18 novembre 2013

"Imperia, cortigiana romana" di Luciano Luciani



Bella, ricca, infelice


Oltre alla veneziana Veronica Franco e a Tullia d’Aragona che esercitò i suoi talenti a Roma, Venezia, Siena e Firenze tra le famose cortigiane rinascimentali va ricordata anche la romana doc Imperia. 

Bella, ammirata, desiderata, era dotata di straordinario fascino e del potere che le derivava dagli uomini a cui si accompagnava: uno per tutti il senese Agostino Chigi (1465 – 1520), detto, pure lui!, il Magnifico, banchiere di papi, costruttore della Farnesina, munifico mecenate di letterati e artisti. Imperia segna della sua personalità la fase ascendente del Rinascimento romano. 

Nata nel rione di Borgo il 3 agosto 1486 da una cortigiana di modesto profilo, Diana Corgnati, e da Paris de Grassis, cerimoniere pontificio, molti ne cantarono la straordinaria bellezza: “bianca e spaziosa la fronte, incoronata da capelli color dell’oro, sottile il collo e ampi e deliziosi i seni”. Modella - e quasi per certo amante - di Raffaello Sanzio, che probabilmente la raffigurò nelle fattezze di Galatea nell’affresco che si trova alla Farnesina, conversatrice brillante e autrice di versi non disprezzabili, “si dilettava de le rime volgari” e “non insoavemente componeva qualche sonetto o madrigale”. Un’abilità appresa alla scuola dello Strascino, ovvero il letterato originario di Siena Domenico Campani, autore di rime giocose, di gran moda nella Roma dei primi anni del Cinquecento, poeta mediocre, ma capace di impartire alla giovane arrampicatrice sociale una raffinata educazione umanistica. 

Cortigiana tra le più celebrate si poteva permettere di abitare in una residenza simile a una reggia nei pressi della locanda dell’Orso, in uno dei quartieri più ricchi della città. ”Era una casa apparata et in modo del tutto provvista, che qualunque straniero in quella v’entrava, veduto l’apparato e l’ordine de servidori, credeva ch’ivi una principessa abitasse. Era tra l’altre cose una sala et una camera et un camerino sì pomposamente adornati, che altro non v’era che velluti e broccati, e per terra finissimi tappeti… in sur una ricca sedia vi era una bella e vaga giovinetta di età di anni diciotto, quale era vestita di ricchissime veste, con un numero infinito di pontali d’oro e gruppi di perle… E perché tutte le cortigiane di Roma, specialmente quelle che sono di qualche valore, sogliono stare in casa per lo manco con due fanti… quelle fanti tutte preste apparecchiorno nella ampia sala una ricca tavola con molte preziose vivande e finissimi vini”: così descrive la sua dimora Matteo Bandello che l’amò, come pure il vescovo Iacopo Sadoleto, il bibliotecario del papa e organizzatore di eventi teatrali Tommaso Inghirami, il poeta licenzioso Bernardino Cappella, Camillo Porcari, Antonio Lelli, il letterato umanista Angelo Colocci, Filippo Beroaldo junior che animarono il sofisticato circolo artistico – letterario che si ritrovava nella sua suntuosa magione.

Imperia, però, non era felice. Innamorata, infatti, di un nobile romano, Angelo Del Bufalo, non poteva sposarlo perché l’uomo era già legittimamente coniugato e nella Roma papale si poteva senza scandalo condividere il letto con un cardinale, ma non era permesso divorziare per non infrangere il sacro vincolo del matrimonio. E allora, dopo l’ennesimo litigio con l’amante, decise di uccidersi, assumendo un veleno mortale: a nulla valsero le cure dei medici più famosi di Roma fatti giungere al suo letto dall’antico protettore, Agostino Chigi. Dopo due giorni di una dolorosa agonia, Imperia morì: una vicenda tragica che colpì l’immaginario popolare al punto che i cantastorie la celebrarono a lungo per le strade di Roma intonando una tarantella intitolata Il lamento di Imperia mandato dall’inferno in questo mondo attribuita a Giuliano Ceci. Pietoso della sua vicenda fu addirittura il terribile Aretino che di lei scrisse che “morì bene, ricca, e in casa sua e onorata.”
Così il poeta Giano Vitale la piange nell’ Imperiae panegyricus:

Si elargirono a Roma due gran doni
Marte le die’l’impero, Venere Imperia.
Morte e Fortuna ostaron, e portò via
Fortuna impero,
Imperia Morte
Pianser l’impero i padri,
noi, noi questa piangemmo.
Quelli l’impero, noi, noi
abbiamo perso il cuore.

Sepolta in una bellissima tomba rinascimentale nella chiesa di San Gregorio al Celio, voluta da Agostino Chigi, di lei restò, per oltre un secolo, solo il ricordo di un’elegante iscrizione latina che tradotta suonava così: “Imperia, cortigiana romana che, degna di così gran nome, offrì un esempio di bellezza raro per il genere umano. Visse ventisei anni e dodici giorni e morì nell’anno 1512, il 15 agosto”. Un congedo dal mondo che non pecca certo d’ipocrisia come, invece, quello di un’altra ‘cortigiana onesta’, Beatrice Pareggi, inumata sempre nella chiesa di Sant’Agostino: “Fu madre esemplare, rapita nel fiore della sua santa gioventù”.



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