25 maggio 2024

"Anima spezzata" di Akira Muzabayashi

 


di Giulietta Isola

“Volevo a tutti i costi salvare quello strumento. Era la sola cosa che mi restava di mio padre.”

         Romanzo classico dalla lingua elegante che racconta una storia ampia e commovente, romanzo sulla musica, sulla guerra, sulla fedeltà alle origini, sull’amicizia, sulla bellezza del silenzio che segue una sonata di Schubert, romanzo bello bello da leggere. T

       Tokyo 6 novembre 1939, Rei, il protagonista ha 11 anni. Suo padre Yu, con i tre ospiti cinesi Yanfen, Cheng e Kang, si cimentano nel quartetto d’archi in la minore opera 29 di Schubert noto come “Rosamund” quando alcuni soldati irrompono nella sale ed interrompono brutalmente le prove, spezzano il violino del padre (è questa l’anima spezzata)e arrestano tutti per sospetto complotto contro il Paese. Rei, nascosto in un armadio, assiste alla scena, scoperto sfugge alla violenza dei soldati grazie al tenente Kurokami, melomane appassionato che gli affida il violino distrutto. Rei non rivedrà più suo padre e verrà adottato da una famiglia francese. Custodirà ciò che resta del violino e passerà una parte della sua vita a restaurare lo strumento altamente simbolico. Quel violino spezzato è la ferita della sua vita. 

        Il titolo del romanzo molto evocativo, allude certamente all’anima del protagonista, ma anche l’anima del violino, il piccolo cilindro di legno all’interno dello strumento che è responsabile della sua risonanza. Sessant’anni dopo Rei ritorna a Tokyo con il violino restaurato per donarlo alla nipote del tenente Kurokami e sarà proprio il restauro a permettergli di superare il suo lutto.   Il viaggio in Giappone è commovente, la memoria dei giorni lontani ritorna con i suoi profumi, la sua musica, le sue pene, malgrado il tempo, la guerra e gli altri accidenti della vita. 

        Anima spezzata è un meraviglioso omaggio alla fedeltà, alla memoria di coloro che sono scomparsi, vittime di terribili crudeltà che soltanto l’uomo è capace di infliggere ai propri simili, è un romanzo che mette l’arte di fronte alla violenza, l’arte come condivisione universale, l’arte come riconciliazione. 

       Sono rimasta colpita dalla grande e sincera profondità che emana dalle pagine, questo romanzo emana bellezza, delicatezza, luce e poesia , emoziona senza mai essere sdolcinato. Akira Muzabayashi usa la lingua con profondo rispetto, ha uno stile semplice ed essenziale, porta pace e serenità malgrado l’estremo dolore. Un libro consigliato a tutti coloro che amano la musica e in generale l’arte come rammendatrice di vite spezzate, questa lettura è una sorta di balsamo assai benefico, lenitivo e commovente insieme.

“Si rendeva conto che tutti i cuori del mondo, stretti nella loro inquieta solitudine, erano simili a monadi impenetrabili, ripiegate su se stesse; erano in fondo come tutti i corpi del mondo, separati gli uni dagli altri e coì dolorosamente estranei gli uni agli altri.”

ANIMA SPEZZATA di AKIRA MUZABAYASHI EDIZIONI LA NAVE DI TESEO

 

22 maggio 2024

"Il Bel Paese" di Antonio Stoppani

 


Einaudi ripubblica il primo best seller dell’Italia unita:

Il Bel Paese di Antonio Stoppani

  di Luciano Luciani

        Un tempo, quando l’Italia era giovane – un secolo e mezzo or sono o giù di lì – le  migliori “penne” del Paese non si facevano particolari scrupoli nel dedicare all’infanzia competenze ed entusiasmi intellettuali.

       Certo, dietro questa attenzione per le giovani e giovanissime generazioni – peraltro sincera negli esponenti più significativi della vita culturale e letteraria di allora – c’era, fortissima l’esigenza di favorire un’ unificazione culturale in senso nazionale e sotto il segno dell’egemonia intellettuale della borghesia settentrionale e dei suoi valori ispirati a ideali di illuminato e cauto progresso.

       Intelligentemente, la classe dirigente di quell’Italia lontana non offrì ai suoi figli più piccoli solo burattini, Minuzzoli, Giannettini, Garroni e Franti, fiabe e leggende locali, romanzetti per adolescenti, imitazioni nostrane della Alcott, ma anche buoni libri di lungimirante divulgazione scientifica. Pensati per l’età successiva alla fanciullezza, quando agli infiniti perché dell’esistenza si cominciano a pretendere risposte più sistematiche ed esaurienti, questi testi miravano a istruire piacevolmente, emancipandosi dal modello del libro scolastico e presentando già i caratteri delle moderne riviste di volgarizzazione scientifica: bassi costi, illustrazioni, cura grafica e tipografica.

       Il più popolare tra quanti si adoperarono per interpretare e soddisfare le esigenze di informazione e consapevolezza scientifiche degli italiani in “calzoni corti” fu senz’altro Antonio Stoppani, non solo “scrittore per ragazzi”, ma personaggio significativo della cultura italiana del secondo Ottocento: sacerdote, scienziato insigne – geologo, paleontologo, naturalista – patriota, fu anche filosofo di ferventi convinzioni rosminiane, aspirante poeta, divulgatore piacevole e cordiale, sempre capace di unire una sincera ispirazione pedagogica con una vera, seria preparazione nelle scienze naturalistiche e geografiche.

       Era nato a Lecco nel 1824. Ordinato sacerdote nel 1847 e avviato all’insegnamento a causa delle sue convinzioni liberali e patriottiche fu perseguitato dalle autorità austriache e avversato dal clero reazionario: la polemica con l’intransigentismo cattolico lo accompagnerà per l’intera durata della sua esistenza, amareggiandogliela non poco. Nel 1848 per aver preso parte insieme ai suoi studenti alle Cinque giornate milanesi conobbe l’espulsione dal seminario; una quindicina d’anni più tardi, nel clima cupo e arroventato del cattolicesimo degli anni tra il Sillabo e porta Pia, partecipò alla redazione di un periodico milanese, “Il Conciliatore” attestato su posizioni cattolico-liberali, che venne soppresso d’autorità dal vescovo preoccupato per le critiche e i richiami negativi che giungevano da Roma. Infatti, gli ambienti più reazionari e passatisti della Chiesa e del cattolicesimo italiano mal tolleravano l’attività di un sacerdote scienziato e naturalista che nella sua fede, larga e generosa, in una natura ministra di Dio e prodiga di bellezze nei confronti dell’Italia, riusciva ottimisticamente a conciliare fede, scienza e amor di patria. E se il titolo di patriota gli era dovuto per la sua partecipazione al ’48 milanese, alla Prima e alla Terza guerra d'indipendenza, quella del ’66, quando il nostro abate e naturalista interruppe insegnamento e ricerche per arruolarsi nel Corpo d’armata del gen. Cialdini – però sotto le insegne della giovanissima Croce rossa italiana, appena costituita nel 1864 – , anche la fama di studioso della Terra e della sua storia lo Stoppani l’aveva guadagnata sul campo: intanto con gli Studi geologici e paleontologici sulla Lombardia, 1856; poi con una famosa Paleontologie Lombarde, 1856-1881, che, scritta in francese, gli aveva assicurato fama e rispetto anche all’estero.

        Il lavoro che rese lo scienziato/scrittore lombardo popolare al grosso pubblico fu il Bel Paese, 1875, pensato in origine per i piccoli lettori, ma che, in breve tempo, con le sue oltre ventimila copie pubblicate si trasformò in uno dei primi best-seller della nascente editoria nazionale.

          Il libro consiste in ventinove conversazioni intitolate Serate – se ne aggiungono altre cinque nella edizione del 1889 – in cui uno zio, l’autore stesso, in forma piana, garbata, colloquiale a un pubblico rappresentato dai nipoti e dai loro amici descrive le “bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica“ dell’Italia, senza trascurare osservazioni anche acute sugli usi, i costumi, il lavoro, le tecniche, l’economia delle genti della penisola, nel tentativo tutto politico, comprensibile in un intellettuale che usciva a testa alta dalle lotte risorgimentali, di sollecitare nei suoi lettori una coscienza nazionale unitaria e l’orgoglio di essere italiani, giovani figli di un giovane Paese. 

        Qua e là un certo sentore di provincialismo e di chiuso, certo percepibile più oggi che allora: per esempio, quando propone le sue pagine come antidoto a “quelle opere di Verne che hanno inondato l’Italia, e a cui la nostra gioventù e gli stessi uomini seri corrono dietro con puerile curiosità… mostruosa miscela di vero e di falso”. Ma la vera intenzione del Bel Paese era forse ancora un’altra: soprattutto contrastare con un’opera esemplare e popolare quello scientismo che si andava largamente diffondendo nella cultura italiana e nel senso comune del tempo.

 Antonio Stoppani, Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica d’Italia, a cura di Walter Barberis, collana I millenni, Einaudi To, 2024, pp. XLIV-604, Euro 85,00

  

 

 

21 maggio 2024

"Follie di Brooklyn" di Paul Auster

 


di Marigabri

“Mai sottovalutare il potere dei libri”.

        Ecco dispiegarsi in puro stile Auster la storia di Nathan Glass che torna a Brooklyn perché cerca “un posto tranquillo per morire”.

      Anche se ora sta bene gli è stato diagnosticato un tumore, e poi ha sulle spalle il peso di un matrimonio fallito, di un lavoro da assicuratore, e un rapporto difficile con la figlia Rachel. Lo conforta una passione ancora ardente per la letteratura e, in genere, per i libri.

       A sessant’anni, dunque, Nathan decide di traslocare e, ormai libero da incombenze lavorative, decide di aspettare la fine dei suoi giorni terreni cominciando un’opera narrativa originale che intitola ‘Il libro della follia umana’, entro cui raccogliere episodi strampalati, curiosi o assurdi della sua vita e, al limite, anche delle altre.

      Da qui inizia l’avventura tutta newyorkese del nostro narratore e protagonista.

       Dall’incontro con il talentuoso ma ormai svaccato nipote Tom all’amore platonico per l’avvenente e spumeggiante cameriera Marina, alla conoscenza della tortuosa e un po’ torbida storia del libraio Harry presso il quale Tom ha trovato un, a suo dire, soddisfacente lavoro. Elementi da cui si inanella la catena di eventi qui narrata, eventi sopra i quali, come sempre in Auster, il caso domina sovrano.

      Così comincia la nuova vita di Nathan Glass, intensa e avventurosa anche per chi ne gode la brillante lettura. Seguirla è un puro godimento che non ci abbandonerà mai, fino a lasciarci, già sufficientemente turbati, alle soglie dell’evento più sconvolgente della storia americana contemporanea.

Paul Auster. Follie di Brooklyn. Einaudi

 

 

20 maggio 2024

"Kafka. Gli anni della consapevolezza" di Reiner Stach

 

di Silvia Chessa

     Kafka mi ha sempre incuriosita: come autore, originale e provocatorio, ma anche come essere umano.

     Per questo reputerei, intanto, delittuoso non soppesare qualsiasi nuovo studio che si soffermi, con serietà e passione, ancora sul mondo di Kafka, essendo materia che non passa di moda e non esaurisce, di certo, la potenzialità di fornire letture plurime.

     Dell'universo letterario di Kafka seduce, in primis, la capacità di far coesistere gli opposti, esasperare le incoerenze, mantenendo, al contempo, un perfetto filo logico, nonchè una scrittura piana e razionale.

     Dal momento che di incoerenze - o presunte tali-  (su esse ci farà luce Stach), visse il genio di Kafka, egli divenne anche maestro nel sovvertire i parametri di verosimiglianza senza mai entrare nella fantascienza: nei suoi scritti si estrinseca l'arte di maneggiare il surreale ed il reale, impastati in modo scioccante pur se omogeneo.

     La realtà che Kafka ri-crea, nei suoi racconti, è la storia di una follia: ordinata, pacata, ineluttabile. Si sottolinei la parola storia, non favola, raccontino o invenzione.

     La narrazione kafkiana è tecnica, asciutta, quasi consolatoria, nella sua meticolosa, matematica strutturazione.

      Nel libro  "Kafka. Gli anni della consapevolezza", edito dal Saggiatore, 2024, scritto da Reiner Stach(già autore di tre imponenti volumi su Kafka), capiremo, forse, alcuni segreti delle qualità infuse nei racconti kafkiani.

      Verremo introdotti nei retroscena, privati, delle varie situazioni e soluzioni creative rintracciate dal genio letterario di Kafka, che era, al contempo, un soggetto complesso ed affascinante, acuto osservatore di una Europa in disfacimento.

     Erkenntnis, in tedesco, è comprensione, consapevolezza, (di se stessi, del mondo, del proprio tempo).

     Drammatico lo scenario geo politico che Kafka visse, e comprese!, appieno e che fu, insieme alla tubercolosi e al fallimento di alcuni progetti, sentimentali e di carriera, uno spettacolo deludente ma altresì uno specchio ideale per proiettare incubi e sofferenze privati, da eternizzare in pagine che avrebbero emozionato e stimolato generazioni lontane e da venire.

     Quelle generazioni siamo noi, qui ed ora.

     In uno scenario mondiale ancora invaso, mi pare, dall'assurdo.

     Un assurdo, di matrice kafkiana appunto, che prende corpo nelle minacce militari, chimiche, pandemiche, che si alternano assediando molti popoli..

     Come le mele conficcate nella corazza che intrappolava Gregor Samsa, lanciate per sfamarlo, ma finite per ferirlo.

     Un assurdo che si traduce nel morbo delle disgregazioni (sociali, religiose, politiche) con la stessa carica distruttiva del  processo che subiva il protagonista Josef K., un meccanismo, cioè, fondato su calunnie e cavilli burocratici che parte, magari per sbaglio, ma non si arriva ad arrestare..

     Ci verrà in soccorso l'intelligenza artificiale? Chissà.

     Intanto, nel centenario dalla morte di Kafka (3 giugno 1924) non brilliamo per accresciuta erkenntnis, comprensione e consapevolezza, sebbene dotati di finezze robotiche e artificiali, talmente avanzate che erano impensabili nel '24, ma che, usate poco e male, (schiavi dei medesimi cavilli burocratici, speculazioni finanziarie ed oneri formali, che ingabbiavano i personaggi kafkiani..), non ci sono ancora di sostanziale supporto neppure per gestire, al meglio, una pandemia.

Lettura consigliata.

 

Titolo: Kafka. Gli anni della consapevolezza

Autore: Reiner Stach

Traduttore: Mauro Nervi

Editore: Il Saggiatore

Collana: La cultura

Anno edizione: 2024

15 maggio 2024

"Triste trigre" di Neige Sinno


di Giulietta Isola

" Viviamo in un mondo in cui vittima e carnefice, agnello e tigre, sono insieme: il male è ovunque, ignorarlo non è un’opzione, la sfida è rimanere sul bordo. E non cadere

        Ho letto da pochi giorni un libro molto potente , un libro che mi ha molto turbato. Chiarisco subito che il turbamento ha origine non dall’argomento trattato o almeno non solo da quello : una bambina stuprata per anni dal patrigno, fin da quando di anni lei ne aveva 7 o forse 9 e lui 25. Non è chiaro il ricordo dell’età precisa di inizio degli abusi, ma tutto il resto sì. La bambina stuprata è l’autrice per la quale provo ammirazione e rispetto per essere riuscita in un’impresa di cui sono capaci solo i grandi scrittori: far letteratura con il male. Triste tigre mi ha avvicinato al male, mi ha mostrato un demone che non dimenticherò. 

       Neige Sinno ha 47 anni, è francese , ma vive in Messico con il compagno e la figlia. Ha studiato letteratura americana, tradotto e insegnato all’università. Il libro è una testimonianza, una riflessione sulla società ,una denuncia delle difficoltà per le piccole vittime a ottenere condanne per i loro torturatori, un’analisi delle potenzialità che la letteratura ha di salvarle, il libro parla di pedofili e del patriarcato, di nazismo, stalinismo, schiavismo, di ogni “male radicale“. In ogni pagina si sente la fatica e lo strazio dell’autrice non solo per quello che ha subìto, ma per aver deciso di scriverne. Eccezionale la sua capacità nell’utilizzare il proprio irreparabile trauma come lente d’ingrandimento sulla condizione di ogni debole abusato

        «Quando si è vittime una volta si è vittime sempre. E soprattutto si è vittime per sempre». Neige Sinno resta “danneggiata“: non la salva la condanna scontata dal patrigno in carcere, non la salva neanche la letteratura e non le serve chiedersi continuamente perché. Chi ha conosciuto il male e ha avuto il coraggio di raccontarlo, è condannato a non dimenticare . Da parte mia posso solo ringraziare Sinno per il suo racconto così lucido e perfetto, ringraziarla per aver saputo dire l’indicibile senza pathos e senza commiserazione.

«L’altro posto, per me, è un paese limitrofo. Un mondo che si trova, come nella letteratura fantasy, proprio accanto al nostro, quasi sovrapposto al nostro, una specie di quarta dimensione. Ci si finisce dentro una prima volta e dopo non se ne esce più, appena si delinea un’ombra si ritorna lì, a dispetto della propria volontà. Mi capita di incontrare persone che sono state o che vanno nel paese delle tenebre. Le riconosco, nei loro occhi c’è qualcosa. Credo che anche loro vedano quel qualcosa in me. È un riconoscimento silenzioso, di cui non si può parlare. Non sapremmo cosa dire. E non ne varrebbe comunque la pena. Cosa ci diremmo se potessimo dirci qualcosa?».

Neige Sinno è la vincitrice del Premio Strega Europeo 2024.

TRISTE TIGRE di NEIGE SINNO NERI POZZA EDITORE


12 maggio 2024

" Finale di partita" di Carlo Petrini

 


     Carlo Petrini e il suo Finale di partita

 di Luciano Luciani

        Per la cura della moglie Adriana, in questo mese di maggio 2024 è apparso in libreria Finale di partita, libro postumo di Carlo Petrini, in gioventù calciatore “maledetto” e, qualche anno dopo, scrittore ancor più tale. 

      Una raccolta di scritti vari, alcuni già editi, altri completamente inediti che riprendono il filo del best seller, Nel fango del dio pallone, Milano 2000. Allora, quasi un quarto di secolo fa, questo libro rappresentò un vero e proprio pugno nello stomaco del lettore ed ebbe il merito di rivelare, e non solo agli addetti ai lavori, “di che lagrime grondi e di sangue” il rutilante mondo del calcio: giocatori dopati e rovinati per sempre nel fisico; partite truccate, comprate e vendute; giovani esistenze bruciate da soldi facili, eccessi, trasgressioni… 

      Un racconto del calcio di serie A qual era negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, ma che, a giudicare da non pochi indizi e segnali non sembra davvero essere granché cambiato in meglio. Ce n’è per tutti in questo Finale di partita e la penna di Petrini, scomparso nel 2012, cannoneggia ad alzo zero e non risparmia nessuno: non le società sportive e i loro dirigenti, allegri manovratori di miliardi di lire ieri, oggi di milioni di euro; non la genia dei narcisi assoluti, ovvero i calciatori; non i giornalisti sportivi, proni agli interessi di questa o quella squadra e pronti per vendere qualche copia in più a lisciare il pelo a tifoserie ridotte a orde incattivite e selvagge, spesso contigue a poteri criminali. 

       Si legga, in proposito, Il calciatore suicidato, Milano 2001, bel libro inchiesta di Petrini su Donato, “Denis” Bergamini, ventisette anni, “un buon centrocampista. Uno che con la palla ci sapeva fare…”, e la sua morte, tragica e ancora misteriosa.

     Nella prefazione, scritta con gli occhi asciutti,  governata e commossa insieme, Adriana Clocchiatti racconta l’ultima parte della vita del marito: quella segnata da malattie gravi e invalidanti che si intrecciavano con le polemiche “pallonare” portate avanti da alcuni - ex colleghi calciatori, allenatori, dirigenti, giornalisti sportivi - e i silenzi interessati di molti. 

      Senza nessuna pretesa di sottolineare la qualità letteraria di queste pagine, pure ben scritte e di grande valore documentario, la curatrice dichiara di avere inteso, invece, mostrare, con misurata discrezione, un uomo diverso. Ovvero, l’intimità sia del combattente determinato di tanti incontri nei campi della serie A, sia del polemista coraggioso e risoluto che in una decina di libri, ci ha raccontato il lato oscuro e corrotto del pallone. Una persona perennemente tormentata dal ricordo delle sue fragilità e che non si dava requie per non essere stata sempre e comunque all’altezza delle sfide che la vita di continuo ti propone. Uno come tutti, insomma… 

       A conclusione delle sue pagine introduttive la moglie di Petrini ribadisce di aver solo voluto rinnovare la testimonianza del calciatore di Monticiano a beneficio dei nuovi, più giovani lettori “e comunque per riavvicinare Carlo, idealmente, a tutti coloro che gli hanno voluto bene.” Una voce dolente, amara e disillusa, quella di suo marito che si è tentato in tutti i modi di silenziare, ma che tenace riappare come un fiume carsico e ci ammonisce che la più gran parte di ciò che appare del fascinoso mondo pallonaro è falso: nient’altro che un circo, appariscente, rumoroso e illusorio, con i nani e i pagliacci, le ballerine e gli animali ammaestrati.


Carlo Petrini, Finale di partita, a cura di Adriana Clocchiatti, Edizioni Blues Brothers, Milano 2024, pp. 180, Euro 16,00