19 agosto 2012

"Il sogno di un uomo ridicolo" di Fedor Dostoevskij


di Gianni Quilici

Racconto breve che il grande scrittore russo  pubblica nel 1887,
mentre era intento a scrivere I fratelli karamazov.
Inizia così:
"Io sono un uomo ridicolo. Adesso loro mi chiamano pazzo.
Sarebbe un avanzamento di grado, se non mi trovassero sempre lo stesso uomo ridicolo.
Ma adesso non mi arrabbio più, adesso li amo tutti, e persino quando se la ridono di me, anche allora, mi sono particolarmente cari.
Io stesso riderei con loro, non di me stesso, ma per l'amore che gli porto, se non fossi così triste nel vederli".


Basta l'inizio per capirne lo stile travolgente.
Primo:
è scritto in prima persona in un rapporto diretto con il lettore, perché diretto e concitato è quello con gli altri, cioè il mondo.

Secondo:
questo rapporto è di tipo dialettico, perché sposta continuamente i termini delle questioni e delle visioni.
 

 
Ma continuando a leggere, il racconto si intreccia  con il messaggio filosofico-ideologico:  rappresentazione di ciò che l'uomo è e ciò che è stato o potrebbe diventare.

L'uomo- dice, in sostanza Dostoevskij- ha perso la sua innocenza, cioè la sua bontà, ma potrebbe, per quanto difficile, recuperarla [la sua innocenza, che è la sua (vera) felicità.]

 

 
Fedor Dostoevskij. Il sogno di un uomo ridicolo. Newton & Compton.

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