09 marzo 2025

"Caro Michele" di Natalia Ginzburg


di Marigabri

Qui si passa la vita a farsi pena agli uni con gli altri”

Al contrario di Lessico famigliare questo non è il racconto di una “tribù“, come la definisce Cesare Garboli, unita da un comune sentire che rappresenta un vincolo di forte appartenenza, nonostante le difficoltà e le distanze.

“Caro Michele” mostra invece una serie di atomi dispersi: individui in bilico che non riescono a trovare una compiutezza, a darsi una forma, tra loro somiglianti solo per una profonda inadeguatezza a vivere, a trovare il proprio posto nel mondo.

Attraverso il racconto epistolare, interrotto da qualche narrazione in terza persona, conosciamo Michele (pur senza conoscerlo davvero), ragazzo sbandato e inquieto, in fuga perenne e alla ricerca di non sappiamo bene cosa, e conosciamo Adriana, la madre, che attraverso le sue lettere, va cercando un contatto impossibile col figlio lontano, ben consapevole del fallimento di questa relazione mancata.

Ci sono poi le sorelle, c’è il fedele ma indecifrabile amico, ci sono altri personaggi che arrivano come comparse in una scena sempre un po’ vuota, ma soprattutto c’è Mara, la ragazza un po’ folle che cerca ovunque e da chiunque asilo e protezione per lei e per il figlio appena nato, che forse è di Michele, ma forse no.

Sono gli anni Settanta, gli anni della lotta politica e dell’amore libero. C’è la violenza di piazza e ci sono le droghe, c’è il fallimento di una generazione che voleva cambiare il mondo e non è riuscita a cambiare se stessa.

Lo stile dimesso, il tono monocorde, insomma il distacco con cui Natalia Ginzburg tesse le fila del suo racconto è avvincente e raggelante insieme, proprio come la stagione in cui la vicenda si dispiega, l’inverno. Perché anche quando l’estate arriverà sarà impossibile percepirne il sollievo e il calore.

 Natalia Ginzburg. Caro Michele, Einaudi.