Viaggio di notte ed arrivo all'alba. Sola. Poi un giro
nella Bastia antica, con il fascino delle vecchie battone. Sì, volevo proprio
dire puttane. Vecchia e sfatta, con il puzzo di piscio agli angoli, i vicoli
bui, l'anziano addormentato con la testa appoggiata sul braccio e questo
sullo schienale della sedia con l'impagliatura tutta rotta, fuori del portone
della sua casa ... un budello stretto stretto, che sale ripido su per quelle
scalette scalcinate e buie, con gli scalini consumati nel mezzo.
Via Vattelapesca. Non è uno scherzo, la stradina si
chiama proprio cosi. La vecchia puttana è questo: l'antitesi dell'eleganza,
anzi un'accozzaglia di superfetazioni, di vecchie insegne pubblicitarie, di
fili elettrici, di panni stesi, confondono l'occhio, che a fatica ritrova le
tracce di un passato nobile. Un passato che narra di ricche famiglie
provenienti da Genova, da Venezia che qui controllavano i propri traffici
commerciali ed ancora qui facevano costruire i loro palazzetti, seguendo il
gusto dell'architettura italiana, ambasciatori dello stile della loro città di
origine.
In mezzo alle
umili ed anonime facciate distinguo palazzo Ciardi, con il sorprendente
vestibolo voltato ed affrescato ed il palazzo dei rilievi femminili,
organizzato su ben nove piani, i cui fondaci al livello terreno, destinati ad
accogliere i magazzini delle merci. Bel bassorilievo in facciata: due
donne sedute simmetricamente ed un animale marino fantastico al centro,
immagino il tributo di una famiglia matriarcale, dedita ai commerci per mare.
Come una rete da pesca è la struttura urbanistica della Bastia vecchia, una
maglia di stradine, grosso modo parallele, poste su livelli diversi e collegate
da rampe di scale più o meno strette, più o meno ripide, che scendono verso l'antico
porto. Ricorda Genova o Portoferraio, città con le quali Bastia ebbe
evidentemente stretti rapporti di scambi commerciali, politici e culturali.
Rari slarghi si concede la stretta maglia urbanistica, nemmeno le due chiese
presenti hanno la consueta piazza in fronte facciata.
L'unica vera piazza è quella del mercato, di impianto
ottocentesco, con i platani lungo tutto il perimetro rettangolare e una moderna
fontana al centro: una sensuale figura femminile beve dallo zampillo d'acqua di
fronte alle sue labbra. Inizia la vita, si montano i banchi della frutta,
si issano enormi ombrelloni bianchi, arrivano i furgoni che si allineano uno
accanto all'altro.
Fra questi mi colpisce uno: "Boucherie populaire
traditionale corse", recita l'insegna rossa sul furgone bianco. Macelleria
popolare tradizionale corsa, tradotto alla lettera. Un trionfo di pezzi di
carne di ogni genere. Rossa o rosata, fresca e dall'aria invitante. La cucina
tradizionale dell'isola è ricca di carne in effetti. Arrivano le prime massaie,
alcune con il carrellino altre con le borse di paglia. Si fermano, osservano,
commentano, acquistano. Quando incrociano un'amica scambiano i convenevoli
saluti, noto in lingua francese. La lingua corsa è viva nell'isola, ma forse
maggiormente praticata dagli uomini che non dalle donne. La città è oramai animata, i tipici tavolini dei caffè sulla piazza si riempiono di gente. Fra gli
avventori molti sono i gestori islamici dei banchi del mercato; la lingua araba
si mischia al francese e alla lingua corsa. Si prende un caffè, si fuma una
sigaretta, si commenta la partita di calcio, trasmessa in TV la sera
precedente.
Un giovane accompagnato da due ragazze, abbigliate con abiti eleganti, rumorosi e ridanciani, reduci da una nottata di divertimento e presumibilmente di bevute alcoliche, mi passano accanto e mi salutano allegramente ... bonjour madame! ... ricambio il saluto con altrettanta allegria ...bonjour a tout le monde
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