27 aprile 2016

“Mostre d’arte in digitale? Plateali baracconate! “ intervento di Davide Pugnana



Per curiosità, ho provato a cercare su google voci polemiche in merito alle mostre d'arte in digitale che stanno dilagando in alcuni dei principali centri d'arte italiani, come Firenze, Torino e Milano. Fatico a digitare la parola "mostra" per queste plateali baracconate.

 La più celebre, dopo Caravaggio in hd e forse altre che non ricordo, è quella dedicata a Van Gogh. Caravaggio e Van Gogh: e chi, se non loro? - gli artisti pop "maledetti" par excellence.

Devo dire che il silenzio della critica attorno a questo fenomeno mi lascia sgomento. Che dire? Speravo in un intervento al vetriolo di Tomaso Montanari di fronte a questa manifestazione assurda della "società dello spettacolo" che, non so come, calamita consensi ovunque, talora perfino tra gli storici dell'arte.

Quando penso a questi consumistici Luna Park, a queste grandi macchine buone solo per far soldi, mi viene alla mente il titolo di un saggio di Daniel Arasse: "non si vede niente". Proprio qui sta il paradosso.

Pensiamoci bene: per vedere queste pseudo-mostre, magari si fa un viaggio di andata e ritorno; magari, si spendono più o meno ore in fila all'ingresso, e, soprattutto, si paga il biglietto. Si impiegano tempo e denaro per continuare a non vedere niente. Ne usciamo senza che la nostra conoscenza dell'artista e della sua opera ne sia minimamente arricchita.

Se, nel frattempo, non è cambiato qualcosa e se la mia opinione non suona troppo reazionaria, fino a ieri sapevo che andare a vedere una mostra significava fare esperienza degli originali. Ripeto: fare esperienza degli originali: ossia vedere, direttamente sul campo, da più o meno vicino, quelle opere d'arte nella loro eccezionale presenza; nella loro materialità e unicità, cogliendone le stesure, lo stile, i colori e i segni del tempo; senza filtri libreschi e finalmente liberate dal diaframma della riproducibilità tecnica.

E badiamo, non si sta parlando di rivisitazioni di capolavori con medium digitali o di dialoghi con la tradizione, come nel caso esemplare di Bill Viola. Né siamo in presenza di operazioni culturali condotte secondo una logica divulgativa, come nel caso dei documentari d'arte in mano al cinema e alla televisione.

Qui siamo di fronte alla manifestazione del nulla: se l'opera d'arte, attraverso i secoli, "parla" nella sua potenza visiva, nel caso di "Van Gogh Alive" e affini si cammina in un contenitore "funebre" pervaso da striscianti immagini di larve e fantasmi bidimensionali. Un contenitore kitsch, nel quale la musica non fa che coprire il silenzio delle opere assenti.

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