30 aprile 2024

"Ritorno in Iran" di Fariborz Kamkari

 


di Giulietta Isola

ATTENZIONE parlo poco del libro e molto di donne e società. 

       Fariborz Kamkari, autore , regista e sceneggiatore iraniano di origine curda, ci regala un romanzo difficile da scordare, fluido nella scrittura , amorevole e delicato nell’affrontare le lotte interne dei protagonisti e rabbioso nel descrivere la storia dell’Iran moderno, delle sue contraddizioni e della sua violenza. 

       Kamkari abituato alla macchina da presa , padroneggia bene anche la penna, cambia continuamente le inquadrature su mondi e personaggi , alterna presente e passato, sogni e incubi per regalarci una lettura coinvolgente che ci spinge a sapere come finiranno le peregrinazioni del protagonista , un regista quarantenne fuggito in Italia per evitare la repressione e la censura del Governo per i suoi lavori teatrali scomodi, ma costretto al ritorno in Iran, per ricongiungersi alla madre in fin di vita. 

        Un viaggio a ritroso verso le proprie origini, le proprie paure e la propria memoria. Non si tratta di una biografia in senso stretto, ma un mosaico di due, anzi tre vite, compresa quella dell’autore, con una presenza molto forte delle donne, una presenza che in Iran è vissuta in una maniera piuttosto difficile. 

       Ciò che Kamkari ha scritto sulle donne viene dalla realtà vissuta da bambino e poi da adulto, nell’Iran post-rivoluzionario. Quella di Khomeini è stata una rivoluzione “abortita”, nelle intenzioni si voleva abbattere la tirannia dello Shah, ma il populista ayatollah ambiva a una società disegnata da lui stesso disattendendo le vere necessità del popolo iraniano, il suo intento era ricostituire la società che c’era ai tempi di Maometto 1400 anni prima, in cui le donne avevano una presenza quasi nulla. Le prime leggi demolite dai teocrati furono quelle che proteggevano le donne, il nuovo sistema voleva riportarle in casa e relegarle alla procreazione ed all’accudimento dei bambini. 

        Nonostante l’amarezza e l’isolamento patito, le donne dimostrano ancora oggi una grande forza per combattere: se dopo più di 40 anni il regime non è ancora riuscito a imporre il suo disegno, il merito è tutto loro che sono estremamente attive in ogni settore e capaci di distruggere quell’idea di società medievale che le voleva escludere dalla vita culturale e politica. 

       Il regime dello Shah non offriva nessuna alternativa politica, assomigliava molto ad una tirannia, ma 70 anni di “modernismo” avevano portato le donne fuori di casa per studiare nelle università, per lavorare e per operare nella società. Quelle donne avevano ormai imparato il gusto della libertà e tentarono di sfuggire almeno in parte alla volontà degli integralisti islamici che le voleva chiuse in casa. 

       Fra le donne presenti nel romanzo Bahar e la madre del protagonista sono personaggi forti con molti chiaroscuri: una estremamente combattiva, pronta a morire pur di generare dei cambiamenti; l’altra più piegata su sé stessa e obbediente alle regole. Interessanti le considerazioni su coloro che emigrano , una frase mi ha colpito profondamente: “Nessuno conosce la tua vera storia. Tu eri morto per noi, come tutti quelli che emigrano”, come dire che chi emigra perde la sua presenza sociale ed il contatto con ciò che lascia che poi non si ritrova mai più. 

        Oggi il capo del regime non è scelto dal popolo, ma individuato da Dio ed esercita la patria potestà su ogni cittadino del Paese, un po’ diversa la situazione nel montuoso Kurdistan iraniano: le montagne hanno protetto i curdi dalle invasioni e dalla cultura dell’obbedienza, l’Islam sciita non ha largo seguito, ma la montagna è stata anche una sorta di muro che ha tagliato il popolo fuori dai giochi: le potenze europee vincitrici della Prima guerra mondiale ridisegnarono la mappa della regione dividendo il popolo curdo fra quattro Paesi: Siria e Iraq, Turchia e Iran. 

       Nella cultura curda le donne sono molto più libere e presenti nella società, in Kurdistan la resistenza al regime è forte, ci sono ben tre partiti di opposizione con un largo seguito e un rapporto diretto e radicato nella società curda.

       Questa lettura è stata ulteriore ragione di approfondimento su un Paese che amo molto.

RITORNO IN IRAN di FARIBORZ KAMKARI LA NAVE DI TESEO EDITORE

29 aprile 2024

"La bambolona" di Alba de Céspedes

 

di Marigabri

“In fondo, non aveva mai avuto voglia di niente, ma era andato avanti senza fermarsi, senza mai domandarsi qual era lo scopo della sua energia; anzi, come se quell’energia fosse il suo solo motivo.”

           Sorprende Alba de Céspedes con questo romanzo uscito nel 1967 assumendo il punto di vista dell’avvocato Giulio Broggini, borghese facoltoso e accumulatore seriale di avventure a tempo con donne avvenenti e disinibite.

      Esempio emblematico di maschilismo italiano, Giulio rappresenta una società, quella rampante degli anni Sessanta, e una città, Roma, dove il divario tra ricchi e poveri è direttamente proporzionale a quello che ancora sussiste tra possidenti acculturati e nullatenenti ignoranti (ma con molte aspirazioni a diventare dei ben pasciuti piccolo-borghesi).

       In questo contesto si inserisce la storia dell’annoiato e scaltrito avvocato quarantenne che all’improvviso s’incapriccia di Ivana, una diciassettenne procace e imbronciata, che sembra essere priva di vere emozioni.

       Non ha dubbi Giulio, abituato a vedere soddisfatti i propri desideri: quella scontrosa bambola di carne lui deve averla, anche a costo di sposarsela. È così che l’avvocato tesse le sua tela e, seguendo la formosa fanciulla, arriva in un quartiere popolare dove va a conoscere i genitori di lei, i modesti coniugi Scarapecchia, di origine calabrese, mentre è vegliato nell’ombra e tacitamente sorvegliato da un loro misterioso parente questurino. Con il quale imbastisce pittoreschi vaniloqui mentali e prove di forza altrettanto immaginarie (volte a stabilire chi ce l’ha più lungo?).

      Ma è con sé stesso che lo scafato viveur se la deve vedere. Con la propria smania di oggettualizzare chi oggetto non sarà mai: l’ottusa “bambolona”, infatti, è tutt’altro che stupida ma dovremo arrivare alla fine della storia per averne la prova e vedere soddisfatti i nostri voraci appetiti di lettrici e lettori.

      Il programma di seduzione messo in atto dall’avvocato è perciò destinato a incontrare l’imprevedibile comportamento di una ragazza apparentemente ingenua ma ben provvista, in realtà, delle spiazzanti risorse tipiche della giovinezza.

      Questa commedia grottesca e amara conferma il grande talento di Alba de Céspedes che procede con mirabile lucidità a ritrarre una società, quella italiana del boom, piena di contraddizioni ben presto destinate all’implosione e nel contempo a svelare il fallimento e l’implicita tristezza dei rapporti umani superficiali e utilitaristici.

Alba De Céspedes. La bambolona. Mondadori 

07 aprile 2024

"La nonna giovane" di Beppe Calabretta

 

 

di Marisa Cecchetti

       Caterina, Vera e Bianca sono madre, figlia e nipote - la madre non arriva ai quarant’anni - al centro della storia di Beppe Calabretta, oltre ad un commissario di polizia, ad un uomo momentaneamente smemorato e a qualche comparsa. Se il titolo di per sé incuriosisce, quando si entra nel loro mondo la curiosità diventa maggiore.

Si scopre che la madre, ciò la nonna, è un avvocato, che la figlia Vera è nella fase di allattamento e frequenta la scuola superiore, che la sua piccola Bianca è gestita da entrambe le donne con tempi regolarmente suddivisi, grazie al fatto che Caterina ha lo studio legale sotto casa. Una famiglia non comune, ma ordinata, che sembra serena.

   Un giorno, di ritorno dai giardini pubblici con la bambina, Caterina sente suonare, apre, non fa in tempo a vedere un uomo davanti alla porta, che  lui si accascia per terra privo di sensi. Chi è? Perché cerca proprio lei? Entra dunque in scena un commissario a cui è affidata la soluzione, complicata dal fatto che l’uomo sembra avere dimenticato tutto di sé.

   Il tema della smemoratezza acquista un peso notevole, infatti anche Caterina è in lotta con ricordi lontani che non riesce a ricostruire: al centro hanno la figura del nonno, che svanisce quando sta per pronunciare parole importanti che lei ha dimenticato. C’è qualcosa di doloroso, come una ferita nascosta dalla nebbia, che ha lasciato nel suo sguardo un velo di tristezza: se ne accorge presto il commissario quando cominciano a frequentarsi. Quale mistero deve ancora venire alla luce?

  In modo leggero, che non si compiace di scavare nel dramma, in un alternarsi di prima e terza persona, di dialogo, riflessione individuale e narrato, Beppe Calabretta affronta il tema del dolore, quello tanto forte da causare amnesie momentanee o rimozioni durature: solo la scoperta delle radici, delle cause della sofferenza, può permettere di recuperare se stessi e intervenire dove necessario.

   Vera è una adolescente che si trova a essere madre per caso, per distrazione: quando è lontana dalla piccola Bianca, quando non si sente investita dai propri doveri educativi, riprende con gusto il linguaggio colorito dei suoi coetanei. Come incredula di fronte alla profonda trasformazione della sua vita, si pone domande che si farebbe un infante, che strappano un sorriso.

   Questa famiglia così ben organizzata nelle sua unicità porta in sé un  messaggio forte, quello del superamento di ogni pregiudizio e di ogni stereotipo, del coraggio di affrontare le conseguenze dei propri atti ed errori, quando si possono trasformare in un percorso di amore.


Beppe Calabretta, La nonna giovane, Tralerighe Editore 2024, pag. 120