05 dicembre 2011

"Il cielo senza sole" di Beppe Calabretta

di Manuela Alessia Pisano


«Quand’ è che ho cominciato a vivere?. Ogni volta che si faceva questa domanda gli venivano i brividi… Il legame tra il suo pensiero e il suo corpo lo sentiva come un torto che gli veniva da qualche nemico sconosciuto che chissà per quale motivo ce l’aveva con lui». Una domanda esistenziale, leit-motiv di tutta la narrazione, che disturba il protagonista mentalmente e fisicamente.

«A quel punto della sua irritazione, diventava lucido, preveniva il pericolo e lo combatteva. … alzava ancor più la testa, allargava le spalle, inspirava profondamente e lentamente e poi, con un rumore sordo, buttava fuori d’un colpo tutto il fiato che aveva raccolto. ».
Tutto questo dava a Normale l’apparente sensazione di annientare quel ‘nemico invisibile’, come l’autore lo definisce, in altre parole di vincere tutte le sue insicurezze.

Un incipit interessante -che dura tutto un capitolo- e richiama reazioni di carattere psicologico costantemente presenti nell’essere umano. Il 2° capitolo ci introduce la figura di Normale: un uomo che non ha ancora raggiunto la quarantina e che si sente «giovane». «Quand’ è che ho cominciato a vivere?» è la domanda che accompagna Normale nel lungo viaggio all’interno di se stesso, un chiodo fisso che torna e ritorna traghettandolo sino alla risoluzione finale. L'intero racconto scaturisce dalla sopraccitata domanda e da un interrogarsi insistito del protagonista. Vengono così ripercorsi i primi 20 anni della vita di Normale che scopriamo essere un bambino curioso continuamente pronto ad interrogarsi e ad interrogare chi lo circonda.

Attraverso la strutturazione in capitoli l’autore ripercorre i momenti salienti della sua esistenza passando per il distacco dai genitori e la conquista dell’autonomia che poi lo condurrà inevitabilmente alla maturazione sociale; dalla scoperta del sentimento amoroso e sino alla capacità di realizzare relazioni d'amore, ed ancora dalla descrizione delle prime curiosità sessuali di Normale -in particolare dal passaggio verso le sensazioni corporee dell'eccitamento sessuale ai suoi successivi sviluppi, non senza dimenticare i cosiddetti ‘riti d’iniziazione e di passaggio’.

­­Nel romanzo coesistono e si intrecciano, dunque, molteplici tematiche. Il tema dell’alfabetizzazione attraverso la scoperta di Normale del valore significativo dell’istruzione, il valore dell’amicizia e l’approccio psicologico alla religione, senz’altro influenzato dall’ideologia comunista cui aderiva la militante famiglia di Normale, sono alcuni tra gli altri aspetti ripercorsi dall’autore. Normale e il suo vissuto aprono anche uno squarcio sulla socialità nei paesi meridionali intorno alla metà degli anni ’50 del secolo scorso, sul grande esodo dal sud d’Italia verso i grandi poli industrializzati del settentrione, sulle prime battaglie politiche per la difesa dei propri diritti.

Arriviamo così al capitolo 17 che si apre con le parole del titolo «Il cielo senza sole.» e prosegue con un monito: «non smettere di interrogarti, non smettere di pensare!». E’ dalla forza di quest’interrogazione che si scatena un impeto nuovo che si espande a macchia d’olio, una forza costruttiva che ha il potere di stravolgere le cose e di far tornare il sole. «Il sole è negli occhi di tutti, negli occhi di lui, Normale, che canta».

Il capitolo 18, l’epilogo, ci riporta al motivo iniziale ovvero alla permanenza forzata di Normale a Creta. Le due settimane di degenza lo hanno portato ad interrogarsi sul suo essere, come mai prima d’ora e le riflessioni appuntate su un quadernetto hanno finalmente chiarito il suo passato, permettondogli di cogliere una luce nuova nel presente.
«Addio quaderno, addio isola, non è forse vero che anche oggi incomincio a vivere?».
Si chiude così il libro di Beppe Calabretta.

‘Il cielo senza sole’ è un romanzo di carattere prevalentemente descrittivo con micro sequenze dialogiche. Un libro che si legge con facilità, scorrevole nonostante i numerosi temi trattati. Il linguaggio con cui fatti, luoghi e personaggi vengono descritti è concreto, schietto e arriva dritto al lettore. È indubbio che proprio alcuni elementi dal riflesso probabilmente autobiografico, favoriscano questa vicinanza di ‘cuore’.

Intramezzato da alcune immagini alquanto minuziose e particolareggiate come la descrizione del campo di grano, quello della tempesta, della fila di muli descritti finanche nei dettagli anatomici, ‘Il cielo senza sole’ fa spesso ricorso a similitudini, alcune delle quali particolarmente riuscite. Un quadro attento alle dinamiche emozionali e cognitive che cattura e coinvolge ulteriormente il lettore, specie in alcuni punti quali ad es. la scena in cui il padre di fronte alla convocazione di Normale da parte del Maresciallo del paese si fa prendere da un eccessivo stato di agitazione.

Ad onor del vero vi sono alcune contaminazioni di irrealtà, tipo la monta del mulo sull’asina –peraltro assai efficace in quanto a descrizione, che, tuttavia, per la loro irrilevanza di fondo non nocciono all’insieme.

È un meccanismo di maturazione quello che avviene tra le ‘righe’: uno dei passaggi più interessanti in questo senso è quello in cui- come durante un sogno- le immagini cominciarono ad inseguirsi nella mente di Normale, dapprima sfocate, poi sempre più nitide, sino a restituirgli alcuni reali ricordi d’infanzia.

Maturazione anche artistica e personale. Normale -qui nelle vesti di paziente- dialoga con il suo alterego ‘camuffato’ da analista. Scrupoli, pentimenti, dubbi travolgono la controfigura dello scrittore che attraverso un percorso faticoso, spesso doloroso, giunge alla maturazione.

Meccanismi culturali e dinamiche psicologiche vengono ripercorsi nelle pagine del romanzo come riproblematizzazione delle vicende importanti della propria esistenza e come via attraverso la quale ricongiungersi alla propria identità più intima.

Questo, a mio parere, il merito maggiore del percorso di scrittura effettuato da Beppe Calabretta.

Beppe Calabretta. Il cielo senza sole. Postfazione di Luciano Luciani. Bonaccorso.

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