27 novembre 2015

"Lucio Magri: due osservazioni" di Gianni Quilici



         Giustamente si è ricordato, rappresentato, discusso Pasolini, a 40 anni dalla sua morte, perché ancora ci “parla”, ci “tocca”, ci è “utile”. Pochissimo si scriverà invece di Lucio Magri, a quattro anni (soltanto) dalla sua morte (per scelta). Forse neppure ne Il manifesto, che pure gli deve molto.

         E Magri possiamo certo leggerlo (e non è poco), ma, a differenza di Pasolini, non possiamo vederlo, né sentirlo nel flusso della sua esistenza.  Quanti saranno stati i comizi, gli interventi, le interviste televisive fatte da Magri! Di tutto questo in rete si trova soltanto la presentazione de "Il sarto di Ulm" a Bologna, che  certamente non rende l'idea del Magri degli anni '70, '80, '90, gli anni, in cui abbiamo potuto vederlo e ascoltarlo pubblicamente!
 

        Perché è sia nei suoi libri, articoli, saggi, sia nei suoi interventi orali che trovo due aspetti, che mi hanno sempre colpito di Lucio Magri: la complessità e insieme un'idea estetica, portata al perfezionismo, come osservava Valentino Parlato, sia nello scrivere e nel parlare, che nel presentarsi e nell'esistere.
 

        La complessità in Magri viveva nella ricerca ossessiva della causa ultima delle cose, che era spesso la molteplicità delle cause, con tutte le conseguenze che ne derivavano. Un ragionamento che scavava per successivi approfondimenti, che ti prendeva per mano e ti faceva toccare con limpidezza lo "stato delle cose".
 

         Il senso dell'estetica, invece, era nella chiarezza e nella limpidezza, nel ritmo dei periodi fluenti e nella ricerca del vocabolario giusto, che cogliendo la profondità, coglieva anche ciò che ci tocca della profondità: il "cuore delle cose".
Un suo comizio o la conclusione di un convegno erano quasi sempre "illuminanti",  ma anche "commoventi", facevano fermentare energie dinamicizzandoti.
 

        "Illuminanti", perché vedevi il tempo della storia, grandi spazi nei conflitti delle classi, possibili idee forza da trasmettere; "commoventi", perché toccavano le viscere dell'umano: la profondità del dolore, l'utopia possibile.
 

        L'estetica era anche nell'arte del discorso, nella voce sottile e musicale, che sapeva essere sferzante e appassionata, distaccata e divertita.
 

         L'estetica era inoltre anche nel volto da "attore americano", ma di quell'attore che trascende la bellezza dei lineamenti e diventa "artista", creatore di un'immagine forte di sé, una commistione, cioè, di energia intellettuale, di eleganza e di mistero.
 

        Per questo il migliore modo di "commemorare" Lucio Magri è "scoprirlo", o “ripensarlo” cioè leggerlo e utilizzarlo, per ciò che ci ha lasciato per il nostro futuro, perché sono d'accordo con Alberto Burgio che sul manifesto scrisse: "...Questo gli ha permesso di portare a termine, nonostante un dolore inemendabile, uno dei libri più belli e importanti su di noi -sui comunisti italiani e sul comunismo novecentesco- che siano mai stati scritti"; e con Perry Anderson che osserva: "Lucio Magri era una figura unica nella sinistra europea"
                                                                                

1 commento:

Bianca Mannu ha detto...

E' una figura che ho incontrato di striscio e che, non so perché, pur militando nello stesso schieramento, non ho avuto modo di cogliere nel suo essere specifico. Me ne dispiace enormemente, anche perché la sua immagine è ricomparsa ai miei distratti occhi nel momento per lui più tragico e per me foriero di forti conflitti interiori. Ho pensato che la sua scelta finale fosse non solo il portato di un insuperabile dolore personale, ma la presa d'atto del grande fallimento politico e culturale, più che del partito, del movimento operaio mondiale.