Silvana era bella. La sua bellezza, oltre che visibile, era invisibile. Lei la mostrava, non la esibiva. Occorreva scoprirla. Come tutte le bellezze profonde. E quale era questa bellezza?
Ho conosciuto Silvana Sciortino negli anni '80. Mi ero formato alla scuola del Manifesto (poi PdUP). Del manifesto avevo amato da subito il gusto della complessità, l'apertura mentale, la ricchezza culturale, la concretezza dell'utopia e il linguaggio creativo e corrosivo delle sue penne migliori. Così quando il PdUP, che aveva continuato l'esperienza politica iniziata dal manifesto, decise, dopo la svolta di Berlinguer, di ritornare con tutti gli onori nel PCI, non ebbi dubbi. Mi incuriosivano la vita di un partito ramificato, il suo gruppo dirigente, il suo popolo.
Lì iniziai a frequentare Silvana. Ma fu alla fine del 1986, quando la Federazione del PCI organizzò un mese di iniziative dal titolo “Il Fiume- La Città” che ebbi modo di conoscerla più da vicino. Fu questa una delle iniziative sicuramente più progettuali e innovative realizzate delle molte che il Partito organizzò in quegli anni. Da questi incontri venne realizzato un “Quaderno”, che curai insieme a Silvana, un bel quaderno a rileggerlo ancora oggi, con contributi di Guglielmo Petroni, Michelangelo Zecchini e diversi altri.
Di Silvana mi colpì dapprima lo sguardo. Era uno sguardo che ti vedeva, ti ascoltava, ti considerava. Non tutti hanno lo sguardo di chi ascolta. Molti hanno lo sguardo, inconsapevole, di chi giudica: che ti cataloga, cioè, inserendoti in una gerarchia. Silvana non era così: aveva il piacere o la pazienza di ascoltare e questo ascolto non era fine a se stesso.
Silvana si prendeva cura di ciò di cui si occupava. Non era approssimativa nelle analisi: leggeva, anche aspetti che a me parevano noiosi, ascoltava, elaborava.
Percepivo in lei una felice sintesi tra femminile e maschile. Del femminile conosceva il “peso delle cose”, la pazienza della ricerca e la fatica della sintesi. Del maschile la determinazione con cui alla fine difendeva le sue scelte. Una determinazione capace di sostenere -come mi ricordo- scontri anche duri con un gruppo dirigente, in buona parte, composto di maschi.
C'era poi uno strato più profondo che ho solo intuito, che non ho avuto modo o forse il tempo di conoscere: la zona più intima, quella dei sentimenti e delle emozioni più personali.
L'ho intuita, perché Silvana non si nascondeva, ma dovevi trovare la chiave, lei non si “dava” a scatola chiusa.
Ecco la sua bellezza era in tutti questi elementi.
In un volto, ai miei occhi, aristocraticamente antico (mi faceva pensare ad una donna egizia, versante Nefertiti), ma soprattutto nella tranquilla, sorridente, misteriosa energia che trasmetteva.
Per tutte queste ragioni più volte ho pensato che Silvana sarebbe stata il Sindaco ideale per il comune di Lucca. Ora, ancora di più ne capisco i motivi: perché si sarebbe presa “cura” con amore e competenza della straordinaria bellezza del centro storico e delle storture della sua ibrida periferia, conoscendone ella le ombre e le potenzialità.
Perché il suo illuminismo mentale era desiderio di ricerca e di scoperta, di ri-messa in discussione di ciò che si sa o si presume di sapere.
Per questo, dopo tanti anni, Silvana rimane e sarà sempre ai miei occhi Silvana, “unica e irripetibile”.
tratto dal libro Laura Di Simo, Luciano Luciani, Andrea Macchi (a cura di). Silvana Sciortino:Una comunista diversa a Lucca, Lucca 2012.
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