26 settembre 2013

"Sedie di Parigi" foto di André Kertész



di Caterina Donatelli

Parli poco ultimamente, ti sottrai dalla comunicazione forse per scelta o è solo un’esigenza del momento, non lo sai e non vuoi indagare, così devi scegliere cosa dire, quelle poche volte che lo fai.

Allora finisci per ingoiare il magma dell’esistenza e la comprimi in un unico buco e spingi; quello che ne esce è l’estratto, una stilla di tutto ciò che ti ammutolisce e reprime l’anima.

E più il tempo passa, più il mucchio di cose non dette si accampa da qualche parte, a costruire un spazio vuoto che stacca te dal mondo, lasciando una risacca di passioni abbandonate che scheletriscono al sole.

Come queste sedie, scarne e malinconiche disposte casualmente, ombre reduci di tutte le presenze passate da lì, fermate in un tempo di attese sospese e poi andate via lungo quel viale stanco, schiacciato da nervosi tacchi neri.

Ma tu lo sai che basterebbe poco, un gesto, un atto di riscatto, basterebbe aggrapparsi al frusciare dei rami che svettano sopra quei tronchi duri e lasciare salire il respiro oltre le fronde.

 Lanciare in aria le sedie che tirerebbero fuori ali bellissime pronte a esibirsi in acrobatiche geometrie di libertà e ti inviterebbero a danzare, a spogliarti nella leggerezza.

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