09 maggio 2009

"La solitudine di Elena" di Juan José Millàs.


di Gianni Quilici

L'inizio. “Elena si stava depilando le gambe in bagno quando squillò il telefono e le comunicarono che sua madre era morta”.
E' il romanzo di una crisi. La crisi di una donna. Elena, 43 anni, un marito ricco e spregiudicato, una figlia che non corrisponde, un diario (della madre morta) che casualmente trova, che le mette di fronte un passato ingarbugliato di specchi da ri-visitare. La madre e lei, lei e la figlia. Una crisi che contiene non solo un passato, ma un presente arido e vuoto, che l'hashish e il wisky non solo non riescono a colmare, ma che contribuiscono a rendere più doloroso.

Un detective diventa la svolta del romanzo. Assunto telefonicamente e anonimamente dalla donna per controllare il marito (traditore e speculatore), viene quasi subito sviato per controllare lei. Elena chiede resoconti scritti non formali ed oggettivi, ma molto personali. Questa rappresentazione del detective è così attenta a cogliere i tratti anche più nascosti della donna che diventa una comunicazione vera, un conforto, uno stimolo per una lenta e dolorosa metamorfosi di liberazione.

Un romanzo breve, che lascia un senso di verità del profondo. Ad una prima parte chirurgica, analitica e frammentata in cui la perdita del centro in Elena determina una lettura difficile, perché stratificata; ne succede un'altra che “libera” quel calore che nasce da un possibile punto di incontro di solitudini (quella del detective e di Elena) che pur non realizzandosi (forse giustamente) nel romanzo, (lo scrittore) lascia che possa vivere, fuori dalle pagine, nell'immaginario.

Juan José Millàs. La solitudine di Elena. Traduzione di Paola Tomasinelli. Pag. 126. Euro 9,80.