07 giugno 2019

"Qualcuno la chiamava Mistinguett" di Luciano Luciani


Nell’estate del 1950 i gestori del “Colle Oppio”, allora il massimo teatro romano all’aperto, annunciarono l’apertura della stagione con un numero eccezionale: Mistinguett. Grandi cartelloni a colori tappezzarono Roma per informare dell’evento. Ma la sera del debutto nello spazioso giardino c’erano, sì e no, trentacinque persone: quindici paganti e venti imbucati.
La modestissima troupe, composta di qualche ballerina, un paio di cantanti, un presentatore e un fantasista, dichiarò fallimento lo stesso giorno. Nessun altro impresario teatrale volle firmare il minimo impegno per un giro in qualche altra città d’Italia, anche nella più abbandonata delle province. L'ambasciata di Francia rifiutava qualsiasi contributo e quindi quattrini per ritornare a Parigi non ce n’erano. Nè per rimanere: gli alberghi minacciavano di sequestrare i bagagli personali e nessun ristorante era disposto a far credito.
Mistinguett, seduta su una sedia al centro del palcoscenico vuoto, piangeva a dirotto e nessuno le si avvicinava per consolarla. La quasi ottantenne “Regina del music-hall” chiudeva la sua carriera abbandonata dal pubblico e dagli impresari.


Qualche ora dopo, il maestro Mario Ruccione (1908 - 1968), il musicista di Luciano Tajoli e Claudio Villa - oltre che sino a pochi anni prima fortunato canzonettiere del regime fascista - invitava i componenti della piccola formazione a mangiare in una trattoria lì vicino e si faceva promotore fra gli artisti romani di una colletta che permettesse il ritorno in Francia di “Miss” e di tutti i suoi compagni di lavoro.
Quella di Roma fu l’ultima comparsa in scena della famosa cantante e danzatrice francese, nata circa 75 anni prima a Montmorency, nei pressi di Parigi, da un modesto tappezziere di provincia e da una sarta a giornata; la disastrosa tournée romana chiudeva una carriera di trionfi e una vita movimentatissima.

Venuta al mondo  nell'Ile de France, a Enghien-les-Bains, come Jeanne Bourgeois, nome comunissimo in Francia, da ragazzina, la piccola Jeanne a dodici anni vendeva fiori davanti al Casino, alla pari di un'eroina pucciniana o chapliniana: non sapeva ancora cantare, ballare o recitare, ma il teatro l'attirava con una forza irresitibile.
In famiglia fu deciso allora di farle impartire qualche lezione di canto a Parigi. E fu un certo Boussagnol che s’incaricò di educare la vocetta di quell’allieva turbolenta e niente affatto malleabile. La ragazzina aveva tredici anni quando iniziò i primi vocalizzi; a quattordici debuttava nel coro della chiesa di Montmorencey come solista in mezzo a una folla di suoi coetanei.


Seguitò nello stesso tempo a frequentare le lezioni, perché cantare le piaceva. Andava tutti i giorni avanti e indietro dal suo paese a Parigi, portandosi sottobraccio le musiche e la colazione. Era bionda, stopposa di capelli e aveva i denti leggermente in fuori. Un operaio, suo compagno di viaggio ogni mattina, disse che somigliava in tutto a un’inglese e cominciò a chiamarla “Miss Tinguett”. Quel soprannome doveva diventare il suo nome d’arte ed era destinato, in futuro, a brillare a lettere cubitali al di qua e al di là dell'Atlantico.


Il debutto avvenne al “Trianon” di Place d’Anvers quando aveva appena sedici anni. Uscì sul palcoscenico vestita da contadinella e cantò una canzone patetica. A dir la verità non riportò un grande successo; anzi, la maggior parte del pubblico non la notò nemmeno. Ma la piccola Jeanne, ormai già Mistinguett, era caparbia e voleva arrivare a tutti i costi. Così quando seppe che all’”Eldorado” avevano bisogno di una “gommeuse excentrique”, si presentò con la sua tradizionale faccia tosta. Fu accettata e un paio di sere dopo debuttò. Fu in quel teatro che conobbe Maurice Chevalier, poco più che  adolescente: lo stesso che doveva diventare un giorno il suo più grande amore e, più tardi, il “Maurice national”.

Rimasta senza ingaggio, mentre si recava a cercare lavoro al “Moulin Rouge”, grazie a un formidabile paio di gambe – lunghe e dritte che terminavano in due caviglie seducenti valorizzate da tacchi vertiginosi e scarpette con laccetto charleston - fu notata da Max Dearly che necessitava  di una partner per il suo “valse chaloupée”, una danza apache, su musica di Hoffenbach, che aveva in mente da tempo.
Fu il primo successo. Quella sua aria leggermente dolorosa, quel suo aspetto di donna ingenua e perfida, torturatrice e vittima, brillante e maliziosa, si addiceva perfettamente al ballo che i due eseguivano e piacquero al pubblico che applaudì entusiasticamente.



Con Dearly, Mistinguett rimase parecchi anni; poi passò alle “Folies Bergère”. E qui ritrovò Chevalier ed ebbe inizio il grande amore della sua vita. Una love story che iniziò con una rissa: in una viuzza vicina alle “Folies”, Maurice fece a pugni con l’attore Jean Dax che finì a terra col volto tumefatto. Chevalier si era azzuffato per difenderla dalla corte dell’altro, e anche il suo volto, dopo la lotta, era pieno di ecchimosi. Mistinguett lo ringraziò, gli curò le ferite e s'innamorò di lui.

Era il 1913. Già la minaccia della guerra si profilava all’orizzonte. Chevalier  è richiamato alle armi e inviato in una guarnigione del sud. Mistinguett non sopporta la separzione e si adopera con tutti i mezzi per far trasferire il suo uomo a Fontainebleau. Ci riesce, ma la gioia fu di breve durata. Al primo colpo di cannone, l’attore dove partire per il fronte, dove, ferito, è fatto prigioniero. Un' angoscia terribile per la soubrette. Ma era una donna volitiva, e la sua brillante carriera l’aveva portata a servirsi di di una larga rete di potenti relazioni. A Parigi, qualche anno prima, aveva conosciuto personalmente Alfonso XIII, il re di Spagna, e pensò subito di rivolgersi a lui per un aiuto. Ci vollero due anni di insistenze e di lotte; un tempo durante i quali “Miss”, pur continuando a lavorare in coppia con altri partner,  non cessò mai di pensare al suo uomo; due anni di lettere, di suppliche, di viaggi, di implorazioni, di peregrinazioni perché Chevalier, ammalato e malridotto, potesse ritornare, nonostante la guerra ancora in corso, alla sua Parigi e alle tavole del palcoscenico. È così che i due, prima della fine del 1917, possono debuttare, in coppia al “Casino de Paris”, nella rivista Laissez-les tomber. Il titolo com’è evidente si riferisce alle bombe che cadevano frequenti sulla capitale francese. Anche la sera del debutto, proprio al momento dell’uscita della coppia in scena, il sibilo delle sirene annunciò l’allarme aereo. Ma nessuno degli spettatori si mosse dalla sala e lo spettacolo continuò, nonostante gli aeroplani tedeschi stessero volteggiando in alto, i sibili delle bombe e il mitragliamento dei caccia francesi.

Mistinguett aveva un carattere difficile; passava con rapidità dall’ira alla gioia e non permetteva a nessuno di contraddirla. Era autoritaria e prendeva il proprio mestiere maledettamente sul serio.
Maurice lo aveva creato lei; era stata lei a farne un artista completo; era merito suo se egli aveva abbandonato il costume da apache in scena per il frack. Lei lo aveva costretto a indossarlo per mesi, tutte le sere e a camminarle davanti, in strada, perché potesse correggere la sua andatura dinoccolata e imparare a muoversi con disinvoltura: voleva farne un grande ballerino e un attore, non un cantante.
La separazione definitiva tra i due avvenne per un banale diverbio tra artisti di teatro, allorché in occasione dell'esordio di una nuova rivista, si trattò di mettersi d’accordo sulle misure dei due nomi in cartellone. Ambedue avevano il teatro nel sangue, erano immensamente orgogliosi e anelavano troppo al successo per accettare qualsiasi forma di subordinazione. Chevalier si staccò da quel sodalizio artistico e amoroso e accettò un altro contratto.


Mistinguett lo attese ancora e ancora, ma ormai per l’uomo l'amore era ormai finito.  Anche a differenza d’età - quasi 15 anni d'età separavano l'una dall'altro -  cominciava ad avere il suo peso e, mentre l’una era soltanto un’istintiva, che non aveva mai tenuto a migliorare la propria cultura, l’altro si era andato affinando giorno per giorno, in una continua ricerca di miglioramento.  Quando “Miss” capì che ogni tentativo di riavvicinamento sarebbe stato inutile, dopo aver assicurato le proprie gambe per un milione di dollari  partì per gli Stati Uniti. I suoi trionfi americani sono del 1922, con  Mon homme, una canzone che sarebbe in breve divenuta celebre in tutto il mondo, e con lo spettacolo Innocent Eyes che fece sognare mezzi States. Intanto faceva la sua comparsa il secondo grande amore della sua vita: Earl Leslie, un ballerino americano già partner delle Dolly Sisters, un duo di ballerine americane, Rosy e Jenny, gemelle di origine ungherese, che ebbe uno straordinario successo di pubblico sulle scene di Londra e Parigi nel primo dopoguerra: un magnifico giovane di venticinque anni sul quale la vivacità e il temperamento della soubrette incisero profondamente. I due si erano conosciuti qualche tempo prima al “Casino de Paris”, dove lavoravano insieme; il viaggio negli Stati Uniti segnò la fase più bella della loro relazione. 


Doveva essere un’altra futura grande stella del cinema, Viviane Romance, allora soltanto una comparsa, a rubarle l’ultimo uomo della sua vita. Mistinguett, quando s’accorse che tra i due c’era del tenero, volle far pesare la propria autorità sulla ragazza affibbiandole una forte multa al primo futile motivo che le si presentò. L’altra, il cui carattere non era da meno, invece di subire in silenzio, scattò come una vipera e chiamò “vecchio cammello” la rivale.  Da qui all’avventarsi l’una contro l’altra e a graffiarsi a sangue fu un attimo
 – Verrò un giorno a ballare sulla tua tomba!– le urlò la giovane rivale nell’andarsene.  Comunque anche il suo Leslie se ne andò con un'altra, una ballerina tedesca, una certa Fia e un paio d’anni dopo ritornò in America conducendo con sé una ragazza sposata a Vienna. 


Il nuovo partner di Mistinguett, Lino Carenzio, fu soltanto un compagno di lavoro. Una tournée nel Sud America ebbe uno scarso successo e segnò una non lieve passività finanziaria per il suo impresario. Tornata in Francia, “la Regina del Music Hall” ricominciò a esibirsi al “Moulin Rouge”, ma il suo nome in cartellone non costituiva più il richiamo di un tempo, né bastava la sua straordinaria vitalità - più che settantenne ballava il boogie-woogie in scena - a renderla l’idolo di una volta agli occhi del pubblico.


Il nome di Mistinguett era definitivamente tramontato. L’ultimo atto doveva vederla piangente, a Roma, accasciata su un baule, sul palcoscenico del “Colle Oppio”.

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