23 marzo 2015

"Chiedimi se sono felice" di Luciano Luciani





foto gianni quilici
Ringraziando il Signore, non ho più vent’anni e nemmeno trenta: un tempo lontano ben più di mezza vita. Allora trasudavo energia, mangiavo in maniera pantagruelica e dissennata e i miei capelli erano neri come le penne di un corvo, fitti e forti. Andavo a letto tardissimo, mi svegliavo prestissimo: non accusavo la fatica, non lamentavo nessun deficit di sonno, non indossavo occhiali. Come molti miei coetanei  mi entusiasmavo a qualsiasi cazzata apparisse sull’orizzonte culturale e politico del tempo che il Destino mi aveva assegnato come La Mia Giovinezza e, alla pari di loro, mi impegnavo duramente a immegliare il Mondo.

Non poche donne si contendevano le mie attenzioni e scegliere tra questa, quella, l’altra e, magari, l’altra ancora non era cosa facile, ma, sia pure con qualche fatica e complicati girigogoli, riuscivo a sfangarla…

Ora, bella domanda, chiedimi se ero felice. Eri felice? Non lo so, non credo. Era tutto così confuso, affannato, complicato. Vivere in quella terra di mezzo e di nessuno tra la fine degli studi e l’inizio della professione mi creava un’ansia indicibile. Per non parlare del disagio di mantenersi continuamente all’altezza di un mondo adulto già strutturato e poco accogliente, severo, quando non arcigno.

La percezione che ho ora di quegli anni è quella di una perenne inadeguatezza: qualcuno prima di te aveva sempre già pensato i tuoi pensieri, progettato i tuoi progetti, sognato i tuoi sogni! Se mi ripenso, mi vedo impegnato in una perenne rincorsa, un interminabile inseguimento in cui qualcuno spostava sempre in avanti la linea del traguardo. Comunque ho avuto fortuna: e per un bel tratto di esistenza ho svolto il lavoro per cui avevo studiato, anche divertendomi: leggevo Dante e Leopardi e mi pagavano pure.

Poi, finalmente, sono invecchiato. E invecchiando ho ancora avuto culo: sono andato in pensione. Ho preso qualche chilo abbondante, ho perso i capelli, il viso ora è segnato da più di qualche ruga, ho inforcato gli occhiali. Le donne hanno smesso di interessarsi alla mia persona e così mi hanno lasciato il tempo per occuparmi, finalmente, di quello che avrei voluto fare da grande: leggere, scrivere certune paginette che - a mio parere e sia pure in palese conflitto d’interesse - non sono niente male, coltivare amicizie significative. 

Il sesso? Mah, direi che, oggi come oggi, mi appare ampiamente sopravvalutato e non riesco più a capire come abbia potuto perderci tanto tempo. La competizione professionale? Percaritàdiddio, la lascio agli altri. Accomodatevi e, come dice il poeta Francesco (il mio coetaneo Guccini, non l’algido Petrarca!), “andate e fate”. Vi osservo con distacco, e anche la pretesa di cambiare il mondo, che pure mi è appartenuta, mi suscita adesso solo un tiepido calore di fiamma lontana. Mi sono fatto cinico? No, probabilmente sono diventato solo un po’ più saggio.

Ora, chiedimi di nuovo se sono felice. Sei felice? No, solo un po’ più sereno. Ogni tanto mi capita di vedermi riflesso nella vetrina di qualche negozio, i pochi ancora aperti. Mi guardo e mi interrogo su chi sia quel signore maturo e sconosciuto che mi fissa. Se lo incontrassi per strada, penso che ne apprezzerei il portamento finalmente sicuro, l’ironia che trapela dagli occhi, la disponibilità al sorriso. Conquiste faticose e per questo irrinunciabili.


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