24 novembre 2011

"Il caffè" di Luciano Luciani

foto di Gianni Quilici

Giunto dal Medio Oriente a Venezia nel 1615, il caffè - e il quasi universale rito della tazzina della nera bevanda – presenta una storia complessa che si intreccia strettamente con le vicende, magari meno visibili ma non per questo meno importanti, della formazione delle abitudini, del costume e del gusto dell’uomo moderno. Divenuto, in breve tempo, Amsterdam il principale mercato all’ingrosso del caffè di tutto il mondo, si moltiplicarono in Europa le “botteghe del caffè”, i bar di allora: nel nostro Paese, già nel ‘700, il veneziano ‘Florian’ assurgeva a fama mondiale come luogo di sopraffine delizie del palato. In Inghilterra il primo caffè, venne aperto a Oxford nel 1650 e due anni più tardi anche Londra conobbe questa nuova ‘istituzione’. Ma passeranno vent’anni prima che anche Parigi si adegui alle mode provenienti dalla capitale inglese.

Un successo apparentemente inarrestabile, quello della amara pozione: eppure, anche al caffè toccò il destino di essere al centro di polemiche, accuse, diatribe. Se i suoi sostenitori, forse esagerando, lo presentarono come eccellente rimedio per curare le malattie dello stomaco e del fegato, per rafforzare il tono cardiaco, per eliminare l’idropisia, per combattere la scabbia, i dolori della milza, le infiammazioni polmonari, i vermi e un’infinità di altri guai fisici, non mancarono i feroci detrattori dello scuro beveraggio venuto dall’Oriente.

Bacone da Verulamio, per esempio, in contrasto con l’opinione della maggioranza, non esitava a condannare il caffè come un potente narcotico.

Francesco Redi, nel suo festosissimo e celeberrimo ditirambo, Bacco in Toscana, dichiarava: “Beverei prima il veleno,/Che un bicchier, che fosse pieno/dell’amaro e rio caffè”. Il letterato toscano, tuttavia, ci ripensò e in una lettera privata giudicava il caffè, purché ben corretto dallo zucchero, una bevanda deliziosa.

Per lungo tempo, i “tuttologi” di tre secoli orsono si divisero riguardo alle virtù dimagranti o ingrassanti del caffè. Innumerevoli, e tutti discutibili, gli argomenti portati a sostegno dell’una o dell’altra parte: rimase famosa la prova cosiddetta “dei Turchi”, basata sul fatto che tra gli abitanti dell’Anatolia (famosi allora come sfrenati consumatori dell’aromatico infuso) sembravano assai più numerosi che tra gli altri popoli gli individui decisamente obesi e tendenti alla pinguedine: ciò rappresentava – secondo alcuni – la prova migliore delle virtù ingrassanti del caffè.

Non si riuscì, naturalmente, a individuare l’argomento decisivo in favore dell’una o dell’altra tesi e le discussioni si esaurirono a mano a mano che si diffondeva il consumo del caffè.

Non mancarono, però, nel tempo molte altre accuse: si attribuì alla scura pozione il potere di provocare cecità, emorragie, paralisi, coliche intestinali, febbri perniciose, infiammazioni epatiche e renali… Ma una delle offese più terribili mosse alla bevanda fu certamente quella di rendere l’uomo impotente. Il Linneo, famoso naturalista svedese, lo chiamava addirittura potus caponum, bibita dei capponi e questa calunnia contribuì di sicuro a diminuire la celebrità e il consumo di caffè tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII secolo. Luigi XIV, ad esempio, fu decisamente contrario all’uso della bevanda e i maligni sussurravano che tale avversione gli fosse stata suggerita dalla marchesa di Montespan, che in dodici anni di relazione dette al re Sole la bellezza di sette figli. Anche la facoltà medica di Parigi si allineò alle direttive regie in fatto di filtri e infusi e con atto solenne dichiarò, nel corso di un’assemblea, che il peggior vino era sempre più innocuo e giovevole alla salute del miglior caffè.

Monarchi assoluti e tiranni non lo ebbero mai in molta simpatia: non solo il re Sole fu un antipatizzante della nera pozione, ma Carlo II Stuart (1660 -1685), appena rientrato in patria e da poco insediato sul trono dopo la parentesi di Cromwell, non manifestò particolari scrupoli nell’ordinare la chiusura di buona parte delle “botteghe del caffè”, moltiplicatesi in Inghilterra a partire dal 1650, timoroso che potessero diventare centri di opposizione e di rivolta.

E il sospettoso Stuart non aveva tutti i torti a temere i locali in cui si somministrava il caffè come luoghi privilegiati per la diffusione delle idee rivoluzionarie: cento anni più tardi, a Parigi, saranno proprio i Caffè le sedi in cui si ritroveranno i letterati, i filosofi e gli oppositori della monarchia francese. Proprio da uno di questi locali, nel luglio 1789, partirà l’appello per quell’assalto alla Bastiglia, che segnerà l’inizio della rivoluzione francese.

Nei primi anni del XIX secolo, con la scoperta del principio attivo del caffè, la caffeina e con il successivo isolamento di quest’ultima, avvenuto nel 1820, si entra in una nuova fase della complessa storia del caffè: quella scientifica e in particolare sul suo principio attivo si moltiplicarono gli studi e le ricerche.

E del ‘cappuccino’ cosa si sa? Sembra che nel XVII secolo il Neihof, ambasciatore olandese in Cina, al suo rientro in patria abbia riportato con sé l’uso in voga presso i cinesi di mescolare il caffè con il latte. Anche il caffellatte fu ben presto oggetto di critiche e il Thierry, storico ed esponente di punta del romanticismo francese, lo accusò di provocare nientemeno che la leucorrea nelle donne e la cefalea negli uomini.

Fu questo l’ultimo e un po’ velleitario tentativo di ostacolare la lunga e trionfale marcia della popolare bevanda e di contrastare l’ormai quasi universale – e ripetuto più volte al giorno – rituale della tazzina.

Oggi gli italiani ne consumano oltre 30 miliardi l’anno: una tazzina e mezzo a testa al giorno, una quantità enorme che pure non colloca il nostro paese ai primi posti in Europa nell’uso – e nell’abuso – dell’amara pozione. L’Italia è superata di gran lunga dalle nazioni del nord Europa, dove ogni abitante beve in media ben quattro tazze di caffè ogni giorno. Per questo il Cic (Comitato italiano caffè) non esita a ritenere che i consumi possano essere ulteriormente aumentati, soprattutto tra i giovani.

Ed ecco spiegate certe interessate campagne stampa, secondo le quali cinque o sei o anche sette tazzine al giorno non fanno male. Anzi, danno tono, stimolano l’attenzione, incrementano la concentrazione, sollecitano i succhi gastrici e quindi favoriscono la digestione e così via caffeinizzando.

Ad uso del lettore e pro bono suo si ricordi che il nero stimolante venuto dall’Oriente contiene una quantità di caffeina che va da 0,10 a 0,20 grammi per tazzina e che già l’assunzione di un solo grammo quotidiano di questo alcaloide può creare seri disturbi al sistema nervoso, neuromuscolare e cardiovascolare. In parole semplici tanti casi d’insonnia, eccitabilità, tachicardia e disappetenza sono spesso da imputare non a cause remote e misteriose ma a quotidiane, inconsapevoli overdose della tanto familiare bevanda.





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