29 marzo 2021

“Il mistero del cinema” di Bernardo Bertolucci

 

di Gianni Quilici

Lo vedo negli scaffali dell’edicola  e lo prendo al volo. Sono poco più di 90 pagine e so che lo leggerò con piacere e che forse troverò lo spunto per scriverci.

Ho sempre avuto un rapporto felicemente contraddittorio con il cinema di Bernardo Bertolucci.  A volte mi ha conquistato, penso per fare qualche nome, a Strategia del ragno o al Il conformista;   altre volte,  non mi ha convinto fino in fondo,  come per esempio in  L’ultimo imperatore o in The dreamers . Tuttavia , più o meno tutti, mi hanno lasciato il desiderio di rivederli, come se dovessi farci ancora i conti non tanto con singoli film, ma con la figura stessa di regista di Bertolucci

Bella la copertina con il volto intenso poco decifrabile del regista, la posa sicura, quasi spavalda, con la mano destra infilata dentro la cintura dei pantaloni e l’altra ivi poggiata e aperta. Quando inizio a leggerlo capisco che non sono articoli come, a  un primo sguardo, pensavo, ma  un intervento scritto in occasione della laurea honoris causa ricevuta dall’Università di Parma nel 2014, come ci informa Michele Guerra nella bella postfazione.

Il libro è una carrellata veloce della sua autobiografia umana e artistica. Prendono corpo il padre poeta, Attilio, il fratello regista, Giuseppe, la mamma, Ninetta; i luoghi più significativi: Casarola e Parma, Roma e Parigi, il Sahara e la Cina; i suoi maestri, che lo hanno molto influenzato all’inizio: Pasolini e Godard; e infine il cinema e i suoi film.

Ciò che mi colpisce è l’intelligenza della  passione. Una passione che nasce dalla vita e che si nutre  dell’ossessione, anche speculativa, della rappresentazione. Bertolucci racconta, infatti, cosa ha voluto dire per lui fare cinema, fare film.

Un film come libertà, senza idee precostituite. Una libertà che crea. Una creazione che realizza momenti magici, quasi miracolistici. La sensazione, infine,  di sentire la vita del film, come se esso acquistasse una sua vita propria.

E questo come e quando succede? Quando si incontra lo stile. Perché un film, argomenta Bertolucci, è certamente una storia, ma il linguaggio usato oltrepassa i fatti narrati, li rende più ambigui, più misteriosi. “Il carrello ad esempio” scrive “mi ha sempre fatto  pensare alla poesia, è come se scrivessi poesie con un tipo di metrica differente: serve per dare movimento, come accade in un verso”.

Ho pensato che “Il mistero del cinema” diventi anche “il mistero Bertolucci”. Il cinema di Bertolucci, infatti, è innamorato non solo della realtà e della sua rappresentazione cinematografica, ma anche del suo pensarla, rimuginarla. Bertolucci è’ stato, infatti, un narratore e un esteta, un intellettuale e un poeta. E il suo mistero è in tutto ciò che i suoi film di complesso e misterioso ci lasciano ancora.

Il mistero del cinema. Bernardo Bertolucci. La nave di Teseo. La repubblica. Pag. 92. Euro 8,50.

 

 


28 marzo 2021

"Il mare è rotondo" di Elvis Malaj

 

di Giulietta Isola

“Il momento in cui si perde è il momento in cui si accetta di aver perso, e può verificarsi all’inizio, senza neanche aver combattuto, o alla fine, o anche mai…questo mondo fa paura, però ha un punto debole; si piega alla persistenza.”

             "Un romanzo balcanico” vivace, picaresco, festoso, barbarico caratteristiche facilmente associabili ai popoli balcanici e slavi, in parte cliché in parte verità antropologica e di immaginario, il folclore più colorato è raccontato con un umorismo straniato che richiamano alla mente immagini di Kusturica e musiche di Bregovic

       E’ la storia di un sogno, quello di Ujkan di andare in Italia. Il primo tentativo fallisce in una scena tragicomica davanti alla costa pugliese, risparmia soldi per riprovarci, ma gli va tutto storto. Nelle pagine lo seguiamo nella sua vita quotidiana svagata e dissipatoria, lavoretti per sopravvivere , incontri inattesi, ha amici lamentosi e balordi, febbri improvvise, disavventure, pestaggi, vita da caffè e soprattutto l’infatuazione per Irena, 23 anni, bella e sfuggente, che alla fine conquisterà per estenuazione, dopo un corteggiamento comicamente irresistibile. 

        Il titolo, tratto da un romanzo dell’amico Sulejman, Il mare è rotondo è perfetta metafora per cui si torna sempre al punto di partenza. La struttura del romanzo è particolare: nella parte iniziale si stabiliscono le coordinate della storia di fondo che si ramificherà poi, nei capitoli successivi, in piccoli racconti a sé stanti che ritraggono l’isolamento di chi si sente straniero in casa propria e smarrito nella disperata ricerca di un senso. 

       Il carattere ferino della cultura albanese traspare nella violenza del turpiloquio (in albanese) e Malaj svincola la narrativa migrante dal dovere della testimonianza e dalla retorica della diversità: questi personaggi ci somigliano, anche se un po’ alieni, sono da una parte uniformati dalla globalizzazione, aspirano agli stessi consumi di tutti noi e dall’altra sono ancorati ad una subcultura che si rifà al mondo contadino ed ai codici tribali, Ujkan cerca di interpretare quello che è stato, cosa significa essere albanese, in un continuo dissidio con la precarietà e l’evoluzione di usi e consuetudini. 

        L’autore mette in scena l’ultimo avamposto comunista attraverso piccole ed ininfluenti vicende umane, sullo sfondo una periferia fatta di rottami, baracche con antenne paraboliche, strade polverose e vecchie Mercedes, utilizza una lingua scabra ed è molto efficace nei dialoghi, parla molto e con passione di scrittura, libri, storie, letteratura ed a un certo punto ingarbuglia la trama che arriva a somigliare ad un noir metropolitano, ma il gioco letterario è spassoso e raffinato, ci stupisce e ci accompagna, con la sua voce originalissima, verso l’inatteso, scoppiettante finale, ma solo dopo aver catturato la nostra attenzione con spazio, luoghi, tempi, relazioni, regole sociali diverse e insieme riconoscibili e l’incertezza di una gioventù che sgomita, con se stessa e con chi le sta vicino, che fa a botte con la propria vita e con quella degli altri. Elvis Malaj è una voce giovane che parla di resilienza e speranza, ma anche di allegria e futuro, la sua scrittura ha l’irruenza della gioventù, irrituale e virtuosistica, surreale e poetica accoglie le storie che vede fuori di sé per restituircele vitali attraverso il doppio sguardo dei suoi personaggi che hanno il piede in due mondi e ci raccontano l’Italia agognata ed immaginata dall’Altro. 

       Tenero, agro e consigliato.

IL MARE E’ ROTONDO 

 di ELVIS MALAJ 

Rizzoli Editore

Euro 18.00

 

26 marzo 2021

"Zorro. Un eremita sul marciapiede" di Margaret Mazzantini

 

di Rosanna Valentina Lo Bello

Questo libro di 66 pagine è un concentrato di amore che tocca nel profondo tutti i livelli emozionali che ognuno di noi possiede.

Si può  leggere in meno di un'ora ma rimane impresso per giorni con la voglia di approfondire, magari rileggendolo.

La dedica iniziale "A Sergio e al suo cane" può  sembrare banale ma assume, via via che si legge il libro,un significato importante e profondo.

Nelle prime pagine la Mazzantini spiega le motivazioni della scelta di questo monologo teatrale scritto per il marito attore Sergio  Castellitto.

" Cercavo una buona idea per Sergio Castellitto,per il suo talento  d 'attore ma non solo,qualcosa che desse voce alla sua parte muta...Pensavo a un monologo intimo eppure circense che gli desse la possibilità di sgangherarsi.

Perché ogni tanto viene voglia di stendersi sul guanciale dell'abbandono di dire: ma si, voglio essere molle e cagionevole, stupido e disdicevole".

Poi passa la parola a due voci narranti che si alternano e che fanno parte della stessa persona.

È  la storia di un uomo che per consapevole scelta diventa un senzatetto.

Zorro, così si chiama in onore al suo cane che non ha più ritrovato,vede nella marginalità un territorio privilegiato.

Indossa un guinzaglio al posto della cravatta e descrive il suo altissimo senso di dignità  e rispetto altrui.Si rivolge alle persone "normali definendoli"cormorani" e vede nel viver per strada il grande dono del tempo dilatato che ti permette di fermarti e guardare in faccia la gente.

Queste due voci narranti (lui uomo cormorano e lui barbone) ci fanno entrare lentamente e delicatamente nei vari episodi che la storia, per niente banale,ci offre. 

In un ritmo incalzante venature nostalgiche prendono corpo dentro spaccati di commozione pura e ricerca di una gentilezza accolta e data.

È  un libro pieno di poesia e mi hanno colpito in questo senso tre momenti:

1) il rapporto con le suore della mensa

2) l'abbandono del suo cane Zorro,obbligato dalla moglie

3) l'amore non corrisposto verso la moglie

In tanti punti della storia si passa dell'ironia alla comicità  spicciola quasi rappresentativa e ciò non stride con il linguaggio usato: senza fronzoli, nudo e crudo, quasi parlato come nella vita reale.

La Mazzantini usa un linguaggio non per essere solo letto ma per essere anche"sentito".

E " ..chi di noi in una notte di strozzatura d'anima,bavero alzato sotto un portico, non ha sentito verso quel corpo,quel sacco di fagotti  con un uomo dentro,una possibilità  di se stesso?

Margaret Mazzantini. Zorro. Un eremita sul marciapiede. Mondadori.

24 marzo 2021

“Due vite” di Emanuele Trevi

 

 


di Marigabri

“Non siamo nati per diventare saggi, ma per resistere, scampare, rubare un po’ di piacere a un mondo che non è stato fatto per noi.”

 Questo breve libro, racconto e memoria sentimentale intorno a due vite che si sono spente troppo presto, è dotato di una concentrazione e di una intensità che lasciano il segno; non solo: risvegliano in chi legge analogie di sentimenti, sfavillio di pensieri, fanno intravedere scorci di paesaggi e cominciamenti di sentieri che senza scampo e senza deviazioni portano dritti all’anima.

 Trevi afferma che “la letteratura deriva la sua stessa ragion d’essere dal rifiuto di ogni generalizzazione: è sempre la storia di quella persona, murata nella sua unicità, artefice e prigioniera della sua singolarità”.

Ed è proprio rispettando questo principio che ci parla della sua amicizia con Rocco Carbone e Pia Pera, ci partecipa del suo sguardo su di loro, celebrandone l’essenza con pochi, individuati aggettivi: incantevole Pia, saturnino Rocco.

 Entrambi complessi, sfaccettati, diversi, ma forse resi simili “da questo compagno segreto, da quest’ombra vanificatrice, da questa orrenda succhiasangue che è l’infelicità.”

Plateale per Rocco, più sottile e meno visibile per Pia.

Molto differente fu invece la loro morte: improvvisa per lui, lenta e disgregante per lei.

Le loro opere testimoniano la preziosità del loro talento, e questo libro ne offre un appassionato omaggio.

 Ma ecco che leggendo ci accorgiamo che l’affermazione testé riportata, sulla singolarità della letteratura, si trasforma e addirittura si capovolge nel suo opposto, perché in questo racconto non ci sono soltanto gli intrecci individuali tra le persone che ne rappresentano i soggetti narrativi (Rocco, Pia, l’autore), ma c’è anche un respiro più ampio, il ritmo di un passo più universale, se così si può dire, ovvero più schiettamente e genericamente umano.

 “Noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene.”

È questa seconda vita che Trevi, scrivendo, ci induce a sperimentare, non solo per Rocco e Pia, che non abbiamo personalmente conosciuto, ma anche per tutti coloro che abbiamo amato e perduto e che sopravvivono in una zona umbratile del cuore.

“La scrittura è un mezzo singolarmente buono per evocare i morti e consiglio a chiunque abbia nostalgia di qualcuno di fare lo stesso: non pensarlo ma scriverne”... accorgendosi così che la scrittura è una vera e propria chiamata, una convocazione dello e nello spirito.

E per finire (ma molte sarebbero ancora le citazioni significative):

“I nostri amici sono anche questo, rappresentazioni delle epoche della vita che attraversiamo come navigando in un arcipelago dove arriviamo a doppiare promontori che ci sembravano lontanissimi, rimanendo sempre più soli, non riuscendo a intuire nulla dello scoglio dove toccherà a noi, una buona volta, andare a sbattere.”

Inaspettatamente, leggendo questo piccolo limpido libro, io mi sono commossa.

 Emanuele Trevi. Due vite. Neri Pozza.