01 luglio 2012

“La leggerezza del ferro” un incontro con Luigino Bruni e Alessandra Smerilli

di Angelica D'Agliano

LUCCA. Quando l’economia diventa solo una questione di soldi i risultati sono due: il primo è che essa perde la sua dimensione umana, e perciò diventa disumana e aberrante; il secondo, alla fine si ripiega in se stessa. L’implosione delle principali economie reali in tutto il mondo sarebbe la prova certa di un ragionamento molto semplice, ma antico almeno quanto l’agape cristiano: le linee di pensiero che separano il mercato dagli ideali non funzionano.
Le prospettive della gratuità e dell’importanza della “vocazione” all’interno dell’assetto economico di una società sono al centro de “La leggerezza del ferro”, un’introduzione alla teoria economica delle Organizzazioni a Movente Ideale (OMI) scritta a quattro mani dai professori Luigino Bruni e Alessandra Smerilli (edizioni Vita e Pensiero).
“Una delle caratteristiche della post modernità è il crollo del confine tra economico e non-economico – spiegano gli autori –. Noi crediamo che l’economia sia un brano di vita, dove gli uomini e le donne mettono in campo tutte le loro passioni, vizi e virtù. Questo saggio è un’indagine sulla maggiore complessità, ma anche sulla maggiore qualità umana, che ritroviamo nelle organizzazioni, economiche, sociali, politiche e religiose, quando gli ideali le fanno nascere, le fanno vivere e le alimentano giorno dopo giorno”.
Certo, pensare che un sogno sia alla base di un’impresa economica può sembrare una contraddizione in termini. Eppure, analizzando i fatti, scopriamo che il sodalizio “vocazione e azione (economica)” è quantomai stringente.
Le Organizzazioni a Movente Ideale (OMI), dette anche values-based organization, sono quelle organizzazioni – associazioni, ONG, imprese sociali, imprese di economia di comunione, associazioni ambientali, organizzazioni politiche, culturali e religiose – ispirate non primariamente dal profitto, ma da un movente ideale, da una missione o vocazione, cioè, legata alle motivazioni intrinseche dei suoi promotori.
“Ma in generale – spiega il professor Luigino Bruni – le OMI potrebbero essere quasi tutte. Ognuno di noi ha le proprie motivazioni quando intraprende un’attività economica: l’innovazione vera deriva sempre da ideali. E se l’artista è colui ‘che muove qualcosa’ perché ha un daimon che lo anima e che lo guida, anche nelle imprese succede qualcosa di simile: perché uno si alza alle sei del mattino e va a lavoro? Certo, per guadagnare, ma c’è anche qualcosa che ‘va oltre’. Se non c’è questo ‘oltre’, questo contribuo squisitamente umano, allora non c’è innovazione”.
Questo “oltre”, è lo zoccolo duro cui fa riferimento una tradizione lunghissima di economia civile che vede il mercato come una forma di gratuità: la prospettiva di Dragonetti, Genovesi, e recentemente Sugden e Sen. In questo contesto il mercato è il luogo in cui può avvenire la remunerazione delle virtù civili: se il mercato include chi è più debole e lo fa diventare un’opportunità di bene comune, allora compie un’importante opera di civilizzazione, e si fa strumento di autentica inclusione, e di crescita umana e civile.
Le parole cardine di questo scenario sono due: reciprocità e gratuità. La prima viene da reciprocitate (rectus+procus+cum, ossia ciò che viene e ciò che parte e che torna vicendevolmente). Alcune esperienze della reciprocità sono il commercio equo e solidale, l’economia di comunione, la microfinanza e il microcredito “dove le persone vengono aiutate a uscire da varie trappole di indigenza e di esclusione non con doni incondizionati, ma con contratti (animati da gratuità)”.
È davvero sostenibile, autenticamente umana e applicabile all’interno delle organizzazioni, OMI incluse, solo una reciprocità a più dimensioni, che comprenda lo scambio di doni, le regole e i contratti.
“È la gratuità – dice Alessandra Smerilli – che fa un amico vero diverso da un amico opportunista, che rende una famiglia diversa da uno scambio di beni e servizi. Le OMI hanno la loro forza nella valorizzazione della gratuità. La cultura moderna ha fatto della gratuità una faccenda privata, e meno di tutti economica. Il risultato è l’implosione che stiamo osservando proprio in questi anni nelle economie reali di tutto il mondo. Le esperienze economiche improntate alla gratuità, come quelle portate avanti dalle OMI, propongono la funzione civilizzatrice del mercato, ma conservano la natura tragica della gratuità”.
“Chi dà la propria vita per una bottega del commercio equo e solidale, o per una coop sociale che offre lavoro a ragazzi svantaggiati in realtà vive bene, in quanto è gratificato da quell’eccedenza che è tipica della dimensione più umana dell’esistenza, ma in realtà fa esperienza anche di conflitti e situazioni dolorose, si mette in gioco più degli altri: e per questo soffre di più”.
La vera gratuità, sebbene indispensabile per riportare la vita, anche economica, a una dimensione pienamente umana, ha una natura tragica e dolorosa: darsi, infatti, vuol dire prima di tutto essere vulnerabili in quanto non calcolatori. La gratuità, per quanto necessaria, è sempre una potenziale ferita. Ma è anche il sale dei rapporti umani e di quello che più avvicina l’uomo comune all’artista.
Per convincersene una citazione di Primo Levi, in cui si parla di Auschwitz: “il bisogno del lavoro ben fatto è talmente radicato da spingere a far bene anche il lavoro imposto, schiavistico. Il muratore italiano che mi ha salvato la vita, portandomi cibo di nascosto per sei mesi, detestava i nazisti, il loro cibo, la loro lingua, la loro guerra; ma quando lo mettevano a tirar su i muri li faceva dritti e solidi, non per obbedienza ma per dignità”.
La leggerezza del ferro è stato presentato il 18 marzo 2011 a Lucca, presso la Saletta della Fondazione Banca del Monte (piazza San Martino). L’evento è stato organizzato dal consorzio di coop sociali So. & Co., Caritas diocesana Lucca, coop sociale La mano amica e la Fondazione Mario Tobino

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