da A rivista anarchica
Anarchici in un dizionario
di Maurizio Antonioli, Giampietro Berti, Santi Fedele e Pasquale Iuso
È uscito, per i tipi della BFS di Pisa, i due volumi del Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani. Eccone la premessa scritta dai docenti universitari direttori del progetto.
Negli ultimi trent’anni la storiografia sull’anarchismo ha compiuto significativi progressi, sotto il profilo sia quantitativo che qualitativo. Opere di vario genere hanno gettato luce su figure, aspetti, momenti e problemi della storia libertaria italiana e internazionale, ampliando e approfondendo il quadro generale della sua conoscenza. Quasi tutti questi lavori, tuttavia, hanno posto l’attenzione sui personaggi e sugli avvenimenti più noti ed emblematici, con l’inevitabile conseguenza di delineare un quadro «elitario» del fenomeno. Mancava cioè, fino ad oggi, una storia «di base», una storia di quelle migliaia e migliaia di oscuri militanti che hanno costituito in gran parte il tessuto connettivo del movimento. Il presente dizionario, ovviamente, non può colmare tale lacuna; costituisce però, con le sue duemila voci, uno strumento fondamentale per progredire in tal senso. Gran parte dei personaggi qui biografati sono, infatti, «portati alla luce» per la prima volta, permettendo una conoscenza più ricca del fenomeno anarchico. Si tratta di uno squarcio della storia politica e sociale italiana del tutto inedito, che allarga notevolmente lo sguardo generale sul movimento operaio e socialista e anche, naturalmente, sulla storia del sovversivismo nazionale e internazionale. Complessivamente esso copre un arco temporale che va dalla metà dell’Ottocento alla fine degli anni Sessanta del Novecento, con alcuni prolungamenti biografici giunti fino ai nostri giorni.
Tre anni di lavoro
Frutto di un lavoro archivistico e bibliografico che per tre anni ha impegnato a vari livelli oltre un centinaio di studiosi, esso presenta alcune caratteristiche delle quali è necessario dar conto. Come si può vedere dalle fonti utilizzate, la ricerca si è mossa in varie direzioni, al fine di offrire uno spaccato documentario e interpretativo il più vario e articolato possibile. Sono stati utilizzati innanzitutto i documenti relativi al Casellario Politico Centrale depositati presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma, che, come è noto, offrono la possibilità di ricostruire l’attività e i movimenti principali dei soggetti sottoposti al controllo; questi documenti sono stati integrati con altre carte di polizia e di prefettura provenienti da fonti diverse. Naturalmente la ricognizione è avvenuta sulla base della consapevolezza che tali testimonianze presentano due fondamentali caratteristiche: da una parte l’aspetto descrittivo e burocratico, dall’altra quello ermeneutico e storiografico.
In generale, lo storico dell’anarchismo è interessato solo alla prima caratteristica. Questa, infatti, se gli informatori sono dei veri professionisti, è costituita dalla somma – a volte anche copiosa – delle relazioni stese dagli investigatori sull’attività dei soggetti sottoposti a sorveglianza. Possiamo così avere una mappa abbastanza dettagliata degli spostamenti e delle relazioni dei militanti, acquisendo anche la conoscenza del contesto sociale e geografico entro cui tutto ciò è avvenuto. Va tuttavia tenuto presente che queste stesse fonti non sempre sono attendibili perché la pura registrazione dei fatti svoltisi nel tempo e nello spazio dice comunque poco rispetto alla trama effettiva d’azione e d’intenti che animava veramente i protagonisti. Il movimento anarchico, infatti, è stato fin dal suo inizio un movimento antilegalitario e rivoluzionario: senza dubbio, in generale, il più antilegalitario e il più rivoluzionario dell’intero sovversivismo italiano. Data questa inequivocabile natura, molte azioni e, ancor più, molti intenti d’azione, non avendo avuto un seguito concreto e visibile, sono rimasti ignoti ai contemporanei e ai posteri. Gli stessi anarchici, poi, quasi mai hanno ricostruito le varie vicende che li hanno visti protagonisti. Naturalmente queste considerazioni non implicano affatto l’idea che tali zone d’ombra costituiscano la parte più interessante della storia dell’anarchismo: la parte più interessante e più importante della storia dell’anarchismo è quella che già conosciamo. Detto questo, vanno comunque considerati degni di studio tali anfratti storici ed è ovvio, a questo punto, che le uniche fonti utili per far luce su di essi siano fornite dagli archivi della questura, della prefettura e della magistratura.
19 giugno 2005
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