27 settembre 2016

"Viaggio in Corsica: Bastia" di Maria Teresa Landucci






Viaggio di notte ed arrivo all'alba. Sola. Poi un giro nella Bastia antica, con il fascino delle vecchie battone. Sì, volevo proprio dire puttane. Vecchia e sfatta, con il puzzo di piscio agli angoli, i vicoli bui,  l'anziano addormentato con la testa appoggiata sul braccio e questo sullo schienale della sedia con l'impagliatura tutta rotta, fuori del portone della sua casa ... un budello stretto stretto, che sale ripido su per quelle scalette scalcinate e buie, con gli scalini consumati nel mezzo.


Via Vattelapesca. Non è uno scherzo, la stradina si chiama proprio cosi. La vecchia puttana è questo: l'antitesi dell'eleganza, anzi un'accozzaglia di superfetazioni, di vecchie insegne pubblicitarie, di fili elettrici, di panni stesi, confondono l'occhio, che a fatica ritrova le tracce di un passato nobile. Un passato che narra di ricche famiglie provenienti da Genova, da Venezia che qui controllavano i propri traffici commerciali ed ancora qui facevano costruire i loro palazzetti, seguendo il gusto dell'architettura italiana, ambasciatori dello stile della loro città di origine.

 In mezzo alle umili ed anonime facciate distinguo palazzo Ciardi, con il sorprendente vestibolo voltato ed affrescato ed il palazzo dei rilievi femminili, organizzato su ben nove piani, i cui fondaci al livello terreno, destinati ad accogliere i magazzini delle merci.  Bel bassorilievo in facciata: due donne sedute simmetricamente ed un animale marino fantastico al centro, immagino il tributo di una famiglia matriarcale, dedita ai commerci per mare. Come una rete da pesca è la struttura urbanistica della Bastia vecchia, una maglia di stradine, grosso modo parallele, poste su livelli diversi e collegate da rampe di scale più o meno strette, più o meno ripide, che scendono verso l'antico porto. Ricorda Genova o Portoferraio, città con le quali Bastia ebbe evidentemente stretti rapporti di scambi commerciali, politici e culturali. Rari slarghi si concede la stretta maglia urbanistica, nemmeno le due chiese presenti hanno la consueta piazza in fronte facciata.

L'unica vera piazza è quella del mercato, di impianto ottocentesco, con i platani lungo tutto il perimetro rettangolare e una moderna fontana al centro: una sensuale figura femminile beve dallo zampillo d'acqua di fronte alle sue labbra.  Inizia la vita, si montano i banchi della frutta, si issano enormi ombrelloni bianchi, arrivano i furgoni che si allineano uno accanto all'altro.
Fra questi mi colpisce uno: "Boucherie populaire traditionale corse", recita l'insegna rossa sul furgone bianco. Macelleria popolare tradizionale corsa, tradotto alla lettera. Un trionfo di pezzi di carne di ogni genere. Rossa o rosata, fresca e dall'aria invitante. La cucina tradizionale dell'isola è ricca di carne in effetti.  Arrivano le prime massaie, alcune con il carrellino altre con le borse di paglia. Si fermano, osservano, commentano, acquistano. Quando incrociano un'amica scambiano i convenevoli saluti, noto in lingua francese. La lingua corsa è viva nell'isola, ma forse maggiormente praticata dagli uomini che non dalle donne. La città è oramai animata, i tipici tavolini dei caffè sulla piazza si riempiono di gente. Fra gli avventori molti sono i gestori islamici dei banchi del mercato; la lingua araba si mischia al francese e alla lingua corsa. Si prende un caffè, si fuma una sigaretta, si commenta la partita di calcio, trasmessa in TV la sera precedente.

Un giovane accompagnato da due ragazze, abbigliate con abiti eleganti, rumorosi e ridanciani, reduci da una nottata di divertimento e presumibilmente di bevute alcoliche, mi passano accanto e mi salutano allegramente ... bonjour madame! ... ricambio il saluto con altrettanta allegria ...bonjour a tout le monde

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