19 aprile 2011

" Il martirio di Lidice " di Luciano Luciani

Per non dimenticare


Lidice è un piccolo borgo della Boemia a nord ovest di Praga. Sorto nel 1309, per secoli era riuscito a mantenere la sua pianta originaria: le case assiepate intorno alla rustica piazzetta, le stradine anguste e tortuose, la piccola chiesa con il suo campanile secolare. Un’architettura medievale, semplice, severa, addirittura un po’ rude. Qui, secondo modi di vita tanto patriarcali quanto sereni, una dopo l’altra, generazioni di contadini e minatori erano riusciti a condurre un’esistenza sempre uguale, povera ma sicura, sotto le patriarcali, ma bonarie, tutele del quartiermastro e del curato. Una condizione di vita sempre uguale a se stessa e che non sembrava conoscere particolari asprezze neppure negli anni bui del secondo conflitto mondiale e del Protettorato brutalmente imposto dalla Germania nazista ai vicini ceki fin dal 1939.

La bufera arrivò inopinata, repentina. Era il giugno del 1942 e la Gestapo e le Ss dell’intero Protettorato erano in stato d’allarme alla ricerca affannosa degli attentatori del gerarca Reinhardt Heydrich, già capo della Gestapo e della polizia criminale tedesca e dal 1941 ‘protettore del Reich’ in Boemia e Moravia. Un nazista fanatico, un macellaio che a proposito dei popoli da poco sottomessi al nazismo era solito esprimersi così. “Nella regione del basso Danubio bisogna eliminare ciò che non è puro dal punto di vista della razza: fra due o tre anni tratteremo i Ceki col metodo della più aspra e della più aperta brutalità”.

Le forze di sicurezza naziste si convinsero che gli abitanti di Lidice avessero aiutato la fuga dei suoi giustizieri; non esistevano prove, ma le Ss le inventarono, le resero legittime con uno sfoggio insolito di carte intestate, timbri, firme e controfirme decretando la cancellazione per ignominia del villaggio dal novero dei comuni cecoslovacchi. L’ordine di radere al suolo Lidice e di sterminare i suoi abitanti fu dato personalmente da Hitler.

Ebbe inizio così il martirio della piccola cittadina boema.

Le Ss circondarono il villaggio, caricarono le donne sbigottite sugli autocarri, separarono i bambini in lacrime dalle madri rinchiudendoli in tetri furgoni; poi, riunirono tutta la popolazione maschile a ridosso del muro di una fattoria, chiamarono il curato e, promettendogli la grazia, lo invitarono a condannare dinanzi a quella moltitudine sgomenta l’attentato ad Heydrich. Don Josef Stemberka, figura nobilissima di sacerdote, dopo aver sorriso mestamente, disse: “Non è possibile; ho vissuto trentacinque anni coi miei parrocchiani, morirò con loro”.

Qualche minuto più tardi iniziò la strage che si protrasse per dieci ore, dalle 7 del mattino alle 17 del pomeriggio: centoventidue uomini con più di 16 anni furono fucilati a gruppi di dieci. Gli ultimi condannati a morte furono costretti a calpestare i corpi di quelli appena caduti, taluni scossi ancora dagli ultimi sussulti dell’agonia.

Le donne vennero internate e soltanto pochissime, a liberazione avvenuta, poterono rientrare in patria. I ragazzi, invece, furono avviati a speciali centri di “rieducazione” per il recupero degli elementi “degni” di essere germanizzati. Di essi 16 vennero affidati a famiglie tedesche perché si attuasse il previsto processo di ‘rigenerazione’ razziale, mentre i rimanenti perirono tutti miseramente nelle camere a gas!

I ragazzi di Lidice erano in tutto 98. Dopo l’eccidio e la distruzione del loro paese, strappati alle loro madri, 7 bambini al di sotto dell’anno di età furono mandati a un asilo tedesco, dove uno di essi morì. Gli altri 91 furono avviati verso un campo di concentramento presso Lòdz. 9 di loro furono affidati a famiglie tedesche perché giudicati germanizzabili. I rimanenti scomparvero nel campo di sterminio di Chelmno, uccisi su decisione di Adolph Eichmann.

Lidice fu rasa al suolo dai cannoni e dai panzer, dopo un saccheggio al quale non sfuggirono neanche i morti del piccolo cimitero ove furono scoperchiate le bare nella speranza di trovare fra i poveri resti oggetti di valore e denti d’oro.

Alla notizia dell’eccidio, espressioni di sdegno si levarono in tutte le nazioni del mondo; gli Stati Uniti fecero addirittura stampare dei manifesti di protesta che vennero affissi in tutti gli Stati dell’Unione. Intanto in Uruguay, Brasile, Inghilterra, Cuba, Panama si formarono comitati che raccolsero fondi coi quali, furono elevati semplici monumenti marmorei ai martiri del borgo cecoslovacco.

Oggi, a distanza di settant’anni, Lidice è risorta e nella cappella del cimitero ove riposano i suoi martiri, battono i rintocchi giornalieri di una campana acquistata col ricavato d’una sottoscrizione effettuata in India, mentre, poco distante, sorge profumato un fitto roseto della bontà formato con piante inviate da tutti i continenti.

Continuamente giungono nel borgo pellegrinaggi provenienti da Lèzakj, Telavag, Oradour, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, le città–martiri della Francia, della Norvegia, dall’Italia… Per non dimenticare, perché “quelli che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo”.





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