25 marzo 2015

"La fanciulla olimpica" di Virginio Giovanni Bertini



di Gianni Quilici

Ho letto le poesie di Virginio Giovanni Bertini come se fossero un racconto. Un racconto visivo. Immagini e pensieri che si snodano e si sviluppano come se fossero un film.
Un film con molti montaggi, molti cambiamenti di scena, con primi e primissimi piani, dettagli, campi lunghi o lunghissimi, panoramiche.
Un film incalzante senza requie, vibrante e sferzante, inventivo e straziante, realistico e infine simbolico. Mi ha ricordato ciò che Majakovskij  scrisse sul cinema
“Per voi il cinema è spettacolo./ Per me è quasi una concezione del mondo./ Il cinema è portatore di movimento./ Il cinema svecchia la letteratura. /Il cinema demolisce l'estetica./ Il cinema è audacia./ Il cinema è un atleta./ Il cinema è diffusione di idee”.

Ho letto le poesie di Virginio Giovanni Bertini come se fosse una lunga canzone più che cantata gridata-urlata-invocata con la possibilità di immaginare come sottofondo musicale dei tamburi o battiti di cuore o, perché no, la primavera di Vivaldi.

Ho letto le poesie di Virginio Giovanni Bertini come se fosse una lunga poesia al tempo stesso stratificata e unitaria.

Stratificata per gli scenari diversi che offre: l’esaltazione del goal e la malinconia del ricordo; il campione che era e la sedia a rotelle; il centometrista e  i campi di mais su cui volava; il quarto d’ora calcistico esaltante come riscatto collettivo; la staffetta in atletica come comunità che vuole oltrepassare i propri limiti; la volontà paranoica spinta al limite e il desiderio di vittoria e di fama; la corruzione come infiltrazione, speculazione, inquinamento; il giavellottista e Tchaikovski; il messaggero maratoneta senza gloria, perché correre è già una vittoria; la solitudine dell’atleta solo dinnanzi alla barriera; la bambina tenera e sola che danza e canta in cambio di niente.

Unitaria, perché il protagonista è lo sport nelle sue varie sfaccettature: le diverse specialità dal calcio al pattinaggio, dal nuoto all’atletica, dal ciclismo alla maratona primigenia; la molteplicità degli stati d’animo; i protagonisti “fuori campo” ossia il pubblico e quel mondo di faccendieri, di corrotti, che opera nell’oscurità.
Unitaria infine anche per lo stile che attraversa ciascuna di queste  poesie.
Uno stile la cui veemenza musicale è data da rime baciate e rime alternate, da assonanze e consonanze, da anafore e neologismi.
Una poesia, per questo anche difficile a farsi per  il duplice rischio, che Bertini quasi sempre evita. Per un verso cercare la musica (rime varie) con il rischio di ridurre il tasso poetico; per un altro verso abbandonare improvvisamente la musicalità del verso con il rischio di risultare stridente.

Ho letto le poesie di Virginio Giovanni Bertini e ne ho trovata in particolare una, che potrebbe stare –penso io, senza averne l’autorità- a fianco delle più belle poesie italiane sullo sport.  Ed è “ I cento metri (elogio della volontà eroica)”.  
Proviamo a dire perché, utilizzando la quarta strofa.

Lo starter vestito di scuro
spara fermo sicuro
e uccide il sacro silenzio
e la corsa d'impeto va.
Dai blocchi smollano i corpi
sbozzano i robot alati
rullano i piedi la pista
le braccia smenano forti
muscoli tesi tirati
razze e colori azzummati
gli sguardi sbarcano avanti
vene ai polsi vibranti.

In questa strofa colpiscono la notevole visività, velocità e sonorità della corsa.
Sono pochissimi secondi resi con grande efficacia dallo “sparo fermo e sicuro” dello “starter vestito di scuro” fino ai dettagli del corpo interamente riversato a dare il massimo con i “muscoli tesi tirati” con le “vene ai polsi vibranti” e così via.

Questa efficacia è data dal linguaggio della poesia e dal senso che essa fornisce.
Innanzitutto per la musicalità con tre rime baciate, diverse assonanze e consonanze con i versi che scandiscono un ritmo incalzante, perché essi corrono insieme con l’esplosione psico-fisica degli atleti in corsa. 
E poi per la forza delle scelte lessicali. Il poeta per rendere realistico lo sprigionamento di tutta l’energia del centometrista, ma anche le sonorità ed i colori utilizza verbi e aggettivi, che danno nel suono della parola stessa il senso del significato che essa –la parola- contiene, ricorrendo anche a neologismi tanto arditi quanto calzanti ( smollano, sbozzano, smenano, azzummati).

Ho letto le poesie di Virginio Giovanni Bertini, infine, come messaggio che contiene due facce, l’una contrapposta all’altra. Una contro ed una per.
Una è decisamente di condanna furiosa e di lotta esplicita contro chi nel “mondo dello sport” corrompe, ruba, sfrutta, aliena, distrugge.  Ed è lo sport come industria legato ad un profitto esasperato, all’ideologia di una competizione paranoica che esalta e cancella, alle scommesse e alla corruzione mafiosa, alle sostanze che alterano il corpo degli atleti lo esaltano per poi eroderlo, in qualche caso, distruggendolo completamente.
Da qui il messaggio che Bertini ci lancia: il volto pulito e ludico dello sport come piacere, creazione e immersione nella luce e nei tanti magnifici possibili spazi, e non solo sportivi, dalle ‘corti di grano’ alla ‘spiaggia candida’ eccetera eccetera.
Un messaggio e una suggestione che vengono dalla nostra storia occidentale, da Atene e dalla Grecia antica, una grande civiltà, dalla cui profonda filosofia tanto dovremmo ancora imparare, anche nello sport. Ce lo dice proprio la “bambina olimpica” negli ultimi versi:
“ Gioco antico,/ ludico movimento greco,/ in cambio di niente.

Virginio Giovanni Bertini. La fanciulla olimpica. Aletti. 10 euro.

                                              

                                                






























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