di Elisa Bertoni
Inutile sottolineare che una delle caratteristiche peculiari del linguaggio poetico è la consapevolezza con cui chi scrive gioca con i suoni: il titolo della raccolta di Giacomo Bini, D’istanti e d’istinti, attraverso un gioco di parole efficace nella sua immediatezza, evidenzia la ricerca costante dell’autore di trovare l’immagine giusta ed il suono giusto per rappresentare le sue emozioni. Non solo un sofistico “lusus” per strappare un sorriso cerebrale, ma una sintesi perfetta di come la lingua possieda una carica di magia che i poeti scoprono e regalano a tutti.
Una delle forze più importanti della raccolta consiste nel definire in che cosa consista il poetico, dunque il libro possiede anche una naturale e spontanea funzione epistemologica.
1) La poesia si collega all’attimo.
“D’istanti” marca l’importanza dell’attimo, quello che il poeta riesce ad estrapolare dal flusso continuo del tempo attraverso l’attenzione perspicua concessa al piccolo, al minuto, all'apparentemente insignificante e alla lente di significato attribuita alla memoria con la sua capacità di setacciare e conservare quello che davvero conta.
2) La poesia nasce dalla mancanza.
“Distanti”, senza apostrofo, omofono del primo, vuole soffermarsi sul riconoscimento di una distanza che può essere determinata da un’assenza temporanea, o da un lutto, o ancora dalla diversità di ruoli, dalla crescita, dall’incomprensione; in ogni sua manifestazione essa permette di focalizzarsi sulle emozioni che spingono appunto il poeta a scrivere e a trovare proprio nel cuore la fonte di ispirazione e la casa, l’inizio e la/il fine di ogni poesia.
3) La poesia nasce dalla spontaneità e da un’urgenza espressiva.
“D'istinti”: la poesia si origina come moto spontaneo, non può essere asservita a fini utilitaristici, fosse anche solo assecondare una vanità. “D’istinti” rivela proprio l’immediatezza con cui le parole sono per il poeta un bisogno imprescindibile, una peculiarità per manifestarsi nella pienezza del proprio essere.
4)La poesia è ricerca ed illuminazione, in questo consiste la sua capacità distintiva.
“Distinti” rivela che quel moto istintivo da cui si origina la poesia non è ingenuo spontaneismo ma filtrato dal connubio mente-cuore diviene discernimento nel trovare quel termine, quell'immagine che offra in modo icastico la migliore rappresentazione di uno stato d'animo, di una situazione, di una esperienza da salvare alla inflessibile caducità della vita.
Si può ritrovare tutto questo fin dalla prima poesia della raccolta, dedicata alla figlia, quasi un salmo laico scaturito dall'amore paterno.
Il tema della mancanza è messo in risalto dalla ripetizione del verbo “mi manchi” coniugato in varie forme che cadenza strofa dopo strofa l'amore del padre; lungi dall'essere possessivo, accetta il cambiamento e il distacco senza il superbo orgoglio di chi ostenta imperturbabile strafottenza, ma con il fiero coraggio di rivelare l'attaccamento, espresso in quegli istanti estrapolati dalla memoria che hanno sedimentato l'affetto: il ricordo degli abbracci notturni per rassicurare i suoi pianti bambini, le passeggiate fianco a fianco, le coccole intorno al focolare, ma anche le discussioni che provocano ferite fino alla commovente dichiarazione: “all'assenza di te non c'è un altrove”.
Nel dare accento alla mancanza il poeta è come sottolineasse la visione platonica dell'amore, figlio di Penia, la Povertà e di Poros, la Risorsa: amore non è un sentimento perfetto e completo ma possiede una forza dinamica che si muove tra bisogno e possibilità. La risorsa per sopperire all'assenza diviene proprio la poesia, mezzo divino per esprimere l'istinto, il sentimento, nel tentativo di ricomporre la distanza, cantando l'assenza stessa. E chiare, distinte sono le immagini anche forti e dolorose che emergono nelle similitudini: “...mi manchi/come manca la spada alla ferita/che per la sua estrazione si dissangua”; “Mi manchi così tanto figlia mia;/come l'acqua alla sete del deserto”.
Il libro è dunque un viaggio nel poetico con il suo linguaggio vibrante di immagini senza cerebralismi che lo allontanino dal quotidiano ma con forte pregnanza visiva e addirittura tattile, perché la delicatezza e la spiritualità di questa poetica non si esprime al di fuori della materia ma fa proprio di essa sostanza creativa.
Emblematica è la lirica intitolata Le labbra degli amanti: le parole del poeta acquistano un potere magico. Già l'atmosfera crepuscolare in cui si apre il testo “Appesa ai lampioni se ne sta la sera” proietta il lettore in una dimensione notturna, cara agli amanti, che si carica di aspettativa e di sogno. Parole come “soffio” e “tremolio” accostati alla concretezza di un “plenilunio” o del “canto delle cicale” riescono con poche pennellate ad immergerci nel fiabesco intriso di desiderante attesa, perché “la memoria/del vostro sogno non abbia palpebre”. Anche gli elementi immateriali, come “memoria” e “sogno” sono accostati a termini corporei, come le palpebre, che in questo caso devono sparire perché si possa raggiungere la piena realizzazione del desiderio. Ma la poesia è solo un'ancella del silenzio (“accorderò al silenzio di questa calda notte/il canto delle cicale...; “Il ritmo che canta dalle mie frasi/risvegli ogni vostro nascosto desiderio/e che infine ogni mia parola taccia”) e ciò che rimane è l'immagine dei baci nel loro primo sbocciare come evocati dall'incantesimo del poeta nato “dal cerchio del cuore” in un'anima che conosce il dolore.
Sembra di rivedere Paolo e Francesca o Catullo nell'ebbrezza dei baci di Lesbia in un delicatissimo inno all'amore che riecheggia a tratti anche Prevert ne “I ragazzi che si amano”.
E la più esplicita dichiarazione di poetica la troviamo in Cercami: l'anafora di “cercami” che apre le prime due strofe rivela il luogo dove dimora e regna il poeta “Cercami in ogni tuo anelito d'Amore...”...”Cercami nelle pieghe dell'anima...” “Io vivo lì/nell'anfratto più recondito del tuo cuore,/lì è il mio regno./Io sono un Poeta”. La poesia non può nascere se non nell'autenticità di chi vive a stretto contatto con le pieghe più profonde della sua anima, di chi non nasconde neppure “ricordi più intimi” “speranze incoffessabili”, non ricerca all'esterno e nel grandioso, ma fruga nelle “pieghe”, negli “aneliti” dove il trono non è esibizione e potere ma purezza di sentire.
Troviamo conferme di come la poesia si genera da un acuto sentire anche nella lirica Nelle mie mani dove la tenerezza e l'amore superano il senso di stanchezza e di dolore per intrecciare in “notti insonni” instancabili “alate parole”. Le parole sono alate perché devono essere veloci a catturare “emozioni/in fuga dagli angoli acuti dei tetti”, a volte si smarriscono, a volte tornano “a sanguinare/ i sentimenti” tanto che la capacità di versificare può anche apparire un tormento, una condanna, una sfida in cui al centro c'è lo svelamento all'infinito della propria essenza “come/fosse soltanto/un'eterna partita a scacchi/con l'anima mia”.
E così in Aloni di luce: “I poeti sono come un canto/struggente e lontano/che il vento però non consuma./...Traducono in parole/i loro purissimi pensieri/per poi ascoltarsi/guarendo al contempo/la smemoratezza dei nostri fragili giorni”. Il poeta riceve in dono la parola che è lui il primo a dover riascoltare, quasi ad indagarne il senso più profondo, nel tentativo di combattere l'oblio per tirare fuori ben “distinti” dall'irriducibile furia del tempo gli “istanti”che costituiscono “la sacra pergamena dei sogni”. E l'ossimoro in chiusura “accecanti aloni di luce”è una calzante metafora per il ruolo affidato ai poeti che pur nell'attuale marginalità sociale (“aloni”) possono accecare e diventare un prezioso antidoto persino alla cattiveria umana, perché le loro parole non possono essere attorbate una volta scaturite da limpide fonti (“I poeti sono come accecanti aloni di luce/che neppure l'oscurità/della cattiveria umana/è in grado di celare”).
Una nuova dichiarazione di poetica è presente anche in La casa della poesia non ha porte ad indicare che essa si proietta in alto e per questo ha solo grandi finestre che catturano “tutta la luce”, ma anche “tutta la notte”. E' la verità integrale ad interessare un poeta nonostante spesso declami “inascoltati poemi”. La poesia costruisce altari alla divinità dell'inutile perché non si pone come populistico obiettivo quello di sedurre, manipolare e catturare folle. “Possiede anche uno stupefacente giardino/nascosto da siepi di orbaco e ciclamino/dove sono fiori le meditazioni/i dolori forti radici/e l'erba regala sensualità per i pensieri/spogliati alle menzogne del mondo./L'aria satura dei mille profumi dell'amore/e la fragranza delle anime inebria ogni cosa vivente”.
In questi versi troviamo riassunte le parole chiave della sua raccolta: ricerca di sé, dolore, sensualità, verità, amore, vitalità. Questa è la sostanza che colora il giardino della poesia e permette l'immaginifico sbocciare dei versi dalla loro inebriante fragranza.
Esiste tuttavia una malia: una volta entrato nella casa della poesia ne rimani eternamente catturato, a significare che chi si scopre poeta grazie alle ali dei propri voli non può più tornare indietro, se non abiurando alla propria stessa natura; essere poeta diviene una caratteristica della propria carta di identità.
“La casa della poesia non ha porte/entrare non puoi se non sai volare/e per uscire/devi rinunciare per sempre alle tue ali”.
Ed è proprio grazie alla capacità di immaginazione che, quasi riproponendo le riflessioni pascoliane del saggio “Il fanciullino”, Bini scrive in Sentimenti caduti: “Non invecchia il poeta col passare del tempo”; egli, dotato di attenzione ad ogni attimo, è capace di “cogliere sentimenti caduti”, in un giocoso e sempreverde preludio d'amore con la sensualità dell'estate “che filtra dalle finestre/ad illuminare candidi seni di ragazze”.
Il poeta è l'adulto ma è anche il bambino in una sana scissione identitaria che troviamo anche in Così volle mia madre: “Da allora,/accanto a me,/respira sempre un altro./Ed io,/dall'uno passo all'altro./E più non so/chi sono io/se sono lui”. Dalla curiosa doppia data di nascita (22 marzo piuttosto che 21 marzo) nasce quasi una pirandelliana crisi identitaria che si configura tuttavia come possibilità di evitare rigidità e fissazioni in una apertura mentale che diviene inscritta all'anagrafe.
Le poesie di Bini non sono urlati canti di gallo che schiudono il peso di un'assenza svegliando di soprassalto dai sogni di fanciullo (si legga Da bambino odiavo il gallo), ma piuttosto sono sobrie e delicate canzoni che dall'assenza, dalla distanza hanno imparato a ricavare luce e distinzione in una voce che dilata l'istante mescolando l'uomo al bambino, nella costante certezza che “per fissare i ricordi/ho sempre usato il cuore”( Ricordi).
La raccolta termina con una sorta di apologo in cui Menzogna e Verità si trovano a camminare affiancate “sulle tortuose strade degli esseri umani”. Menzogna procede molto più rapidamente e sembra cavalcare la velocità, ma all'appuntamento con la meta Verità può affermare: “con sgomento mi vedrai già oltre il confine, che ti attendo, nuda giovane e bellissima, proprio come nel lontano tempo in cui iniziai il mio cammino”. Verità diviene un alterego della Poesia, la quale nel nostro mondo può apparire una sconfitta dall'era dell'apparenza, del potere, del denaro, della tecnologia, rapidi a riscuotere successo e pubblico, ma essendo lei la custode dei sentimenti più profondi che nascono nel cuore, dei bisogni più autentici che appartengono all'umanità dall'origine dei tempi, non potrà che vincere, rimanendo “nuda”, segno della sua inscalfibile autenticità, “giovane” perché l'anima e l'immaginazione non hanno bisogno di trucchi e plastiche che simulino la giovinezza e “bellissima”, perché non c'è niente di più bello di ciò che dischiude la verità, anche quando è dura e dolorosa. Se così non fosse, sarebbe la distruzione dell'umano.
D'istanti e d'istinti è un libro dunque semplice e ricchissimo che immetterà chiunque lo voglia leggere nella magia silenziosa del linguaggio poetico, riscoprendo la bellezza del sentimento che abbraccia ed accarezza le nostre preziosissime fragilità.