27 ottobre 2024

"La casadei notabili" di Amira Ghenim

 


di Giulietta Isola

“Ricordo che la mattina dopo le nozze, quando era sposato da una notte appena, tuo nonno lo ha fatto chiamare per colazione e gli ha detto lisciandosi i baffi: “Dì alla figlia di ar-Rassà, tua moglie, di dimenticarsi quello che faceva in casa di suo padre, perchè le leggi in vigore qui sono le nostre, quelle di casa en-Neifer… E qui nessuno entra o esce senza un motivo valido. Questa è una casa all’antica.”

          Ambientato a Tunisi a metà degli anni ’30, il romanzo dell’accademica e autrice tunisina Amira Ghenim, è un omaggio alla figura dell’intellettuale e riformatore tunisino Taher al-Haddad, autore nel 1930 del testo La nostra donna nella sharia e nella società che quando uscì creò un tale scalpore da renderlo un reietto fino alla fine della sua vita, condannandolo alla miseria e alla vergogna. 

 

        Al-Haddad è il protagonista silenzioso di questa grande saga familiare che è allo stesso tempo un affresco sociale, politico e culturale della Tunisia di quel periodo. Il racconto narra le vicende di una famiglia altolocata e molto conservatrice di Tunisi, gli en-Neifer, composta dalla madre lella Jnaina, il padre si Othman, i due figli Mohsen e Mhammed e la nuora Zubaida, moglie di Mohsen. La tranquilla vita domestica viene scombussolata dall’arrivo di una lettera per Zubaida durante una sera come tante, quando la famiglia è riunita nella grande casa nella medina di Tunisi. Sarà l’inizio di una serie di eventi drammatici che coinvolgeranno anche la famiglia di Zubaida, gli ar-Rassa, progressisti e liberali, nonché le domestiche degli en-Neifer e altri personaggi. 

        Ghenim costruisce un romanzo polifonico, ogni capitolo è affidato a un personaggio diverso che racconta i fatti di quella tragica notte dal proprio punto di vista, svelando di volta in volta dettagli e retroscena e arricchendo il racconto con altre storie che hanno per protagonisti personaggi della società, della politica, e della cultura tunisina di quel tempo e dei decenni successivi. 

        Emerge un affresco vivacissimo di una società che anela l’ indipendenza, mentre sullo sfondo si anima il confronto tra chi è favorevole all’istruzione e ai diritti delle donne e chi ancora contrario. Sarà il primo presidente della nuova Tunisia indipendente, Habib Bourghiba, a sancire la vittoria dei primi sui secondi con la promulgazione, nel 1957, del Codice dello statuto della persona, che garantì alle donne tunisine molti diritti, scuotendo alle fondamenta una società ancora molto patriarcale e ridando gloria e fama all’intellettuale che per primo, a metà degli anni ’30, aveva tracciato il passo: quel Taher Haddad, la cui vita sfortunata fa da sfondo alle vicende raccontate nel libro. 

        Fra aneddoti e descrizioni , proverbi e modi di dire comuni, credenze e magia popolare l’autrice sfoggia una cultura e una proprietà di linguaggio non comune per raccontare un dramma a tutti gli effetti: un matrimonio distrutto dai sospetti, liti tra fratelli, violenze inaudite, vergogne, odi segreti eppure è presente un’ironia di fondo e un delicato humor che alleggerisce storie di schiavitù, di ingiustizie e di cieca sottomissione. 

       Amira Ghenim incanta e tiene incollati alla pagina per la meticolosa ricostruzione storica, la caratterizzazione dei personaggi magistrale, curata e profonda grazie a un’acuta introspezione psicologica, la scrittura è raffinata, elegante, ricca di sfaccettature, impregnata di odori, sapori, colori, musicalità diverse. Un libro emozionante che aiuta a comprendere l’evoluzione del ruolo delle donne verso la moderna società tunisina.

LA CASA DEI NOTABILI di AMIRA GHENIM E/O EDITORE

 

 

25 ottobre 2024

" Un marziano a Roma" di Ennio Flaiano

 


Da settant’anni un marziano gira per le strade di Roma

 di Luciano Luciani 

 

     Un marziano a Roma, 1954, di Ennio Flaiano, scrittore, giornalista, sceneggiatore di alcuni tra i più importanti film del dopoguerra (I vitelloni, La dolce vita, Otto e mezzo) lo lessi, per fortuna, da adulto. Così, mi fu possibile gustare fino in fondo gli umori corrosive dello scrittore abruzzese, la sua vena satirica, il suo acuto senso del grottesco capace di cogliere gli aspetti più paradossali della sua contemporaneità. 

       

        Racconto lungo, nato probabilmente come reazione scettica all’eccitazione diffusa per i primi avvistamenti di “oggetti non identificati”, presenta questo incipit secco, essenziale: “12 ottobre. Oggi un marziano è sceso con la sua aeronave a Villa Borghese, nel prato del galoppatoio. Cercherò di mantenere, scrivendo queste note, la calma che ho interamente perduta all’annunzio dell’incredibile evento, di reprimere l’ansia che subito mi ha spinto nelle strade, per mescolarmi alla folla. Tutta la popolazione della periferia si è riversata al centro della città e ostacola ogni traffico. Debbo dire che la gioia, la curiosità è mista in tutti ad una speranza che poteva sembrare assurda ieri e che di ora in ora si va invece facendo più viva. La speranza “che tutto cambierà”. Ma la novità dura poco…

        Preso nei ritmi blandi, molli, appiccicosi della Capitale cattolica e democristiana, Kunt il marziano, per niente minaccioso, anzi gentile e amabile, perde velocemente di credibilità e d’interesse e finisce anche per suscitare qualche sospetto: “Ma che è venuto a fare?”, comincia a chiedersi qualcuno… E, nel giro di poche settimane, da ospite d’eccezione si trasforma in un forestiero mal sopportato che non vede l’ora di tornarsene, melanconicamente, sul suo rosso pianeta: “Si parla … di una sua prossima partenza, sempre se riuscirà a riavere l’aeronave, che gli albergatori hanno fatto, si dice, pignorare”.

 

        Testo di un’ironia tagliente come un rasoio affilato, degno della migliore tradizione pamphlettistica europea, Un marziano a Roma utilizza l’allora recente e sempre più fortunata moda fantascientifica per intenzioni, nient’affatto bonarie, di critica sociale e di costume. 

 

         È, poi, mia convinzione che a Flaiano, eccezionale uomo di cinema, critico e sceneggiatore, non dovessero essere sconosciute le suggestioni di Ultimatum alla Terra, 1951, di Robert Wise, forse il primo film USA anni cinquanta che ci proponga l’immagine di un extraterrestre mite e pacifico.

 

 

 

07 ottobre 2024

" La furia" di Sorj Chalandon

 


di Marigabri
 
Non sapevo che farmene della pietà o della bontà. Soltanto la mia vita, soltanto la mia faccia. Soltanto la mia ombra sul muro di cinta, che cercava di arrampicarsi fino ai cocci di bottiglia per raggiungere i gabbiani.”
Ecco Jules Bonneau, un adolescente nutrito dalla propria furia.
Perché come si può resistere a lungo e ogni giorno, in un riformatorio per orfani che in realtà è una colonia penale, un luogo di soprusi e inenarrabili violenze, se non diventando duri e bastardi e refrattari a ogni possibile correzione?
 
Diventando cioè “la Tigna”, soprannome che Jules si è guadagnato sopportando tutte le vessazioni, le sadiche punizioni, i lavori forzati, le umiliazioni… senza mai cedere all’autocommiserazione, alla semplice compassione, alla follia e al pianto.
 
Trovando nella propria rabbiosa immaginazione un rifugio e uno sfogo al bisogno di giustizia: aggredire, sventrare, accoltellare, infliggere le più strazianti punizioni agli oppressori, alle guardie, agli aguzzini, ai persecutori di bambini, a chi non verrà mai punito.
Fino a quando l’immaginazione rompe il vetro impercettibile e sottile che separa la fantasia dalla realtà, fino a quando cinquantasei ragazzi si ribellano, spaccano tutto, saltano sui tavoli, urlano, picchiano, feriscono chi li ha feriti, scavalcano i muri…scappano.
Ma Belle-Île-en-Mer, nome soavissimo per una orrenda prigione, si trova su un’isola: piccola, impervia, delimitata da aspri confini e protetta dall’oceano intorno.
E così tutti verranno catturati, complici i bravi francesi che si guadagnano venti franchi per ogni bambino consegnato, tutti tranne uno, colui che ci sta raccontando questa storia: Jules Bonneau, detto la Tigna.
Un narratore con cui Sorj Chalandon, per la sua storia personale (vedi “La professione del padre”) si identifica.
La terribile prigione, istituita in Francia negli anni Venti, dove molti poveri ragazzi abbandonati e sbandati vennero rinchiusi con il pretesto di essere raddrizzati e corretti, è cronaca vera, e anche quella sfortunata evasione è accaduta veramente.
Sui rari documenti ritrovati il giornalista/scrittore costruisce questa toccante, intensa, grandiosa storia di sopraffazione e volontà di riscatto. Una storia di formazione (o de-formazione) ma anche di denuncia sociale e politica. All’interno di un periodo storico fibrillante e teso che porterà all’affermazione dei peggiori regimi totalitari in Europa.
Una storia toccante che avvince e coinvolge, fa tremare di rabbia e di dolore. Una storia che, una volta iniziata, non si può più smettere di leggere.
E mentre vediamo quella furia devastante distruggere ancora, sappiamo che per guarire dovrebbe diventare una cosa soltanto: giustizia che cura.
 
Sorj Chalandon. La furia. Guanda