04 maggio 2009

"Arthur Conan Doyle, tra razionalità e occultismo" di Luciano Luciani


Padre fondatore del romanzo poliziesco e senz’altro tra i suoi più famosi esponenti, Arthur Conan Doyle nacque a Edimburgo, in Scozia, il 22 maggio 1859. Furono probabilmente gli studi di medicina, condotti presso la Edimburgh Medical School sotto la guida del professor Joseph Bell, fervido sostenitore del metodo induttivo nelle diagnosi, a predisporlo a creare un nuovo genere di racconti polizieschi basati sulla soluzione logica dei casi più misteriosi, complessi e apparentemente insolubili: protagonisti, Sherlock Holmes e il suo amico, aiutante e cronista, il dottor Watson.

Tutti i titoli, Uno studio in rosso, 1887; Il segno dei quattro, 1890; Il mastino dei Baskerville, 1902; Le avventure di Sherlock Holmes, 1903, tra i più importanti, sono caratterizzati dalle gesta di questo personaggio che con un impeccabile procedimento razionale e una straordinaria acutezza psicologica ricostruisce i casi più complicati e oscuri: anche lui è un eroe solitario, opera in contrasto con la polizia ufficiale e, forte di una cultura scientifica fuori dal comune, ristabilisce l’ordine violato dal crimine, rimette le cose a posto, rassicura e consola i lettori.

Dal suo primo libro, The surgeon of Gaster Fall, apparso nel 1885, Conan Doyle scrisse moltissimo – racconti grotteschi e inquietanti, romanzi storici e libri di propaganda patriottica che gli valsero il titolo di Sir – e si occupò per tutta la sua esistenza di occultismo.

Se la critica lo considera uno scrittore mediocre per la trascuratezza stilistico - formale e per i suoi intrecci poco plausibili, pure il romanziere scozzese è riuscito nella difficile alchimia della creazione di un personaggio la cui fama, da oltre un secolo, appare inossidabile e non sembra conoscere appannamenti: non si contano, infatti, le rielaborazioni e le trasposizioni teatrali, cinematografiche e televisive anche recenti di Sherlock Holmes, che è sopravvissuto al proprio autore ed ha continuato a vivere sempre nuove avventure attraverso l’immaginazione di numerosi altri scrittori (uno, anzi due per tutti, Michel e Mollie Hardwick, autori di una pregevole Vita privata di Sherlock Holmes, 1970, da cui il grande regista Billy Wilder ha tratto un film niente male).

Londra, poi, ha dedicato a questo personaggio addirittura un museo e, ancora oggi, sono centinaia le lettere che quotidianamente continuano ad arrivare a… Sherlock Holmes al 221/b di Baker Street. Insomma, il protagonista dei romanzi di Conan Doyle rappresenta ancora oggi nell’immaginario collettivo il modello del perfetto detective.

Suoi riferimenti letterari dichiarati il Dupin di Poe e l’ispettore Lecoq di Gaboriau, investigatori che l’autore inglese, fin dall’incipit di Uno studio in rosso, mostra, però, di non apprezzare affatto: “Dupin era un mediocre… Lecoq era un miserabile pasticcione”. Eppure, i suoi debiti nei confronti del romanziere americano e del francese sono evidenti e li coglie con lucidità Carlo Oliva nella sua Storia sociale del giallo, 2003, quando scrive che Conan Doyle “sul dandy di Poe, con i suoi manierismi, le sue capacità deduttive e la tendenza al superomismo che gli deriva dalle lontane origini byroniane, innesta l’energia, la forza fisica, la passione dei travestimenti e la conoscenza del mondo criminale e poliziesco proprie del Lecoq di Gaboriau”. Un dandy è anche Holmes: raffinato nei gusti, elegante nell’abbigliamento, provocatorio nei confronti del senso comune. Non ha un lavoro regolare, alterna lunghi periodi d’ozio all’esercizio del violino o a strani esperimenti di chimica, si inietta cocaina in soluzione del sette per cento, frequenta personaggi altolocati.

A lui fa da spalla un personaggio che più normale, più mediocre, più vittoriano non si può, il dottor Watson: forse la migliore invenzione narrativa, certo la più originale, di Conan Doyle. Ora, finalmente, colui che racconta in prima persona le gesta dell’eroe ha una storia sua: è un ex ufficiale dell’esercito inglese; pratica una professione decorosa: è medico; manifesta una psicologia complessa, dei sentimenti, non sempre del tutto benevoli nei confronti dell’amico. E’ in lui, e non in Sherlock, che si rispecchia e si identifica il lettore consapevole della propria ignoranza e della propria difficoltà a praticare le tecniche d’indagine maneggiate con tanta proprietà ed eleganza dall’inquilino di Baker Street.

Non va poi dimenticata anche l’invenzione dell’antagonista, il mortale avversario di Sherlock Holmes: il professor Moriarty, pure lui un brillante scienziato ma anche il Napoleone del delitto, a cui Conan Doyle, stanco del successo fin troppo invadente del suo personaggio, affida nell’Ultima avventura il compito dell’eliminazione dell’ investigatore, diventato per il suo creatore ingombrante e fastidioso… Salvo poi resuscitarlo a furor di popolo - e di sterline - qualche anno più tardi, consacrandolo così definitivamente eroe indiscusso della letteratura popolare di massa.

Ma, forse, il lascito di Conan Doyle travalica la letteratura di massa o la letteratura tout court, per investire altri campi, acquisire altri meriti. Per esempio, influenzare la scienza che studia i comportamenti definiti criminali per legge. Non è senza significato ricordare che nel 1891, (Uno studio in rosso è del 1887 e Il segno dei quattro del 1890), viene pubblicato in Germania il Manuale del giudice istruttore, il primo manuale di criminalistica scientifica: ne è autore Hans Gross, giudice istruttore del distretto industriale dell’Alta Slesia, che sostiene la necessità per il criminologo impegnato nella decifrazione dei delitti di servirsi di tutte le recenti conquiste della scienza e della tecnica. Chimica, fisica, botanica, microscospia, fotografia debbono affiancarsi, cooperare e in gran misura sostituire le vecchie pratiche dei delatori e degli infiltrati tanto care di Eugène Francoise Vidocq per arrivare ad una definizione scientifica del delitto, del criminale e del suo modus operandi. Le moderne polizie europee, quella inglese, la francese, la tedesca cominciano ad applicare, per non abbandonarlo più, il metodo induttivo/deduttivo di Sherlock Holmes.

Giocatore di cricket, grande sportivo amante degli sport invernali – a Davos, in Svizzera, dove trascorreva lunghi periodi fu il primo a introdurre la pratica dello sci –, ben inserito nella società letteraria del suo tempo e amico di Jerome Klapka Jerome, James M. Barrie, H. G. Wells, Rudyard Kipling, George Bernard Shaw, Conan Doyle mantenne per tutta la vita profonde e coerenti convinzioni conservatrici. In un paio di occasioni si candidò, senza successo, alle elezioni per contrastare l’ascesa di due esponenti del radicalismo inglese e nei primi anni del secolo scorso si adoperò in prima persona, cercando anche di coinvolgere i suoi amici letterati, nella promozione di una Società per lo sviluppo delle relazioni d’amicizia tra Inghilterra e Germania: il modello autoritario incarnato dall’imperatore di Germania Guglielmo II faceva proseliti anche tra i letterati della liberale Inghilterra! Ciò non gli impedì, però, di partecipare alla Grande Guerra come inviato del Ministero della Guerra inglese sul fronte delle Fiandre e su quello italiano.