In ogni tempo i canti popolari hanno espresso le aspirazioni più profonde delle classi subalterne, testimoniando sia l’adesione degli sfruttati a un ideale alto di emancipazione, sia un forte e radicato senso di identità e appartenenza. Il canto sociale e quello politico non solo hanno espresso in maniera immediata la durezza della fatica e i patimenti della miseria, costituendo non di rado lo strumento più efficace per scagliare violente invettive contro gli sfruttatori, ma hanno scandito le vicende della politica e ne hanno rimarcato i fatti più significativi, accompagnando gli operai e contadini nelle loro lotte e manifestazioni di massa. Rappresentano, insomma, l’espressione più diretta della partecipazione delle masse alla storia con il loro carico di passioni, emozioni, sentimenti: dati pure questi importanti e, perfino per gli storici accademici, atti a comprendere il senso e la “temperie” reale degli avvenimenti, almeno dalla Rivoluzione francese ai nostri giorni, da quando la politica come pratica riservata solo agli aristocratici o ai ceti alto borghesi è diventata strumento di socializzazione anche per il popolo.
E’ questo il motivo conduttore di Bella ciao Canto e politica nella storia d’Italia, Laterza, di Stefano Pivato, docente di Storia contemporanea presso l’Università di Urbino: un filo che si dipana dalle origini del nostro Risorgimento fino ai più recenti rapper come i 99 Posse, Jovanotti, Manu Chao, cantori delle nuove e inedite povertà del millennio appena iniziato e dei sogni degli emarginati della società globale. E in mezzo i variegati orientamenti politici e ideali del nostro faticoso processo di unità nazionale e i canti che li esprimevano: inizialmente caratterizzati solo da un generico patriottismo si andarono progressivamente definendo in senso anticlericale, repubblicano, tingendosi via via di anarchia, di socialismo, dell’utopia comunista… E l’autore non trascura, poi, i versi ingenui degli emigranti; i testi che offrirono consolazione agli antifascisti irriducibili; le rime, dense, pregnanti della lotta partigiana in montagna e quelle polemiche e irridenti degli anni difficili dell’immediato dopoguerra.
Un merito grande del libro di Pivato? L’avere evitato un atteggiamento che ha contrassegnato fino ad appena ieri tanti studiosi delle tradizioni popolari: cioè, quello di riguardare sempre se non con disprezzo almeno con una certa arcigna severità a tutte manifestazioni dell’industria musicale. L’autore di Bella ciao restituisce, invece, dignità culturale – e quindi anche politica – non solo alla canzone d’autore, ma anche ad alcuni prodotti del mercato discografico, restituendo puntualmente al lettore la storia, spesso aspra, della dialettica sviluppatasi negli anni Sessanta e Settanta tra canzone militante, con i suoi testi ideologici e le sue sonorità elementari, e la musica leggera “tout court”, le sue spiccate professionalità, i suoi circuiti miliardari, la sua capillare diffusione e distribuzione. Un confronto impari: e infatti la canzone politica e sociale, anche per i propri errori tra cui quello di una orgogliosa e ribadita autosufficienza dai meccanismi economici, sembra sparire nel corso degli anni Ottanta e Novanta. “Tutto” scrive Giuseppe Vettori, studioso del folklore italiano “sembra svanire nel nulla. Il movimento di massa nato intorno alla cultura popolare impallidisce, si dissolve: niente più pubblico, né libri, né dischi, né convegni, né spettacoli, né dibattiti… quel ‘popolo’ comincia a trasformarsi in ‘gente’ sempre più indifferenziata”, opaca, segnata in senso qualunquista. Ma alla maniera dei fiumi carsici la canzone politica e sociale torna a riapparire più vitale di prima “all’inizio del nuovo millennio, allorché la piazza si ripopola: cortei pacifisti, manifestazioni sindacali, adunate dei disoccupati e dei senza casa affollano un luogo sociale frequentato solo dai turisti.
E mentre i congressi dei partiti della sinistra celebrano la fatica del lavoro quotidiano opposta alla facile etica del successo dell’era berlusconiana, attraverso Una vita da mediano di Luciano Ligabue, i giovani che ora tornano a manifestare riscoprono anche la tradizione del canto sociale” (p. 320). Tocca ora alle generazioni più recenti rielaborare, secondo modi del tutto nuovi, del tutto originali, la straordinaria ricchezza rappresentata dalle parole e dalle melodie dei loro nonni e dei loro padri.
Stefano Pivato, Bella ciao Canto e politica nella storia d’Italia, Laterza, Bari, pp. 361, Euro 18,00