieno d'un controllato spavento.

Christopher Isherwood. Un uomo solo. (A Single Man). Traduzione di Dario Villa. Adelphi.

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