Einaudi ripubblica il primo best seller
dell’Italia unita:
Il
Bel Paese di Antonio Stoppani
Certo,
dietro questa attenzione per le giovani e giovanissime generazioni – peraltro
sincera negli esponenti più significativi della vita culturale e letteraria di
allora – c’era, fortissima l’esigenza di favorire un’ unificazione culturale in
senso nazionale e sotto il segno dell’egemonia intellettuale della borghesia
settentrionale e dei suoi valori ispirati a ideali di illuminato e cauto
progresso.
Intelligentemente, la classe dirigente di quell’Italia lontana non offrì ai suoi figli più piccoli solo burattini, Minuzzoli, Giannettini, Garroni e Franti, fiabe e leggende locali, romanzetti per adolescenti, imitazioni nostrane della Alcott, ma anche buoni libri di lungimirante divulgazione scientifica. Pensati per l’età successiva alla fanciullezza, quando agli infiniti perché dell’esistenza si cominciano a pretendere risposte più sistematiche ed esaurienti, questi testi miravano a istruire piacevolmente, emancipandosi dal modello del libro scolastico e presentando già i caratteri delle moderne riviste di volgarizzazione scientifica: bassi costi, illustrazioni, cura grafica e tipografica.
Il più
popolare tra quanti si adoperarono per interpretare e soddisfare le esigenze di
informazione e consapevolezza scientifiche degli italiani in “calzoni corti” fu
senz’altro Antonio Stoppani, non solo “scrittore per ragazzi”, ma personaggio
significativo della cultura italiana del secondo Ottocento: sacerdote,
scienziato insigne – geologo, paleontologo, naturalista – patriota, fu anche
filosofo di ferventi convinzioni rosminiane, aspirante poeta, divulgatore
piacevole e cordiale, sempre capace di unire una sincera ispirazione pedagogica
con una vera, seria preparazione nelle scienze naturalistiche e geografiche.
Era
nato a Lecco nel 1824. Ordinato sacerdote nel 1847 e avviato all’insegnamento a
causa delle sue convinzioni liberali e patriottiche fu perseguitato dalle
autorità austriache e avversato dal clero reazionario: la polemica con
l’intransigentismo cattolico lo accompagnerà per l’intera durata della sua
esistenza, amareggiandogliela non poco. Nel 1848 per aver preso parte insieme
ai suoi studenti alle Cinque giornate milanesi conobbe l’espulsione dal
seminario; una quindicina d’anni più tardi, nel clima cupo e arroventato del
cattolicesimo degli anni tra il Sillabo
e porta Pia, partecipò alla redazione di un periodico milanese, “Il
Conciliatore” attestato su posizioni cattolico-liberali, che venne soppresso
d’autorità dal vescovo preoccupato per le critiche e i richiami negativi che
giungevano da Roma. Infatti, gli ambienti più reazionari e passatisti della
Chiesa e del cattolicesimo italiano mal tolleravano l’attività di un sacerdote
scienziato e naturalista che nella sua fede, larga e generosa, in una natura
ministra di Dio e prodiga di bellezze nei confronti dell’Italia, riusciva
ottimisticamente a conciliare fede, scienza e amor di patria. E se il titolo di
patriota gli era dovuto per la sua partecipazione al ’48 milanese, alla Prima e
alla Terza guerra d'indipendenza, quella del ’66, quando il nostro abate e
naturalista interruppe insegnamento e ricerche per arruolarsi nel Corpo
d’armata del gen. Cialdini – però sotto le insegne della giovanissima Croce
rossa italiana, appena costituita nel 1864 – , anche la fama di studioso della
Terra e della sua storia lo Stoppani l’aveva guadagnata sul campo: intanto con
gli Studi geologici e paleontologici
sulla Lombardia, 1856; poi con una famosa Paleontologie Lombarde, 1856-1881, che, scritta in francese, gli
aveva assicurato fama e rispetto anche all’estero.
Il
lavoro che rese lo scienziato/scrittore lombardo popolare al grosso pubblico fu
il Bel Paese, 1875, pensato in
origine per i piccoli lettori, ma che, in breve tempo, con le sue oltre
ventimila copie pubblicate si trasformò in uno dei primi best-seller della
nascente editoria nazionale.
Il libro consiste in ventinove conversazioni intitolate Serate – se ne aggiungono altre cinque nella edizione del 1889 – in cui uno zio, l’autore stesso, in forma piana, garbata, colloquiale a un pubblico rappresentato dai nipoti e dai loro amici descrive le “bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica“ dell’Italia, senza trascurare osservazioni anche acute sugli usi, i costumi, il lavoro, le tecniche, l’economia delle genti della penisola, nel tentativo tutto politico, comprensibile in un intellettuale che usciva a testa alta dalle lotte risorgimentali, di sollecitare nei suoi lettori una coscienza nazionale unitaria e l’orgoglio di essere italiani, giovani figli di un giovane Paese.
Qua
e là un certo sentore di provincialismo e di chiuso, certo percepibile più oggi
che allora: per esempio, quando propone le sue pagine come antidoto a “quelle
opere di Verne che hanno inondato l’Italia, e a cui la nostra gioventù e gli
stessi uomini seri corrono dietro con puerile curiosità… mostruosa miscela di
vero e di falso”. Ma la vera intenzione del Bel
Paese era forse ancora un’altra: soprattutto contrastare con un’opera
esemplare e popolare quello scientismo che si andava largamente diffondendo
nella cultura italiana e nel senso comune del tempo.
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