14 agosto 2018

"Il legionario" di Hleb Papou



di Silvia Chessa
 
Un corto pieno di corto circuiti e di occasioni per riflettere. Che sonda le problematiche sociali della seconda generazione di italiani, però viste dalla seconda generazione, da dentro, finalmente, e non dall’esterno, che mette in campo un conflitto, ma con schemi e finale aperti, senza cedere a conformismi, senza dare soluzioni precostituite o voci codificate.

Il regista, Hleb Papou, e l’attore protagonista Germano Gentile, il primo bielorusso ma cresciuto sin da piccolo e residente a Lecco, il secondo brasiliano ma venuto a venti giorni in Italia, sono italianissimi, come cultura, look, istruzione e nella loro lingua non vi è quasi alcuna traccia delle rispettive origini.
Eppure le radici ci sono, esistono, ed altrettanto i problemi, i muri, le diffidenze e le differenze..
Pensiamo solo a quando si va in municipio a rinnovare un documento o si dettano il proprio nome e cognome ad un a call center ..
Le facciamo noi, le vivono loro… ma noi, loro chi?
Chi sono gli stranieri, gli occupanti..chi occupa cosa?E da quando?
Cosa vuol dire famiglia?
Dopo molte ed oneste indagini sul campo, fra caserme e case occupate, questo giovane e promettente talento sfornato dal Centro Sperimentale di Cinematografia ci tira fuori, insieme ad una bravissima squadra anch’essa talentuosa e promettente, una piccola perla dove le domande sono di una attualità sconcertante e le risposte, non chiuse, lo sono altrettanto…

Innanzitutto partirei dal titolo: Il legionario. Ovviamente, storicamente, ci richiama la figura, nella Legione Romana Antica, di colui che, poteva essere slavo, gallo, nordafricano, era dunque arruolato per una causa non sua, un professionista della guerra, diremmo oggi.
Ma magari possiamo immaginare che fosse anche più efficace e forte di un soldato che partiva in difesa della propria patria, della propria famiglia.
Potremmo, altresì, pensare all’Europa odierna, al melting pot che viviamo nelle nostre realtà, di europei, quotidiane, e a quella scissione fra radici e ideali, in una guerra che, anche se non dichiarata, si traduce in una serie di conflitti e tensioni continui..schieramenti ed opposte fazioni, micro e infiniti interessi che ci coinvolgono e ci interpellano domandandoci di prendere posizione.
La scelta.
Quella che dovrà fare Daniel, poliziotto con l’ordine di sgomberare la palazzina occupata anche dalla sua famiglia, scegliendo fra cuore e ragione, fra famiglia di origine e famiglia aziendale, fra sentimento e dovere.

La novità e l'originalità del film non è tanto nel portare sulle scene un problema sociale (che può essere quello delle case occupate, dell’immigrazione, del diritto alla casa in relazione alla legalità) ma è la complessità della situazione, costituita di sfumature varie e dal fatto che il conflitto si genera già all'interno della stessa famiglia.
La presentazione strutturata del problema non sfocia in soluzioni schematiche o facili e infatti l’esito della vicenda lambisce come un rivo vari approdi, e l’assalto del celerino è quasi abbraccio fra il militare e il fratello, perché Daniel e Jamal, nelle loro inconciliabili divergenze ed interessi, sono rappresentativi non solo dei loro opposti schieramenti, ma anche e soprattutto di se stessi.
Esiste un problema identitario ed individuale all’interno di ogni singolo, a sua volta protetto e schiacciato dentro ogni fazione, gruppo, o famiglia.

Questo ci dice il cortometraggio. Che merita di essere visto, discusso, interrogato, sgomberandoci da tutte quelle stereotipate idee, preconcette e abusive, che ci impediscono di fare spazio a nuove realtà.
 Indimenticabili le sequenze fotografiche del muso contro muso fra Daniel e Jamal, con i loro lineamenti e sentimenti diversi (e scissi al loro interno), ma simili per fierezza e tensione, e la sfida stigmatizzata nei volti; nonché il viso virgineo, attonito, che passa dal felice al deluso, della giovane Miranda Angeli, (Caterina, nel corto) che si fa testimone della difficoltà della scelta, appunto, di Daniel, e del tradimento possibile dietro ogni presa di posizione, e che sottolinea benissimo, rimarcandolo con la sua innocenza e con l’audacia di due occhi sgranati (a me hanno ricordato il dipinto “La Verità esce dal pozzo” di Édouard Debat-Ponsan), l’importanza e l’eco della responsabilità, di ciascuno di noi, quando, posti ad un bivio, decidiamo dove andare e a chi voltare le spalle.


Il legionario
Regia: Hleb Papou
Sceneggiatura: Giuseppe Brigante, Emanuele Mochi, Hleb Papou
Fotografia: Félix Burnier
Editing: Fabrizio Paterniti Martello
Musica: Boris R. D’Agostino, Letizia Lamartire
Suoni: Giandomenico Petillo, Valerio Tedone
Cast: Germano Gentile, Federico Lima Roque, Francesco Acquaroli, Miranda Angeli, Hope Chiaka Ayozie
Produzione: CSC Production – Elisabetta Bruscolini
Formato: Colori
Durata: 13 minuti

08 agosto 2018

“La corsa de l'ora" di Antonio Bellia.


                                  
di Mimmo Mastrangelo

Almeno dal titolo della prima pagina doveva  essere solo un "Arrivederci". Invece quell' 8 maggio del 1992  "L'ora" di Palermo uscì per l'ultima volta in edicola, archiviando  quasi un secolo di vita.  In Sicilia  si accorsero delle rotative ferme del battagliero quotidiano del pomeriggio solo due settimane dopo, quando la mafia fece saltare in aria il giudice Falcone e la sua scorta. Tutti i cronisti, specie i più giovani che hanno deciso di intraprendere un mestiere difficile e sempre più screditato, dovrebbero conoscere la storia di quel giornale regionale che riuscì a conquistarsi un prestigio nazionale perché nella sua redazione si praticava  un giornalismo indipendente,  insofferente alle interferenze dei  poteri  e  sufficientemente insensibile  ai richiami dell'opportunismo. Non a caso le inchieste contro la mafia e i poteri collusi costarono un duro prezzo e tanto dolore. Nell'ottobre del 1958 ci fu un attentato contro la redazione, poi arrivarono le morti di tre cronisti: nel 1960 venne ammazzato il corrispondente  Cosimo Cristina, dieci anni dopo, mentre indagava anche sul caso Mattei, scomparve nel nulla Mauro De Mauro e nel 1972  il giovanissimo Giovanni Spampinato fu ucciso per mano del figlio del presidente del tribunale di Ragusa.

Per la testata che faceva  capo alla sinistra istituzionale, gli anni più fulgidi furono indiscutibilmente quelli sotto la direzione di Vittorio Nisticò che il regista catanese Antonio Bellia ha voluto "evocare" nel documentario "La corsa de L'ora"(2017).

Premiato dal sindacato nazionale dei critici cinematografici  col Nastro d'argento 2018, il lavoro di Bellia è particolare in quanto impiantato su tre registri: le immagini  di repertorio in bianco e nero, le testimonianze di ex-cronisti del giornale (Antonio Calabrò, Letizia Battaglia,  Marcello Sorgi, Piero Violante, Francesco La Licata...) e l' immenso Pippo Del Bono che in un teatro richiama vicende e ricordi mettendosi nei panni di  Nisticò, il quale da condirettore di  "Paese Sera" fu mandato sul finire del 1954 a Palermo. 
Alla guida de "L'ora" Nisticò vi rimase per  un ventennio,  con lui  quel foglio - dal formato lenzuolo (ma somigliante ad un tabloid  inglese per il  ricco  racconto in immagini) e dove vi lavoravano a gomito a gomito tre generazioni di cronisti -  divenne "l'unica testata democratica presente nel sud dell'Italia". E, seppur piccolo e perennemente attanagliato dai bilanci,  si  impose con le sue inchieste come se fosse un  "settimanale quotidiano", segnando  così una  vera e propria rivoluzione nell'informazione del Paese. 
Dai ricordi di Del Bono-Nisticò, inoltre,  "L'ora" fu  giornale di cultura, le collaborazioni di  intellettuali come Leonardo Sciascia, Danilo Dolci ed altri nomi illustri  determinarono una ulteriore svolta, per cui si andò costruendo popolarità e reputazione  anche su un certo modo di commentare politicamente e socialmente le arti. 

 

Prodotto da Marvin Film e Demetra Produzioni, il  docu-film di Bellia si presenta solo apparentemente  frammentario, ma i suoi diversi registri si incastrano compiutamente come in un puzzle, riuscendo così a regalare   allo spettatore tutta la bellezza, il racconto, lo spirito libertario, il coraggio che si respirò nella redazione di quella  testata palermitana che stata alta scuola di  giornalismo. "L'ora" - secondo il giudizio di uno dei suoi cronisti  -  fu la comunicazione della notizia, ma pure dell'emozione.  

LA CORSA DE L'ORA
Regia: Antonio Bellia
Anno di produzione: 2017
Durata: 64'
Paese: Italia

04 agosto 2018

"Io sono Tempesta" di Daniele Luchetti


di Silvia Chessa

Una storia tragicomica nella quale, parafrasando Flaiano, la situazione è grave ma non è seria, e che ha in sé la giusta dose di leggerezza e di sofferenza, e si fa specchio di una difficile contemporaneità sociale pervasa dal grottesco ed affetta in modo patologico dalla povertà, intesa non solo come materiale ma anche come solitudine. 

E le solitudini nascono spesso da una carenza iniziale: il padre che ha sempre dato del "coglione" al figlio Numa Tempesta (interpretato dal bravo Marco Giallini) lo ha ammalato di depressione e solitudine.  Mentre Numa, ricostruitosi un minimo di codazzo amicale ed umano intorno a sé (sebbene anch’esso a pagamento). raccomanda al suo amico Bruno (nel film, l’eclettico Elio Germano) – ex povero (arricchito grazie a lui) -  di dire sempre al figlio parole d'amore e di incoraggiamento. Mai dirgli che è un "coglione". 

Una lezione di vita e accudimento. Fra le tante risate, amenità, riferimenti e allacci a personaggi, imprenditori e poi politici, che ben abbiamo conosciuto negli ultimi anni, in Italia (paese qui dipinto come libero e cinico mercato dove tutti sono comprabili, professori, medici, senatori e leggi, le cattive come quelle buone), presenti del film, ed un finale non troppo lieto dove, comunque, la logica del denaro finisce per avere la supremazia..sebbene, forse, per una volta, nel suo uso migliore, ripianando un divario finanziario e sociale che sembrava incolmabile…ma lasciandoci interdetti sulla possibilità di distinguere un principio di innocenza che non sia contaminato, almeno in parte, da avidità ed interesse personale.

Forse si salva solo il personaggio, strampalato, cattolicissimo, ma in fondo appassionato e sincero nelle sue battaglie sociali, di Eleonora Danco, teatrale, enfatica, favolosa nel ruolo di Angela, Direttrice del Centro Poveri dove Numa è obbligato, per un anno,  ai servizi sociali per scontare la sua condanna per reati finanziari. Ma la vera sfida, per Numa, è riscoprire in se stesso un senso di empatia.
 Sfida impossibile, come capta al volo e a suo favore Bruno (“opportunità di nascita diversa, ma stessa pasta”, come lo stesso personaggio dice di se stesso parlando con Numa e a lui comparandosi).
E’ Angela, col suo candore epico e viscerale, lo spirito sessantottino intriso con cattolicesimo quasi oltranzista, a rappresentare l’unico opposizione e controparte possibile alla aridità iperattivo-malinconica di Numa e del suo eterno oscillare fra vittimismo e fanfaronate da uomo dal potere illimitato e dai vizi incontenibili. A parte Angela, però, la sola luce di speranza è affidata al senso di squadra che Bruno rispetta e suscita in modo spontaneo e furfantesco, sebbene poi la squadra sia più un banda che una squadra corretta e sportiva.
Un po’ come dopo un film di Ken Loach, si esce senza certezze, ma forse è proprio questo il bello.

IO SONO TEMPESTA
DISTRIBUZIONE: 01 Distribution