27 gennaio 2022

“El Niño del Secolo” di Michele Giannini

 

di Marisa Cecchetti

       Al fenomeno climatico del Niño si attribuì l’eccezionale ondata di caldo che nei mesi estivi del 1998 colpì l’Europa. Michele Giannini (Lucca 1987) la fa sentire addosso, quella calura, nei due racconti El Niño del Secolo e La corsa. Asciutta, essenziale, visiva, è la prosa di Giannini, direi da sceneggiatura cinematografica, sulle orme della tradizione letteraria toscana -ma rimanda anche alla grande letteratura americana del ‘900 – in un muoversi all’interno di una periferia con campi bruciati dal sole che si alternano a capannoni industriali, una strada a scorrimento veloce che la attraversa, colline che ammorbidiscono i contorni, montagne sullo sfondo.

        Rumore di auto che passano e voci stridule di cicale, questo nel primo racconto lungo. Ma declivi disegnati sapientemente da vigneti e olivi, con l’affaccio sull’occhio blu della piscina di una villa, nel secondo racconto. Contesto ben noto a chi vive in quella magica parte della Toscana che è la lucchesia.
         Un contesto che vibra di strane presenze: ogni forma concreta sembra animarsi, come nei cartoons: un camion “barrisce”, una lattina schiacciata “sembra che tirasse dentro la pancia”; lo scorrere delle auto è simile al “russare un po’ nervoso di un gigante”; a una cabina telefonica solitaria fa compagnia un lampione; dalla strada meno trafficata sembra provenire un soffio leggero, come se “riprendesse fiato”.

       Anche Marcello, appassionato di western e degli 883, assomiglia a un cartoon che nuota nella sua divisa da lavoro troppo grande: “Col dito uncinò il colletto e lo tirò, fino a che non sentì la stoffa opporre resistenza. Nel far ciò, pensò che se fosse stato in un cartone animato avrebbe visto fuoriuscire dal colletto una densa nuvoletta di vapore”.

       Marcello è uno studente che frequenta il liceo in città provenendo da un paesino della periferia, rimasto isolato, anonimo, in mezzo a ragazzi di famiglie borghesi, lontano dai loro interessi: “storcevano il naso di fronte alle sue felpe sgualcite e ai suoi scarponi fuori moda”. Vive con la madre, figura di poche parole, che fa lavori umili, che vuole per lui un titolo di studio che gli serva da ascensore sociale, ma lo studio non lo appassiona, non ne sa ancora riconoscere l’importanza.
        Non riesce a immaginarsi da adulto. Sa comunque che ora non ama i voti che “sono numeri e i numeri non dicono un bel niente, i numeri servono solo a fare le classifiche”. E’ taciturno, riservato, eppure sa che “ci vorrebbero più parole forse” ma a lui “mancano anche quelle”.
Non riesce a accettare la separazione dei suoi e di scarso aiuto è la comparsa saltuaria del padre davanti alla cui sicurezza si chiude ancora di più.

       Tutto ciò per guidare il lettore nella giornata di Marcello – una mezza giornata delle vacanze estive – ma il tempo si dilata, se ne perde la percezione nel seguire il ragazzo in ogni suo momento, in ogni sua scelta, in ogni sua emozione, pensiero, reazione.
       Nella stagione che significa libertà senza confini, la madre lo ha mandato a lavorare al distributore di benzina dello zio, per punizione, perché è stato bocciato. Lui non si ribella, accetta, e parte in bicicletta per un lungo percorso ogni mattina. Pigia sui pedali per recuperare il ritardo, serve i clienti con il timore del principiante, silenzioso ascolta opinioni e volgarità che non condivide, scoppia di caldo nella divisa da lavoro. Ogni cliente che si ferma mostra ai suoi occhi un esemplare della così varia famiglia umana, con tutte le sue stranezze. Non sente il fascino delle auto, nemmeno di quelle più di lusso, tantomeno dei soldi a cui non sa attribuire valore.
       Una bibita fredda al bar vicino gli offre un momento di refrigerio e la consolazione di una figura femminile sul cui seno il suo occhio si posa, alla scoperta della donna e della vita: “Aveva il seno prosperoso, una quarta o una terza abbondante”. Per ora il suo contatto con le coetanee è stato impacciato, deludente.

      Ma non è tutto qui Marcello: dietro alla sua figurina dall’aspetto remissivo c’è un pensiero fervido ed una ancora più viva immaginazione, che gli permettono di astrarsi dal contesto, di prendere altri panni, altro passo e altra sicurezza.
       Non solo il tempo, ma anche lo spazio si dilata, e il campo di granturco oltre la strada diventa uno spazio infinito, una selva in cui rifugiarsi, salvarsi, vivere libero: “Poi rivolse uno sguardo, intenso, al campo di granturco di là dalla strada. Socchiuse gli occhi e la sua mente ne approfittò per fuggire lontano. Vide un mare di polvere rossa dispiegarsi in ogni dove. Vide capodogli di roccia fuoriuscire dalle sabbie e stagliarsi maestosi contro il cielo. Vide se stesso di spalle, con una lunga ombra che gli colava ai piedi”.

      Il finale è a sorpresa, un punto a favore di Marcello, che si ribella a ciò che altri hanno scelto o vogliono da lui, che interrompe “la frenetica girandola del mondo”: lo fa in modo pacato ma deciso, come l’uomo adulto che ancora non è. “Ed è una ribellione che esplode, diventa esplicita, e almeno per un momento azione. In un finale imprevedibile e poetico. E’ l’attimo trascendentale, in cui Marcello va oltre la sua storia, oltre se stesso, quello che finora era stato”, scrive Gianni Quilici nella postfazione.

      


Delicata e profonda capacità di addentrarsi nella psicologia adolescenziale, quella di Michele Giannini, che nel secondo racconto, La corsa, si sofferma sulla curiosità di due ragazzi verso il corpo femminile, quasi a rispondere alle esigenze di Marcello. Una lunghissima attesa su un poggio, con il cannocchiale puntato verso una piscina dove dovrebbero apparire giovani ragazze straniere. La fantasia corre, insieme agli ormoni. La tensione si fa sempre più forte, poi la delusione si addolcisce con una prova di amicizia profonda, segno delle infinite possibilità di evasione della fantasia degli adolescenti.

Michele Giannini, El Niño del Secolo, OpzioniEditionsProjects 2021,a cura di Maurizio della Nave, posfazione di Gianni Quilici pp. 96 Euro 10,00

 

26 gennaio 2022

"I cannibali di Mao" di Marco Lupis

 


di Giulietta Isola

“Come mai la Cina, fino a ieri produttore di mercanzia a basso costo, oggi domina il mercato high-tech mondiale, si impone come attore globale, assume il controllo economico e finanziario di intere nazioni ed è in grado di ‘richiamare all’ordine’ persino gli Stati Uniti d’America?”.

         Per tentare di capire questi “tempi moderni”, ci aiuta la lettura de “I cannibali di Mao” di Marco Lupis, un libro che racconta la sua lunga permanenza in terra cinese dove arrivò, da giovane reporter, nel 1995 ad Hong Kong, lembo di terra in Cina, allora ancora saldamente colonia di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra. 

       Per Lupis Iniziava quella che lui stesso definisce “una vera storia d’amore , vissuta non con un’altra persona, ma con un continente, l’Asia e con un popolo in particolare: i cinesi”. Da Hong Kong, Marco ha raccontato “l’attualità più stringente, gli avvenimenti più imprevisti e curiosi e quella diversità” che rendono unica la Cina.

        L’incontro con questo libro è stato molto importante, sono arrivata ad Hong Kong la prima volta nel 1980 (l’Italia ha avuto il primo collegamento diretto con Hong Kong nel 1986), poi molte altre volte anche in tempi recenti. Le ultime visite mi hanno lasciata sbigottita, nostalgica e confusa per quello che la Cina, il più grande Paese comunista del mondo, rappresenta oggi per tutti noi. 

       I Cannibali di Mao è ricco “di notizie e di avventure, di emozioni, testimonianze e anche di ironia”, una cronaca di un Paese che si è fortemente trasformato negli ultimi decenni, la Cina moderna dei nostri giorni continua ad essere la nazione più illiberale, meno democratica e più totalitaria del Mondo (con l’eccezione poco significativa della Corea del Nord), molto spesso nell’assordante silenzio della comunità internazionale. 

        Il titolo non è affatto metaforico: i comunisti cinesi del dopoguerra si macchiarono realmente di atti di cannibalismo quando la carestia, durante il ” Grande Balzo in avanti”, provocò un vero e proprio assassinio di massa con oltre 40 milioni di vittime. Il progetto di industrializzazione di Mao si rivelò disastroso, l’abbandono delle zone rurali provocò una fame tale che i genitori arrivarono a mangiare letteralmente i propri figli, spesso furono le figlie le vittime privilegiate sia per il controllo delle nascite che per l’obbligo del “figlio unico” (abolita nel 2013). 

        Oggi la Cina sembra una nazione moderna, ipertecnologica, tesa ad imporre ad ogni costo una sua nuova ‘governance’ globale, ma rimane ancora quella che non ha mai rinnegato o preso le distanze dalle tragedie del maoismo, “l’ imperatore- presidente-a-vita” Xi Jinping non sconfessa quegli orrori, ma rivendica le scelte del passato come fondanti ed uniche possibili per consentire alla Cina di diventare quella che è diventata oggi: l’unico esempio nella Storia di dittatura (globale) del danaro. 

       Lupis, in questo saggio, molto evocativo, attuale, a tratti sconcertante ci aiuta a capire ciò che realmente accade senza avvalersi di fredde statistiche e mere informazioni giornalistiche. La Cina è un paese atipico, contraddittorio, difficile da comprendere per noi occidentali, ma molto interessante. I cannibali del titolo hanno una doppia valenza, sia quella citata del passato che quella adeguata e stringente dei tempi contemporanei : la Cina è capace di fagocitare con avidità il potere economico-politico-territoriale straniero, e noi, comuni mortali, abbiamo difficoltà a confrontarci con quella che ormai è una moderna “colonizzazione” che, a meno di inediti e ad oggi assolutamente imprevedibili sconvolgimenti geopolitici globali, presto o tardi, ci assimilerà per farci diventare tutti “comunisti cinesi”. 

        Studiosi ed esperti anticipano al 2028 il sorpasso della Cina sugli Stati Uniti , ma già nel 2025 sarà leader mondiale nel settore delle nanotecnologie. Xi vuol realizzare il sogno di una nuova era di felicità cinese estendendo i valori, la cultura e il socialismo con caratteristiche cinesi a partire dai Paesi emergenti che ne dovrebbero imitare il modello di sviluppo per passare dalla povertà alla sostenibilità, la parte finale del libro dedicata al GF cinese fa sembrare “ Orwell uno che mancava di fantasia.” 

       Sintesi: la Cina è passata in pochi decenni da paese agricolo a superpotenza mondiale e sembra perseguire un solo obbiettivo “diventare il più grande impero commerciale del mondo”, ignorando e calpestando a cuor leggero qualsiasi diritto umano e civile. Lettura molto interessante.

 Marco Lupis. I cannibali di Mao. Rubbettino editore. Euro 18,00

24 gennaio 2022

"Oliva Denaro" di Viola Ardone

 

di Marigabri

 «Io non lo so se sono favorevole al matrimonio. Per questo in strada vado sempre di corsa: il respiro dei maschi è come il soffio di un mantice che ha mani e può arrivare a toccare le carni».

       Oliva Denaro è una ragazzina, abita in un piccolo paese siciliano, è il 1960, tutte le finestre hanno occhi, tutte le donne (o quasi) sono sottomesse alla morale comune, tutte le madri educano le figlie alla sottomissione («la femmina è una brocca: chi la rompe se la piglia»), a tutti i maschi (o quasi) fa comodo che le cose rimangano così. Delitto d’onore, matrimonio riparatore sono articoli di legge.

       E invece la realtà sta cambiando e Oliva sarà un vettore di trasformazione  radicale, anche se lei ancora non lo sa e nemmeno può lontanamente immaginarlo -adesso- mentre magra e spigolosa corre per i viottoli di campagna, e visto che fin da bambina trova il coraggio di dire alla sua maestra (donna già emancipata e perciò destinata a migrare) : «La donna singolare non esiste. Se è in casa, sta con i figli, se esce va in chiesa o al mercato o ai funerali, e anche lì si trova assieme alle altre. E se non ci sono femmine che la guardano, ci deve stare un maschio che la accompagna»

       Anche la giovanissima Oliva, infatti, è acerba portatrice di questa mentalità: buona, brava, obbediente agli insegnamenti della madre che vengono assorbiti per osmosi, timorosa degli sguardi e delle chiacchiere delle ‘maleforbici’, nonostante qualcosa dentro di lei sia vivo, intelligente e potenzialmente ribelle. “Io sono diversa, pensai, ma loro sono dentro di me […] Galline, siamo noi, femmine di pollaio. E io non sono favorevole al pollaio”.

       Eppure Oliva sarà proprio quella donna singolare, l’imprevedibile gallina che uscirà dal pollaio. E lo sarà l’amica Liliana, la “comunista” che le promette di cambiare quelle leggi, là dove questo si può fare, in Parlamento. Ma passando per le piazze, espressione di una pluralità femminile che lotta per il riconoscimento della singolarità. E questa è storia.

       Ma qui c’è anche il racconto, toccante e meraviglioso di un padre: contadino, silenzioso, mite ma deciso a rispettare la volontà della figlia, ad accompagnarla nella sua battaglia, senza strepitare, senza battere i pugni, con la forza di un sentimento puro. E di fronte alla domanda di Oliva: - che cosa fai tu? risponde con stupefacente semplicità : - Se tu inciampi, io ti sorreggo.

        Perché lui è un uomo d’altri tempi che però si interroga sul suo ruolo e sul suo compito: “Ma è mai possibile che un uomo, un padre di famiglia, solo perché porta i pantaloni in casa, così si diceva una volta, deve sapere qual è la cosa giusta per tutti?” e si dedica alla figlia con la stessa cura e dedizione con cui si occupa della terra e delle piante. “Io sono un contadino è quello che conosco è piantare il seme e aiutare la pianta a venir su nonostante il tempo secco, la pioggia improvvisa, il vento forte. Metto un sostegno quando è debole e tengo lontani i parassiti che la possano fiaccare. Ma poi la pianta, se trova la strada, cresce da sé”.

       E infatti l’ultima parte del romanzo di Viola Ardone è una sorta di passaggio di testimone tra padre e figlia, dialogo ed epilogo insieme, chiusura magistrale per una storia appassionante, commovente, dal ritmo narrativo perfetto.

Viola Ardone. Oliva Denaro.Einaudi. Euro 18,00

 

21 gennaio 2022

 


di Rosanna Valentina Lo Bello 

Un altro intervento, dopo quello di Gianni Quilici,  su questa foto di Margaret Bourke-White, utile, perché pone altre questioni,  che possono allargare un'eventuale discussione

 Questa foto è bella ed era la preferita da Margaret Bourke - White.

Lo scatto è perfetto dal punto di vista tecnico e mi ha interessato soprattutto perché mi ha sollevato un grosso dubbio sul "senso" della fotografia o meglio su "chi" scatta.

Da semplice appassionata di fotografia voglio condividere il mio pensiero con voi partendo dalla mia personale analisi della foto per cio' che mi ha trasmesso.

La prima cosa che mi colpisce è il fischietto al collo che lo associo al disperato richiamo alla vita pronto ad essere fischiato con tutte le forze in una situazione di pericolo e, nello stesso tempo percependolo come una croce, pronto ad essere pregato e baciato come oggetto sacro quando la speranza finisce con l'impossibilità di fischiare l'aria che manca.

Sono particolari e sottili le inclinazioni dei due visi che vanno l'uno verso l'altro in segno di unione e complicità verso un destino opprimente e infuocato a 38 gradi dentro il cuore della miniera .

Mi portano ad immaginare ,grazie alla diversità delle altezze delle teste, a un'ipotetico segno grafico a forma di cuore dove vedo la sottomissione e la disperazione dell'impotenza.

Trovo imbarrazzante lo sguardo dei due a palpebra mezza calata e rivolto lateralmente verso lo stesso punto e mi pongo una domanda : Quanto fosse spontaneo o richiesto?

Percepisco invece molto vere le due bocche carnose imbronciate con lo stesso micro spiraglio centrale che urlano libertà.

Libertà dal luogo infernale dove si trovano .

Libertà dalle loro condizioni di vita anche fuori dalla miniera.

Libertà anche da chi li sta fotografando?

Notare i rivoli del loro sudore dentro l'ottimo contrasto del chiaro scuro mi fa male visivo ed interiore.

A me non colpisce questa foto per la dignità, la nobiltà dello sguardo e del portamento come viene scritto sul libro.

Nel senso che io credo davvero che questi due uomini posseggono questi valori allo stato puro dell'essere, ma non apprezzo che siano stati messi in posa per una foto.

Il libro dice che sembrano delle statue maestose .

Si è vero.

Due statue maestose in posa.


Questo mio pensiero sulla foto ovviamente non incide sulla grandezza fotografica di Margaret B.W.