08 novembre 2018

"Mesi" di Folgore da San Gimignano


di Davide Pugnana

Di Folgore da San Gimignano, poeta delicatissimo, mi piace rileggere, al cadere e tornare di ogni stagione, quella «corona» in versi dedicata ai Mesi che pare scrisse per una brigata «nobile e cortese» che «in tutte quelle parti dove sono, /con allegrezza stanno sempre». In questa cornice, ogni sonetto somiglia a una piccola finestra festevole e sognante, dalla quale ammiccare a un mondo di cotone tutto pervaso da un'aria champagnina di spensierata gaiezza e di idillio cavalleresco. Per gli amanti delle equivalenze figurative, questo mondo trova il suo alter ego iconico nel ciclo trentino dei Mesi di Maestro Venceslao, proprio come Simone Martini sta a Petrarca e Giotto a Dante.
  
Ma da dove nasce la presa di modernità magnetica che Folgore esercita ancora sui lettori del 2018? Sarà quella levità musicale dei suoi versi, traforati di aria e di luce come garze bianche contro i cieli toscani; sarà quell'atmosfera incantata di sensuoso abbandono nel sogno di una mondanità cortese, sollazzevole e gaia; o sarà, forse, per quel potere di bucare la realtà che hanno unicamente le fiabe, quando sanno trasportarti in una sfera di maliosa irrealtà. Sarà per tutto questo.

O sarà, almeno per me che vado dietro alle cadenze della letteratura dei rêves, quell'accento prosodico fermo, di quarzo ma, al contempo, venato di tono nostalgico, simile a quello struggimento eliotiano di memoria e desiderio quando stanno chiusi negli autunni vibranti di commosse malinconie, così morbidi e vaghi da riuscire insopportabili e belli perché miniate su uno sfondo di paesi rigati da «prodi e cortesi più che Lancillotto».


Sonetto XXV
- Di novembre -
E di novembre a Petrïuolo, al bagno,
con trenta muli carchi di moneta:
le rughe sien tutte coperte a seta;
coppe d'argento, bottacci di stagno;

e dare a tutti stazzonier' guadagno;
torchi e doppier' che vengan di Chiareta,
confetti con cedrata di Gaeta;
bëa ciascuno e conforti 'l compagno.

E 'l freddo vi sia grande e 'l fuoco spesso;
fagiani, starne, colombi e mortiti,
levri e cavrïuoli a rosto e lesso;

e sempre avere aconci gli appetiti;
la notte 'l vento e 'l piover a ciel messo,
e siate nelle letta ben forniti

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