Ho ripreso in mano il tuo libro. La riscoperta è avvenuta seguendo traiettorie di cui non rivelerò provenienza e direzione, seppure è nella mia natura lasciare le cose ferme, in attesa che esse mi chiamino per qualche ragione, anche solo per metterle da parte definitivamente. Aspetto che arrivi il loro momento.
Ora è il tuo, del tuo libro, intendo dire.
Lascio la riva sfogliando fugacemente le pagine; gli scatti fanno presagire i motivi per cui una mattina l’autore, ha deciso che era tempo di stampare il ritratto di una città e del suo amante errante. Un amante curioso, a cui piace scoprire l’anima di un luogo, la sua natura e per questo ricerca dettagli e particolari che la possano svelare.
Procedo per strati, partendo dalla lettura secondo uno schema preciso: dall’introduzione passo ad imbarcare nella mente le biografie dei suggestionati, i nomi, la descrizione delle proprie esistenze riassunte a volte in modo didascalico, altre, con piglio poetico o ironico. Quindi sbarco sui singoli componimenti, separandoli dalle immagini per coglierne la consistenza, il sapore, il profumo delle parole; le più belle mi spingono a tornare veloce sui nomi e sulla vita che segue, li accoppio e piego da una parte per riprenderli più tardi, quando serviranno. E’ un momento e sono sulle fotografie; mi soffermo ad osservare le inquadrature scavalcando le tracce a commento. La fotografia è “una piccola magia dell’attimo”. Ci sono molti modi di esprimere e raccontare il mondo attraverso un’immagine: ognuno sceglie il suo. Il ritmo in sequenza: occhio-dito-clic, definisce una scelta precisa che configura la costruzione formale di un pensiero. Lo scatto sancisce il momento di contatto e perdita fra dentro e fuori, quello che si realizza è l’espressione di sé, attraverso la rappresentazione del fuori da sé.
Gianni usa l’obiettivo come l’occhio di un bambino: sbatte le ciglia e lascia negativi leggeri sul tavolo. Nessuna complicanza, o proponimenti di derive intellettuali: semplicemente clic. E allora ti arriva il disegno limpido di una città, succo dai molteplici gusti, cola in gola depositando zuccheri ed essenze e così lo assapori, interpreti gli ingredienti, costruisci assonanze e ti lasci prendere o allontanare.
Le guardi tutte le foto e ti chiedi perché siano state scelte proprio quelle, provi ad immaginare il momento in cui sono passate fra le dita, il tentativo di imporsi con seduzione ruffiana di alcune sulle altre, e pensi a quelle rimaste tristi sul tavolo, scartate perché parlavano troppo o troppo poco. Poi ci ragioni su e cerchi di scegliere le tue, quelle che ti piacciono di più, ma rimandi a dopo, manca l’ultimo atto: è il momento di ricongiungere le parole alle foto. Ecco dunque che il libro comincia a dirti dell’altro. Tiro fuori i fazzoletti d’inchiostro e li stendo come un velario sui singoli scatti: la panoramica di un luogo si ricompone, ma allo stesso tempo si amplia di entusiasmi obliqui, non riesci più a separare gli attimi, tutto si avvolge attorno. Il piacere dell’autore nel realizzare un dialogo a più voci, viene trasfuso al lettore, immergendolo dentro all’amoroso amplesso di due corpi differenti che si cercano, si toccano intimamente e scopri che ci sono mille altre immagini, oltre la fotografia della pagina e mille altre sensazioni mutuate dalle parole, pronte lì a costruire mille altre città. Ed è qui che arrivi dove non puoi più scegliere, perché nulla è come prima, ora che anche tu sei parte di questo (a)mare.
Gianni Quilici. Lucca che vive. Pacini Fazzi editore.
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