09 aprile 2010

"Il libro dell'inquietudine" di Fernando Pessoa

di Gianni Quilici

Ho iniziato a leggere Pessoa qualche mese fa. A piccole dosi. Mi sono accorto che era quasi impossibile leggerlo rapidamente. Troppo complesso ed anche monocorde. Anzi, neppure a piccole dosi potevo comprenderlo davvero. Perché, a leggerlo con troppe pause, si poteva facilmente perdere il disegno complessivo. Anche perché, pur essendo Pessoa un pensatore, la sua filosofia esistenziale era così articolata da risultare di difficile sistemazione.

Cosa ho fatto allora? Ho sottolineato i passi che mi colpivano di più (scrivendo talvolta qualche nota a margine), come forse aveva fatto Antonio Tabucchi, che da questo libro ha scelto arbitrariamente pensieri o aforismi, che sono diventati un libro: “Il poeta è un fingitore”.

Il risultato finale è stato soprattutto “perdersi in Pessoa” e perdersi ha voluto dire comunque “guadagnare”. Perché Pessoa è, almeno, due cose, più o meno, insieme: poeta e filosofo, come pochi altri, credo, nella storia della letteratura e non solo del Novecento.

Prendo uno fra i tanti pensieri-aforismi che costellano questo “libro dell'inquietudine” e lo rendo arbitrariamente in versi, come se fosse (ma lo è) una poesia.

Litania

Noi

non ci realizziamo mai.

Siamo due abissi:

un pozzo

che fissa

il Cielo.


C'è in questa immagine una profondità lapidaria e vertiginosa di un pensiero visionario ed insieme una scansione, un ritmo.

Questa è una caratteristica profonda del suo pensiero: veicolarlo attraverso immagini lampeggianti, inebrianti, anche quando inesorabili, “nude”. Si legga questa riflessione.

Quello che ci circonda diventa parte di noi stessi, si infiltra in noi nella sensazione della carne e della vita. Un raggio di sole, una nuvola il cui passaggio è rivelato da un’improvvisa ombra, una brezza che si leva, il silenzio che segue quando essa cessa, qualche volto, qualche voce, il riso casuale fra le voci che parlano: e poi la notte nella quale emergono senza senso i geroglifici infranti delle stelle. Alla fine di questa giornata rimane ciò che è rimasto di ieri e ciò che rimarrà di domani; l’ansia insaziabile e molteplice dell’essere sempre la stessa persona e un’altra.

Ci sono almeno tre aspetti:

il rapporto strettissimo tra l'io e il mondo; il susseguirsi di immagini consuete fino alle più desuete e imprevedibilmente poetiche (“i geroglifici infranti delle stelle”); la staticità assoluta dell'io e insieme la sua mobilità.

E si veda in questo pensiero la spietatezza con cui definisce l'amore.

Non amiamo mai nessuno. Amiamo solamente l'idea che ci facciamo di qualcuno. È un nostro concetto (insomma, noi stessi) che amiamo. Questo discorso vale per tutta la gamma dell'amore. Nell'amore sessuale cerchiamo il nostro piacere ottenuto attraverso un corpo estraneo. Nell'amore che non è quello sessuale cerchiamo un nostro piacere ottenuto attraverso un'idea nostra. [...] Due persone dicono reciprocamente "ti amo", o lo pensano, e ciascuno vuol dire una cosa diversa, una vita diversa, perfino forse un colore diverso o un aroma diverso, nella somma astratta di impressioni che costituisce l'attività dell'anima.

Ciò che colpisce è l'estrema disperazione ed insieme l'estrema lucidità. C'è, infatti, in Pessoa, un'estrema sorveglianza dell'io sull'io, a volte impossibilità di vivere, di lasciarsi andare, di dimenticarsi.

All'improvviso oggi ho dentro una sensazione assurda e giusta. Ho capito, con una illuminazione segreta, di non essere nessuno. Nessuno, assolutamente nessuno”Nessuno mi ha riconosciuto sotto la maschera dell’identità con gli altri, né ha mai saputo che ero maschera. Nessuno ha supposto che al mio lato ci fosse sempre un altro che in fondo ero io. Mi hanno sempre creduto identico a me stesso.

Tutti noi viviamo distanti e anonimi; dissimulati, soffriamo da sconosciuti. Ad alcuni, però, questa distanza fra loro stessi e un altro essere non si rivela mai; per altri è talvolta illuminata, di orrore o di pena, da un lampo senza limiti; per altri ancora, essa non è altro che la dolorosa costanza e quotidianità della vita.

Sapere esattamente che chi siamo non ci riguarda, che ciò che vogliamo è ciò che non vorremmo, né forse qualcuno ha voluto; sapere tutto questo a ogni minuto, sentire tutto questo in ogni sentimento, non significherà essere straniero nella propria anima, esiliato nelle proprie sensazioni?

Oppure...

Sono in grande parte, la prosa stessa che scrivo. Mi snodo in periodi e paragrafi, mi trasformo in punteggiatura e nella sfrenata disposizioni delle immagini Sono, in gran parte, la prosa stessa che scrivo.

Mi snodo in periodi e paragrafi, mi trasformo in punteggiatura e, nella sfrenata disposizione delle immagini, come i bambini mi maschero da re con carta di giornale; oppure, ritmando una successione di parole, mi acconcio come i pazzi con fiori secchi che sono freschi solo nei miei sogni. ....

I sentimenti più dolorosi e le emozioni più pungenti, sono quelli assurdi: l'ansia di cose impossibili, proprio perché sono impossibili, la nostalgia di ciò che non c'è mai stato, il desiderio di ciò che potrebbe essere stato, la pena di non essere un altro, l'insoddisfazione per l'esistenza del mondo.

Questa sorta di rappresentazione e auto-rappresentazione è tuttavia piena di articolazioni dialettiche. Pessoa conosce il divenire, la molteplicità dell'essere che noi siamo, la bellezza anche.

La mia anima è una misteriosa orchestra; non so quali strumenti suoni e strida dentro di me: corde e arpe, timpani e tamburi. Mi conosco come una sinfonia.

E la possibilità di risorgere sempre.

Cancellare tutto dalla lavagna da un giorno all'altro, essere nuovo ad ogni nuova alba, in una nuova verginità perpetua dell'emozione...

Fernando Pessoa. Il libro dell'inquietudine. Prefazione di Antonio Tabucchi. A cura di Maria José de Lancastre. Feltrinelli.