LEUCO': TRASFORMARE
IL DESTINO IN LIBERTA'
di Emilio Michelotti
Cerco di avanzare alcune altre ipotesi per una riflessione sul Pavese di Leucò.
Confrontando i “Dialoghi” con gli appunti del diario “Mestiere di vivere”, mi ha colpito l'ambiguità di parole-chiave come morte, destino, tempo, natura, selvaggio.
C'è un dichiarato tentativo di tenere insieme gli opposti (Apollo e Dioniso, sulla scia della Nascita della tragedia).
C'è una volontà di definire l'uomo e il suo posto nei vari cosmi mitici (titanico, olimpico, umano).
Gli anni '45-'47, quelli della scrittura di Leucò erano segnati dalla conclusione – temporanea? - di una guerra sterminatrice e da un grande dibattito teorico sul destino dell'umanità.
L'eretico Pavese apparentemente parla d'altro, snobba la politica che, dopo Auschwitz e Hiroshima, stava dilaniando le coscienze, e approda a questa riflessione inattuale e “provocatoria”.
Anche il confronto sui temi etici e filosofici era più che aperto. Si può dire che Pavese, nel suo modo irregolare e trasversale vi s'inserì, anche con i Dialoghi.
Nel '45 Sartre aveva fatto uscire il testo di una conferenza (L'esistenzialismo è un umanismo), poi pubblicato come volume da Nagel nel '46. E' un vero manifesto del movimento che, in soldoni, dice: L'esistenza viene prima dell'essenza. L'uomo è costretto a inventare l'uomo (norme, leggi). Su di lui ricade la responsabilità totale.
Un anno dopo, nel '47, Heidegger risponde con uno scritto (Lettera sull'umanismo) nel quale rovescia i termini: l'uomo ha spodestato l'essere dalla sua centralità. Quel che conta è l'essere, non l'uomo, che non è il signore dell'essente. Eppure la finitezza dell'uomo, la sua non-potenza, questo “meno”, custodisce “un più”, una grande potenzialità, una “superpotenza espressa dalla libertà”. E' questo, afferma, “un umanismo nel senso più radicale, perché pensa l'umanità a partire dalla vicinanza/apertura con l'essere.
In singolare coincidenza, sui temi dell'apertura e della finitezza ribaltabile in forza, ecco Pavese: In un attimo sarà mattina. Ricomincerà l'inaudita scoperta, l'apertura alle cose. Sono come devono essere: ci passo sopra, le avvolgo, le vivo,come l'aria, come bava di nuvole. Nessuno sa che è tutto qui (Mestiere di vivere, 9 mar, '47).
Sul limite come “privilegio”: A un immortale ciò che è è imposto, la labilità umana è preziosa (Il Diluvio); La libera strada ha qualcosa di unicamente umano (La Strada); A Odisseo il ritorno innumerevole dei giorni non parve mai destino, correva alla morte sapendo cos'era, arricchiva la terra di parole e di fatti (Le Streghe); L'uomo non sa che farsi della morte...i morti non sono più nulla...forse – augura Orfeo a Bacca-Dioniso – un giorno anche tu sarai come un uomo (L'Inconsolabile); Gli dei non ti aggiungono né tolgono nulla, t'inchiodano dove sei giunto. Quello che prima era scelta ti si scopre destino. In altri termini; se dici: “io sono così”, hai compiuto il tuo destino (L'Uomo-Lupo); Immortale è chi non teme la morte (L'Isola); La morte, ch'era il vostro coraggio, può esservi tolta come un bene...Faranno di te come un'ombra, ma un'ombra che rivuole la vita e non muore mai più (La Nube); La morte è destino, non si può che augurarsela – Nel cosmo mitico-caotico non c'era morte ma metamorfosi (La Chimera); Quando il tempo non era ancora nato. Regnavano le cose, allora – gli uomini possono, ma – gli dei non possono mutarle (I Ciechi); Gli dei sono la morte – essendo immortali non sono mai usciti dal nulla (Le Cavalle)
Pavese questo ci dice: se fossimo immortali saremmo perennemente inespressi .
POSSIBILE AGIRE SUL DESTINO. PASSARE DALL'INFORME ALLA FORMA
“Stetti sempre all'agguato e non scampai...Proprio in quegli attimi – di timore di compiere ciò che egli temeva – si compiva il destino”. Siamo come attirati dalla realtà del male (La Strada); “E' il mondo dei Titani e degli uomini...delle belve e dei boschi...del mare e del cielo...di lotta e di sangue,che ti ha fatto chi sei”.Il cosmo informe è originario.L'ordine è una sovrastruttura (La Rupe)
Pavese ha continuato a elaborare il tema “destino” per anni, fino all'ultimo, nel tentativo di ricongiungere nell'umano rinnovato libertà mito e destino.
“Si potrà andare oltre un giorno e considerare anche la libertà un mito? Cioè vederla da un punto di vista in cui anch'essa si scopre destino?”
“Noi siamo al mondo per trasformare il destino in libertà (e la natura in causalità)”. Leggo così: dopo la rivoluzione scientifica, che ci ha fatto intendere che tutto ha una causa, il futuro compito (metastorico?) è quello di cambiare la nostra essenza – originariamente necessitata come quella dei mostri del caos – in libera ed effettiva possibilità di scelta. (30 gennaio 1950, MV)
“La volontà si esercita sui miti e li trasforma in storia. Destini che diventano libertà”( feb.'50, MV)
E' mai possibile guardare le cose in modo “oggettivo”? Il soggetto dovrebbe spogliarsi della soggettività (vale sul terreno del realismo filosofico come su quello letterario). Liberarsi dalla razionalità faticosamente raggiunta. Provare a sentire coi sensi di una bacca, un albero, una belva. Perché quando dici “vuol piovere”o “è mattino” hai perduto comunque la testa. Odisseo, Orfeo, scelgono di essere umani, scelgono l'esistere e non l'essere. Non riescono a tenere assieme la ragione e il caos primigenio. Scelgono, è vero, la finitezza della vita contro l'eternità del nulla, ma questa è proprio la scelta dell'animale razionale. Che cos'è che segnerebbe il passaggio alla consapevolezza, l'apertura autentica al mistero della vita, la sapienza dimenticata di essere potenza infinita, custodita dentro un seme ignaro di sé?
Sono sinceramente convinto, a tal proposito, che, oltre le due letture “essoteriche” (Il destino che avvolge inesorabilmente tutto e la libertà di fuoriuscirne col sapere e l'astuzia “dell'umana semenza”) ne sia possibile una terza, talpesca, sotterranea, esoterica, appunto. Pavese era troppo addentro alle religioni greche per credere che quella olimpica fosse molto più di una scorza, una “religione civile”, adatta a tenere assieme le varie poleis; un sistema valoriale ancorato al nomos d'origine divina -per quanto avesse fuso e tenuto sotto controllo le potenze caotiche. I misteri, orfici, dionisiaci e soprattutto eleusini sono descritti da tutti gli autori che Pavese ha frequentato in quegli anni come la vera cultura religiosa greca, almeno dal VI secolo.
Ipotesi estrema: Bacca potrebbe anche indicare a Orfeo la via che poi lui seguirà: “abbandonarsi all'ebbrezza della musica, della danza, dell'amore e della morte”. Un'altra possibilità teorica di sottrarsi al destino, quella dell'invasamento estatico, eternandosi? Ipotesi congetturale, stravagante: ma il soggetto reale non l'ha percorsa fino in fondo?
LEUCO', IL POTERE DEMIURGICO DELLA PAROLA
“I miti inquietano la coscienza come una parola ricordata solo a metà, e impegnano tutte le energie per rischiararli e possederli. Ma questo vuol dire distruggerli, si sa. Questa distruzione – beninteso è una trasformazione - toglie al mito violato la sua misteriosa potenza di simbolo creduto. Quando si faccia anche “umana filosofia” il processo è finito”.( C.Pavese – Il mito 29-30 genn. 1950)
Il demiurgo, letteralmente libero artigiano o magistrato del popolo, è usato da Platone nel Timeo come artefice dell'universo, principio dell'ordine cosmico che conferisce misura a una materia preesistente.
I dialoghi con Leucò, per Italo Calvino, “scoprono il Pavese umanista, uno scienziato che ha sviscerato tutta la più avanzata cultura mondiale in fatto d'interpretazione delle religioni primitive. E un filologo la cui tecnica creativa nasce da un'approfondita riflessione sui classici antichi e con gli strumenti conoscitivi del moderno etnologo. Ci offrono un appassionato quadro di un'umanità alle soglie della coscienza, che abbandona l'età della comunanza assoluta con la natura, l'età dei mostri e delle metamorfosi, per sentirsi a un tratto separata dalle cose. Questo la rende atta a trasformare la natura in nomi e dèi, e a trovarsi di fronte i dubbi del destino, della libertà, della morte”
Anche se il mondo si muta/ rapido, come forma di nuvola,/ ogni cosa compiuta ricade/ in grembo all'antico./ Ma sovra al mutare e ai cammini/ più dispiegato e più libero/ rimane il tuo canto,/ o Dio sacro alla cetra./ Solo il canto, qui sulla terra/ consacra ed onora.
D.M.Rilke- Sonetto a Orfeo
Ipotesi Givone (Sergio Givone, introduzione a Leucò) : Orfeo ha voluto abbandonare Euridice. Ha pensato che avrebbe dovuto rivivere ancora l'esperienza della morte di lei. Ha capito che, senza la chiarezza che aprono il canto e la parola, non c'è scampo al gelo dell'Ade. Euridice è uno spettro, ma lui vuole salvarsi, tornare uomo, tentare un nuovo inizio. Con la parola e il canto, con la poesia, la musica, sfuggiamo all'indistinto. Con la parola le potenze del Caos sono riconosciute come non naturali, violenza da rifiutare. Anche la trasgressione di Issione è svelata come violenza (indubbiamente tutto sensato e convincente). E' lo stesso Pavese a portarci su questa via.
Mestiere di vivere, 13 luglio 1944. “La natura ritorna selvaggia quando vi accade il proibito, sangue e sesso. Il selvaggio non è il naturale, è il violentemente superstizioso. Il naturale impassibile e innocente è un'invenzione di Rousseau”.
Sia la poesia che la mitologia sono al tempo stesso reincantamento e demitizzazione. L'emozione originaria si perde, una volta portata alla chiarezza della parola:
1)-Lettera a Fernanda Pivano, giugno '42. “Rivedere alberi,case, sentieri è un riaffiorare di immagini primordiali, come mi nascesse dentro, ora, l'immagine assoluta di queste cose. Ci vogliono miti, universali fantastici, per esprimere a fondo l'esperienza che è il mio posto nel mondo.”
2)-Mestiere di vivere, 17 sett. '42. “Ci è dato raccogliere eventi dispersivi in un attimo estatico, cioè un simbolo. Tutto quel che accade nel tempo ha senso solo a partire dalla possibilità che abbia un significato incontrovertibile”.
3)- Feria d'agosto – La vigna – “Un attimo fatto di nulla, dimenticato, lascia affiorare alla coscienza ciò che era il tempo quando il tempo per la coscienza non esisteva. L'infanzia è questo tempo, la regione dell'essere in cui il tempo si manifesta come eterno” (credo che l'infanzia sia solo un esempio di “istanti estatici”ai quali il subconscio può accedere in qualsiasi momento,come conferma altrove)
4)- Feria d'agosto '43.'44 – Del mito, del simbolo e d'altro – “Della poesia, anzi della fiaba mitica si deve dire che, in quanto emozione originaria, non è mai. La poesia si nutre di miti, ma li distrugge portandoli a chiarezza. Poesia e mito (fiaba mitica) implicano presa di distanza, perdita dell'innocenza, caduta nel dominio della parola.”
La parola è rivelazione dell'essere e, nello svelamento, abolisce il mito e fonda la storia
Eppure il mito è necessario in ogni epoca, perché non c'è processo simbolico che non origini da un'emozione poetica. La poesia, l'arte, la musica, hanno il selvaggio come fonte privilegiata. Da una parte il fatto artistico è attirato dall'irrazionale, dall'altro rifiuta, di più o di meno a seconda delle epoche, l'orrore dei miti, il caos delle origini.
Non ci possono essere dubbi, credo, sulla esattezza di queste affermazioni. Però, anche in questo, Leucò è un'eccezione: conserva, per mezzo di un'ambiguità delle scelte operate dai personaggi mitici e dal ricercato affidamento al lettore di una “decrittazione”, parte del mistero. L'ambizione di Pavese, non del tutto dichiarata, è di ricreare il mito riuscendo ad aggiungervi almeno un po' della perduta ossimorica “forma informale” delle origini.
E' del resto incontestabile, per me, che senza le parole demitizzanti della mitologia non si potrebbe neppure tentare di chiarire il fondo oscuro della psiche.
Per Pavese conoscere è ricordare (la comprensione ha sempre una seconda volta). Poesia è gioire nel ridestare il significato e, seppure ciò contraddica la civilizzazione – che c'impone di liberarci dalla superstizione – ci fa capire che Mnemosine conserva un fondo oscuro (di sesso, sangue e violenza) inestricabile, imprescindibile.
Odisseo sceglie la sorte umana. Apprezzabile, condivisibile. Ma il punto non è questo: è la possibilità di scelta che lui, come ognuno di noi, ha. Concessa dalla maga per “amore”? Non ci credo: Circe sa che il bisogno di libertà è in lui incoercibile (il misero espediente di Leucotea non avrebbe funzionato a lungo). Dare l'immortalità a un uomo “umano” avrebbe posto alla maga condizioni inaccettabili: “tutto fra loro è imprevisto e scoperta”. Bestie e dei hanno scritto in fronte il loro destino, non c'è segreto “nel fondo dei loro cuori”. Gli uomini, invece, hanno capacità uniche, e una rammemorazione creativa. Fatti di tempo, “tutto quel che toccano diventa azione e speranza. Di pendii sassosi sanno fare giardini. Dappertutto, dove spendono fatiche e parole”, nascono musica, arte, poesia che dà senso alla loro vita. Hanno un modo di nominare le cose che le fa uscire dal nulla.
Cesare Pavese. Dialoghi con Leucò – Einaudi 1947
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