03 gennaio 2016

"Il conflitto" di Angelica D'Agliano



Jackson Pollock
Leggendo Stephen King o altri altrettanto amati e famosi, c’è, nello scrivere, tra le tante forze, quella di procrastinare e quella del tendere a qualcosa. Esse si comportano come un corpo elastico e a suo modo resiliente che si muova in grande efficienza.
Partivo un po’ da questo pensiero. Seduti a un tavolino di bar si chiacchierava di uno dei miei ennesimi tentativi di racconto o di romanzo. Il barista pestava del ghiaccio in due bicchieri e le sedie erano foderate di nylon.
  "Sarò davvero un scrittrice?", ti domandavo.
E tu facevi il gesto del Cristo, siamo ancora a ‘sto punto? Proseguiamo!, in realtà tiravi un pizzicotto al tuo trilby vuoto sulla spalliera e al massimo dell’impazienza incalzavi:
  "Sì, bello, tutto molto bello, ma dov’è il conflitto?".


Il conflitto.

E’ quella cosa che lavora sotto alle storie: un desiderio, un oggetto miracoloso, un amore, un chiarimento  necessario quanto taciuto.
Il conflitto. Un personaggio femminile al tavolo con gli occhi chiusi e un lucido deretano di penna fra le labbra. Un cancello discosto. Un uomo che entra in una stanza dove tutti ammutoliscono. Una gelosia, ma non il sentimento, proprio una giöxîa come in lingua genovese e, da lì, una luce.
Ci sono delle regole per parlare al prossimo e non si possono infrangere.
Anche io avvicino una mano al tuo trilby ma poi faccio il gesto dell’aspetta, aspetta. Tutto sotto controllo.
In realtà anche io cerco di raccontare qualcosa. Solo che, chissà come, non è mossa dai morbidi o bruschi squilibri del conflitto, non è insomma un fluire o un ingorgarsi delle psicologie o delle circostanze verso luoghi di differente pressione, in cerca dell’omogeneità, della pace.


Ma allora cos’è?

Non so come mi venga in mente, ma sul cruscotto della macchina tengo un kazoo, grazioso membranofono dildoide al quale appoggiare le labbra ogni volta si desideri essere liberati dalla propria voce naturale.
Soffiando, non succede niente. Ma basta un sussurro ben inferto e la lenticola di carta velina infissa al suo centro, finalmente vibrante e autonoma, comincia a parlare con te. Informicola le labbra, confonde la saliva e i succhi dei denti, sintonizza il cervello lungo un’equatore sottile, da orecchio a orecchio. Non ingannarti. Non sei tu. Semplicemente aspettava qualcuno come te. Ecco, questo è forse un conflitto?, mi domando.


" Non saprei" ti rispondo a voce alta, sconfitta. E non so mai andare oltre.



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