31 maggio 2005

La guerra è la malattia non la soluzione di Eugen Drewermann

da Aldo Zanchetta

[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey@libero.it) per questo intervento.
Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. E' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recente edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org.

Eugen Drewermann e' un illustre teologo e psicoterapeuta; tra le sue opere segnaliamo almeno: Psicoanalisi e teologia morale; Il vangelo di Marco; Psicologia del profonde e esegesi (due volumi); Parola che salva, parola che
guarisce; Il cammino pericoloso della redenzione; Il messaggio delle donne, L'essenziale e' invisibile; I tempi dell'amore; Cenerentola; Il tuo nome e' come il sapore della vita; Il cielo aperto, Parole per una terra da
scoprire; tutte presso la Queriniana, Brescia; Guerra e cristianesimo, la spirale dell'angoscia, Raetia, Bolzano; La fede inversa di Eugen Drewermann, Edizioni La Meridiana, Molfetta 2033; La guerra e' la malattia non la
soluzione, Claudiana, Torino 2005]

Di questo libro di Drewermann (Eugen Drewermann, La guerra e' la malattia non la soluzione, introduzione di Gianni Vattimo, Editrice Claudiana, Torino 2005, pp. 208, euro 17,50) oserei correggere il titolo: non piu' "La guerra e' la malattia, non la soluzione", ma, addirittura, "L'esercito e' la malattia, non la soluzione".
Molti sono i temi di questo lavoro appassionato del famoso psicoanalista e teologo cattolico: guerra e terrorismo, tecnica e terrore, l'immagine del nemico, l'islam, il pacifismo, Israele e palestinesi, il fondamentalismo, la
cultura di pace, i maschi e la guerra, la nonviolenza, le religioni e la pace, guerra giusta, guerra santa, psicoterapia e violenza, educazione alla pace. Ogni tema e' discusso in dialogo-intervista con Juergen Hoeren, con apertura di orizzonti, sguardo all'attualita' seguita all'11 settembre (l'edizione originale e' del 2002), liberta' critica, impegno umano di liberazione, e forte senso evangelico. Drewermann indica che il discorso della montagna di Gesu' e' praticabile nella storia.
Ma dicevo dell'esercito. Per poter fare la guerra bisogna plasmare gli uomini con lo stampino dell'esercito, che non e' diverso dalla disumanizzazione del fanatico. E' questo il tema psicologico piu' insistito nel libro. "L'esercito, il servizio militare, non consiste in null'altro se non attivare il lato criminale presente negli stessi esseri umani, che viene poi istruito e strumentalizzato per combattere la criminalita' (sia internazionale, sia interna). Cosi', pero', non ci se ne libera, ma la si rende eterna" (p. 58). Papa Pio XII affermo' che "nessun cattolico avrebbe avuto il diritto di
rifiutare il servizio militare appellandosi alla sua coscienza", e teologi cattolici illustrarono nel Parlamento tedesco questa opinione, che un cattolico responsabile deve essere (le parole sono di Drewermann) "disponibile a fare la guerra", deve "imparare a uccidere a comando" (pp. 54-55). Dopo, la coscienza cattolica ha fatto un cammino.
Nell'addestramento militare "non e' solo importante distruggere l'autostima, bisogna anche abbattere l'inibizione a uccidere... L'esercito e' un'arcaica e barbara orda di uomini, un ostacolo alla civilta'" (p. 62).
"Cio' che produce l'esercito non e' sicurezza, ma una paranoia reale, un apocalittico Armageddon, la perpetuazione nella storia del mondo di Caino e Abele" (p. 70). "E' chiaro che, attraverso questo comportamento [la guerra Usa in risposta all'11 settembre] i terroristi troveranno conferme piuttosto che smentite riguardo alla loro visione dell'Occidente... Ripeto, ogni guerra e' di per se stessa terrorismo" (p. 75). Non sono "realiste" le persone che pretendono di stabilire la "pace" con la minaccia di omicidi di massa: "ai miei occhi si ha a che fare con potenziali
stragisti, con criminali del piu' alto rango, con terroristi di Stato, con pazzi di ogni tipo" (p. 73).
"Non appena viene pronunciata la parola guerra, qualsiasi mezzo viene giustificato... Leggiamo, per esempio, che dobbiamo distruggere i talebani "con tutti i mezzi"... Nulla e' cosi' santo da rendere tutto il resto giustificabile, altrimenti avremmo fatta nostra la mentalita' dei terroristi. A quel punto l'ideologia dello Stato sarebbe identica a questa mentalita' e con essa intercambiabile. Sarebbe la stessa follia della coscienza" (p. 99).
Riguardo al conflitto Israele-Palestina, Drewermann osserva che l'apporto delle religione renderebbe possibile "un discredito dell'intero, folle apparato militare, che in effetti gia' solo attraverso la sua esistenza assorbe tutti gli elementi capaci di cultura... C'e' una carenza di parole nel nostro mondo che ci chiude. La violenza e' una lingua sostitutiva motivata dal rifiuto del dialogo" (pp. 102-103).
"La guerra... non e' degna di noi. Ripeto: dovremmo rimuovere in primo luogo i campi di addestramento militare, il lavaggio del cervello fatto nelle caserme di ogni citta', e non solo presso i terroristi in Afghanistan.
Bisognerebbe cominciare qui, da noi" (p. 112). "Rispettando l'obbligo dell'obbedienza all'esercito, gli esseri umani
vengono del tutto annullati come persone in quanto essi si identificano completamente con la centrale di comando. A questo si aggiunge il fatto che viene creato un pensiero sostitutivo, non piu' soggetto al controllo
emozionale" (p. 120). L'autore mostra con vari esempi atroci di quali nefandezze normali in guerra diventano capaci i soldati eccitati ad uccidere, privati dei normali sentimenti umani. "La sola realta' dell'esercito uccide quotidianamente molti piu' esseri umani di quanti non ne possiamo 'salvare'" (p. 122). Sento qui l'eco del grande Kant: "La guerra fa piu' malvagi di quanti ne toglie di mezzo". Il grande valore dell'islam autentico, e delle altre religioni monoteistiche, e' l'affermazione che "Dio e' grande", che e' "piu' grande del potere stabilito". Allora, chiede Drewermann: "Che cosa accadrebbe se ci fossero esseri umani che dichiarassero: proprio perche' Dio e' piu' grande, non prendo ordini per andare in guerra, non prendo ordini per fare il soldato?" (p. 143). Ecco la grande possibilita' e responsabilita' delle religioni, forza eversiva della violenza, liberatrice di umanita' nella storia. Forza non usata. Forza non creduta. Dio e' assoggettato ai poteri stabiliti.
"La violenza distrugge moralmente colui che la utilizza". Fatto l'esempio attuale di un soldato istruito ad essere un killer professionista, l'autore chiede: "Quanti sensi di colpa lo assaliranno? E se non ne ha piu', ancora peggio. Quante reazioni della sensibilita' umana devono essere state eliminate in lui, affinche' possa essere un assassino?" (p. 153). "Chiunque faccia il soldato deve essere pronto a utilizzare veramente le cose che gli sono state insegnate in caserma. L'epoca delle scuse morali e' finita" (p.160).
L'esistenza dei cappellani militari, che assicurano la "consolazione morale" dei soldati, pone il problema: o "religione di popolo", confortato ad obbedire ai potenti, oppure religione profetica, percio' critica dei poteri assolutizzati, e dunque istigante il popolo alla indipendenza morale e alla possibile disobbedienza, percio' perseguitata dai potenti e, probabilmente, rifiutata dalla maggioranza succube (cfr p. 161).
A proposito dei famosi esperimenti di Milgram (dimostrazione che persone normalissime per rispettare l'autorita' e la scienza diventano potenziali assassini), scrive Drewermann: "Nell'esercito non viene semplicemente fatto affidamento a questa 'obbedienza media', ma l'obbedienza viene addestrata duramente, con paura e sotto giuramento, affinche' di fronte ai superiori tutto questo venga continuamente automatizzato in gesti di sottomissione" (p. 174).
Richiamando Freud (ma qui c'e' un errore: non si tratta della lettera ad Einstein, che e' del 1932, ma del saggio del 1915), per il quale "la morale del singolo e' ormai molto superiore alla 'morale' dei potenti", e Einstein nel 1950, per il quale "l'uccidere in guerra non si differenzia per nulla da un omicidio efferato", Drewermann aggiunge: "Tuttavia, raramente si troveranno omicidi con una considerazione di se' pari a quella dei soldati" (p. 175).
Drewermann riferisce l'impressionante testimonianza di un soldato statunitense in Vietnam (1). Era quasi impazzito per le conseguenze interiori dei suoi omicidi a decine, commessi in guerra. Guarito da un monaco buddhista, ora e' monaco lui stesso. Egli riconosce "che il mondo in cui aveva vissuto e' follia pura: addestrare esseri umani a uccidere... e il peggiore aspetto di questa follia e' che esiste una societa' che non solo non vuole alcuna riflessione su queste presunte necessita', ma che le vieta". Il cristianesimo occidentale e' impreparato a curare "questa follia apparentemente normale, perche' si tiene ancora troppo allineato all'autorita' statale" (pp. 181-184). Il primo dei cinque punti che Drewermann propone per educarci alla pace e' la necessita' di liberarci dall'ostacolo che sta "nella disponibilita' all'obbedienza, nella capacita' di cedere la propria responsabilita', di
richiamarsi a ordini dati da altri" (p. 185). "Caratteristica dell'essere soldato e' il fatto che egli si debba annullare
come soggetto per essere disponibile all'annullamento di 'materiale umano' insito nel nemico, e all'omologazione nella propria truppa" (p. 187). "L'esercito e' la condizione marginale o di catastrofe della vita civile, e tanto piu' a lungo questo sopravvive, tanto piu' diviene catastrofe per tutta la nostra vita" (p. 189). Ha scritto Teresa Sarti, di Emergency: "Finche' la guerra sara' tra le opzioni possibili, la guerra ci sara'" ("Il manifesto", 12 marzo 2004). La
principale alternativa alla guerra che Drewermann propone e' il dialogo profondo, preveggente, preventivo, autocritico, col "nemico". Solo la parola seria guarisce i rapporti umani.
*
Vorrei terminare con una orrenda esperienza personale, che ho gia' riferito in numerosi articoli e in piu' di un libro. Il 29 marzo 1996, durante un dibattito sulla guerra in un teatro torinese, pieno di studenti di scuola media superiore, il generale Carlo Jean, allora come oggi alto comandante militare, disse letteralmente (prendevo appunti sotto dettatura): "Nell'esercito e' necessaria la disciplina... perche' combattere significa uccidere. Occorre l'esecuzione automatica dell'ordine". Ora, dove c'e' esecuzione automatica non c'e' coscienza, dunque non c'e' piu' un essere umano. Mi pento di non avere denunciato il generale per corruzione di minorenni. Le tesi di Drewermann (che gia' anticipava Kant, a proposito di eserciti permanenti) sulla disumanizzazione dei soldati, imposta per usarli
come strumenti di omicidio, e' confermata da un alto militare italiano.
*
Note
1. Si tratta, con tutta evidenza, di Claude Thomas, venuto piu' volte in
Italia, di cui abbiamo qualche scritto, come l'opuscolo Un cammino di
liberazione. Dalla guerra in Vietnam alla pace nel cuore, pubblicato da La
Rete di Indra, Roma 1996 (per richieste: e-mail: indra@alfanet.it, tel.:
068079090). Ne ha parlato anche "L'Unita'" del 6 maggio 1997.

Nessun commento: