
di Gianni Quilici
Immaginate un palcoscenico che per più di un'ora ha soltanto un corpo ed una voce, Elisabetta Salvatori, con appena qualche intervento musicale: un violinista, Matteo Ceramelli, e un contrabbassista, Mirco Capecchi, che appaiono e scompaiono a sottolineare una condizione, una situazione
Noia? No, invece molta attenzione, emozione. Per una serie di ragioni che si mescolano e si saldano naturalmente.Vediamone alcune come appunti veloci, da approfondire con ulteriori letture.
La scrittura della stessa Elisabetta Salvatori e di Marzo Dall'Acqua. E' una scrittura storico-antropologico-visiva che tratteggia un personaggio unico, il pittore (naif) Antonio Ligabue, attraverso le sequenze decisive della sua tormentatissima vita: l'infanzia di “abbandonato” in Svizzera con una madre adottiva possessiva, la scuola che lo considera una sorta di ritardato e la difficoltà ad instaurare rapporti con gli altri, fino alla sua espulsione; l' Italia dove viene dirottato e il disadattamento, l'isolamento totale e selvaggio e il manicomio, la scoperta della pittura e il successo ecc, ecc.
Tutto quanto è raccontato attraverso fatti che interpretano senza chiudere, lasciando aperto il mistero Ligabue. La narrazione è affidata a parole-immagini di forte impatto visivo con un montaggio fatto di salti, di rotture, di cambiamenti di scena.
Elisabetta Salvatori recita con quella passione-distacco che trasmette pathos senza voler ricattare emotivamente lo spettatore, muovendosi nello spazio sobriamente illuminato, disponendosi comodamente a raccontare ora sugli scalini, ora sul limitare del palcoscenico, quasi per essere più vicina, più intima a chi la sta ascoltando; oppure “facendosi” Ligabue ed interpretandone la condizione: come (indimenticabile!) negli spasmi sessuali del desiderio di donna.
Ne vengono fuori due aspetti intimamente collegati, come in altri spettacoli della stessa (“Vi abbraccio tutti” “Scalpiccii sotto i platani” tra gli altri):
primo, la storia complessa ed aperta di Ligabue (e il suo tempo), un personaggio che avrebbe fatto la gioia di Jean Paul Sartre, per l'originalità del suo comportamento e della sua arte; secondo: la poesia che da questo personaggio fluisce, dalla impossibilità alla rivolta, dalla paura alla gioia pura del processo creativo.
C'era una volta un leone, una tigre, un pollaio, e c'ero io dipinto da me medesimo” - La vita di Antonio Ligabue-
di Elisabetta Salvatori e Marzio Dall'Acqua
con Elisabetta Salvatori
regia Flavio Bucci
musiche Matteo Ceramelli (violino), Mirco Capecchi (contrabbasso)
proiezioni grafiche Gabriele Dini
luci Riccardo Gargiuolo
Anteprima nazionale: Teatro di Buti (Pisa). 18 giugno 2009