24 settembre 2009

"Con una ninna nanna Trilussa si schierò contro la guerra" di Luciano Luciani




Ottobre 1914
A partire dalla scintilla di Sarajevo, il primo conflitto mondiale si era già rovinosamente allargato a quasi tutto il continente europeo. Fa eccezione l’Italia, che pur facendo parte della Triplice Alleanza, aveva dichiarato di volersi mantenere neutrale, non essendosi verificato il casus foederis, esclusivamente difensivo, previsto dal trattato. Dietro questa posizione c’era non solo l’eredità risorgimentale di un sentimento antiaustriaco condiviso dalla maggioranza dell’opinione pubblica italiana, ma le generalizzate e diffuse convinzioni pacifiste e neutraliste delle masse socialiste e cattoliche del nostro Paese. Lo stesso papa Benedetto XV, salito al soglio pontificio nell’estate 1914, proprio nei giorni più drammatici dell’accelerazione in senso bellicista della crisi europea, non faceva mistero delle sue idealità orientate in senso ostile alla guerra. Le rendevano ancora più nette le notizie degli orrori che già si consumavano sui vari fronti teatro delle operazioni militari: il Belgio, il nord-est della Francia, la Marna, la Prussia orientale erano gli scenari di una carneficina mai vista prima nella pur lunga storia delle guerre che avevano opposto, l’un contro l’altro armati, i popoli europei. Nei soli primi quattro mesi di guerra sul fronte occidentale si erano contati 400mila morti e quasi un milione di feriti.
Nonostante questi terribili esempi, l’iniziale opzione neutralista dell’Italia entra ben presto in crisi. Liberal–conservatori, e socialriformisti, associazioni irridentiste e sindacalisti rivoluzionari, repubblicani e radicali, in minoranza nel Paese e nel Parlamento, cominciano rumorosamente ad agitarsi in favore di un intervento contro l’Austria per portare a conclusione il processo di unità nazionale iniziato nel Risorgimento. Non manca neppure il clamoroso voltafaccia di Benito Mussolini, allora direttore dell’”Avanti”, che dalle colonne del quotidiano socialista forza la situazione del suo partito e del Paese perché si passi dalla “neutralità assoluta alla neutralità attiva e operante”. Pochissimi lo seguono, il Partito socialista lo sconfessa e Mussolini abbandona la direzione del giornale per finire espulso dal partito.
In termini di forza parlamentare e di peso nella società i neutralisti erano in netta prevalenza, ma gli interventisti esprimevano una notevole capacità di mobilitazione nelle piazze, sui giornali, nelle università tentando di far passare l’immagine di un “paese reale” voglioso di guerra che si contrapponeva a quello legale con alla testa il parlamento giolittiano debole, screditato e corrotto.
Decisiva ai fini dell’entrata in guerra fu la mobilitazione degli intellettuali da Luigi Albertini a Giuseppe Prezzolini, da Giovanni Gentile a Gaetano Salvemini, a Luigi Einaudi.
Gabriele D’Annunzio non esita a mettere al servizio della causa interventista tutto il suo carisma di letterato, poeta, uomo di teatro, improvvisandosi capopopolo, demagogo, agitatore di masse e piazze secondo modalità più tardi apprezzate e riprese dal fascismo.

In questo scontro pace-guerra che divise l’Italia e che vide gli intellettuali giocare un ruolo determinante, non va dimenticata una voce pacifista, certo più mite e sommessa di quella dell’eclettico e sonoro poeta pescarese, nutrita però di valori di pace e tolleranza e di un’angosciosa umanità di fronte agli indicibili orrori del conflitto: quella di Trilussa.

Nel 1914 il poeta romano, poco più che trentenne, era all’apice della sua fama. Quasi un’istituzione, amato e apprezzato tanto dal popolo quanto dalla borghesia e dall’aristocrazia della capitale, blandito – e temuto – dai politici, benvoluto dagli intellettuali. Moderno Esopo, la sua arguzia, la sua ironia, la sua popolaresca sincerità, corrispondevano agli umori profondi del senso comune romano e nazionale: alla sua vena moraleggiante e priva di particolari audacie ideologiche attingevano a piene mani comici, intrattenitori, artisti di varietà da Ettore Petrolini a Nicola Maldacea. Insomma, Trilussa apprezzato cantore di un buon senso vernacolo lontano da ogni sdegno e furore, faceva opinione. E a lui si deve una poco nota ma durissima testimonianza contro la guerra:

1
Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vo’ la zinna,
dormi dormi, cocco bello,
se no chiamo Farfarello,
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone,
Gujermone e Cecco Peppe
che s’aregge co’ le zeppe…

2
…co’ le zeppe de un impero
mezzo giallo e mezzo nero;
ninna nanna, pija sonno
che se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedono ner monno,
fra le spade e li fucili
de li popoli civili.

3
Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che comanda,
che se scanna e che s’ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio de una fede
per un Dio che nun se vede…

4
…ma che serve da riparo
ar sovrano macellaro:
che quer covo d’assassini
che c’insanguina la tera
sa benone che la guera
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe’ li ladri de le Borse.

5
Fa la ninna, cocco bello,
finché dura ‘sto macello,
fa la ninna, che domani
rivedremo li sovrani
che se scambiano la stima,
boni amichi come prima;
so’ cuggini, e fra parenti
nun se fanno complimenti!

6
Torneranno più cordiali
li rapporti personali
e, riuniti infra de loro,
senza l’ombra de un rimorso
ce faranno un ber discorso
sulla pace e sur lavoro
per quer popolo cojone
risparmiato dar cannone.

Questo testo conobbe una larga diffusione che secondo alcuni storici sarebbe arrivata fino alle trincee, resa ancor più ampia e penetrante dalla partitura di un musicista rimasto anonimo.
E non fu l’unica presa di posizione in favore della pace del poeta romano. Trilussa tornava sulla questione ancora nel Natale del 1915 scrivendo:

…Fa’ in maniera Gesù bello,
che una scheggia de mitraja
spacchi er core a la canaja
ch’ha voluto ‘sto macello!
Fa’ ch’armeno l’impresario
der teatro de la guera
possa vede sotto tera
la calata der sipario.
Fai ch’appena liberato
dalli barbari tiranni
ogni popolo commanni
ne’ la Patria dov’è nato.

Certo, non si poteva pretendere da Trilussa rigore politico e coerenza ideologica. La stessa popolarità che lo rendeva caro a tutti lo spingeva poi ad aderire sentimentalmente ai grandi movimenti d’opinione più o meno spontanei: così nel febbraio 1917 lo troviamo non da solo a magnificare in versi vernacoli le sorti del Prestito Nazionale lanciato per finanziare quella stessa guerra che con sentimento tanto doloroso il poeta aveva contribuito a criticare.