12 agosto 2015

"Dialogo fra Foucault e Lacan" di Emilio Michelotti


Argomento del primo dialoghetto era “eternità e tempo”, quello del secondo “mito e fiaba”. Per quello di oggi, “desiderio e frustrazione” faccio incontrare due che la sapevano lunga: Jacques Lacan e Michel Foucault. Se il dialogo vi fosse stato, potrebbe essersi svolto in una saletta appartata della “Haute école des étudies”, nella città dei Lumi, intorno all'autunno del 1976.
Foucault:- In questi anni si tenta di contrapporre un potere repressivo a una sessualità autentica: Io non penso che la sessualità sia una natura originaria e ribelle che il potere tenterebbe di reprimere, ma un dispositivo creato e tenuto in vita dal potere stesso.

Lacan:- Per ritrovare il filo sconnesso dobbiamo, a mio parere, tornare all'insegnamento originario di Freud, travisato dagli sviluppi successivi della psicoanalisi. La rivoluzione freudiana è consistita nel detronizzare l'io, riconoscendo nell'inconscio la vera voce dell'individuo: chi parla non è propriamente l'io, ma l'inconscio. L'inconscio è strutturato come un linguaggio, è desiderio diveniente linguaggio.

F:- Non ho difficoltà a seguirti su questo terreno: una cattiva interpretazione ha collocato fra gli emblemi della nostra società quello del sesso che parla. Del sesso che si sorprende, che s'interroga e che, costretto e volubile a un tempo, risponde inesauribilmente. Questa china ci ha condotti a porre al sesso la domanda: chi siamo? E non tanto al sesso-natura (elemento del sistema vivente), ma al sesso-storia, al sesso-significato, al sesso-discorso. Ha fatto della sessualità l'elemento identificativo degli individui, la verità del soggetto.

L:- Il soggetto (o io) non è, peraltro, il dato originario della vita psichica dell'individuo, ma il risultato di una costruzione. L'ordine simbolico – ossia il linguaggio – si fonda sulla rimozione dell'immaginario, ossia su una scissione fra conscio e inconscio. Il simbolico è il luogo dell'inconscio impersonale, dove sono depositati simboli linguistici e sociali, finché non s'incarnano in un individuo. Si accentrano così in una unità immaginaria (il Me), che fa sì che si desideri quel che non si ha. In tal modo il reale diventa lo scopo irraggiungibile che perpetua eternamente il desiderio.

F:- La costituzione stessa delle “scienze umane” va sotto questo segno e deriva da una duplice frattura: quella avvenuta nel '600 con l'adozione di una teoria della rappresentazione (tutto il reale è simbolizzato da un sistema di segni), e quella, avvenuta nel XIX secolo, che ha visto la “comparsa dell'uomo”, del soggetto che pone se stesso come oggetto di un sapere specifico. Oggi però è giunto il momento della consapevolezza: l'uomo è preso all'interno di strutture che dominano il modo in cui gli individui pensano e agiscono. Per questo parlo di morte dell'uomo e della necessità dell'avvio di un pensiero antropofugale, nel quale ci si renda conto che egli non è più fondamento epistemico.

L:- La prima tappa della costruzione dell'ordine simbolico che c'imprigiona è lo stadio dello specchio: il bambino fra i sei e i diciotto mesi arriva a riconoscere la propria immagine allo specchio ed elabora un primo abbozzo dell'io, ma entro una relazione duale di confusione tra sé e l'altro. Tale identificazione è primaria, matrice di tutte le altre. Essa estranea l'io in una alterità idealizzata e conferisce al mondo un carattere antropomorfico.

F:- Io distinguerei quattro insiemi strategici, attraverso i quali il potere diffuso ha intrecciato la confusione che tu denunci con dispositivi specifici della sessualità: 1) isterizzazione del corpo della donna, 2) pedagogizzazione del sesso del bambino, 3) socializzazione delle condotte procreatrici, 4)  psichiatrizzazione del piacere perverso. Si è detto spesso che la società moderna ha cercato di ridurre la sessualità alla coppia, alla coppia eterosessuale e per quanto possibile legittima. Si potrebbe dire altrettanto bene che essa ha, se non inventato, accuratamente organizzato gruppi a sessualità circolante: una distribuzione di punti di potere, gerarchizzati o in urto fra di loro, piaceri “ricercati”, cioè a un tempo desiderati e perseguitati; sessualità parcellari tollerate o incoraggiate. La famiglia è una rete complessa, satura di sessualità multiformi, frammentarie,  mobili.

 


L:- Ridurre questa multiformità alla relazione coniugale, a costo di proiettarla, sotto forma di desiderio vietato, sui figli, non può render conto di questo dispositivo che è piuttosto un meccanismo incitatore e moltiplicatore che un principio d'inibizione. La nostra società è una società di perversione abbagliante e diffusa. E tutto ciò che ha lo scopo di ridurre e deviare, provoca l'aumento del desiderio di ciò che non si ha, in una catena viziosa. Frustrazione, senso di inadeguatezza e di insoddisfazione impossibile da colmare: è la fonte della massima infelicità.

F:- E questo nient'affatto nella forma dell'ipocrisia, perché nulla è stato più manifesto e prolisso, né perché, per aver voluto esigere contro il sesso una barriera, avrebbe dato luogo suo malgrado a una germinazione perversa e patologica. Si tratta piuttosto del tipo di potere che essa ha fatto funzionare sul corpo. Un potere che non ha né la forma della legge né gli effetti del divieto. Al contrario, procede con la moltiplicazione di sessualità insolite. Produce e fissa la diversità sessuale. E' una società perversa, non malgrado il suo puritanesimo o come una specie di contraccolpo della sua ipocrisia; è perversa direttamente e realmente.

L:- E' possibile che l'Occidente non sia stato capace d'inventare piaceri nuovi, e probabilmente non ha scoperto vizi inediti. Ma ha definito le nuove regole del gioco, il volto irrigidito delle perversioni. La domanda da porre non è dunque: perché mai il sesso è così segreto? Fra ciò che siamo e ciò che diciamo o pensiamo di essere sussiste sempre uno “slittamento di significati” che ci vede di continuo decentrati in noi stessi. Vorrei parafrasare il motto istitutivo della razionalità moderna: “Penso dove non sono, sono dove non penso”.  La domanda è, dunque, perché non facciamo che generare malintesi, dire altro da ciò che vorremmo? E, viceversa,  perché se ci proponiamo di parlare d'altro, dei fatti, delle cose della vita, finiamo sempre per rivelare noi stessi, confessare i nostri limiti?

F:- Sono queste considerazioni “sociali” che ti hanno fatto abbandonare l'Associazione di Psicoanalisi e fondare l'Ecole freudienne de Paris?

L:- Anche, e per la deriva astratta, statica e precostituita dell'associazione, che l'ha resa incapace di riflettere creativamente e agire praticamente sulle dinamiche dell'esperienza. Pensa a quel che più  avvicina il mio e il tuo pensiero: sono le parole (metafore, metonimie) più ancora che le immagini e i sogni, a tradire il significato inconscio. L'ambito in cui questo significato è rintracciabile si allarga così indefinitivamente. E' soprattutto negli scarti del linguaggio cosciente, negli interstizi fra un significante e l'altro che si può sorprendere la voce dell'Altro: una voce che parla attraverso pause, incertezze, cadute di ritmo e di tono. Una voce che costituisce quell'orlo di silenzio in cui trova senso la nostra voce, così come l'evento dell'essere trova senso nel nulla.

Michel Foucault: La volontà di sapere, in  Storia della sessualità, Feltrinelli, 1976

Jacques Lacan: Scritti, Einaudi, 1966

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