E’ una recensione del reading
poetico-musicale, che va oltre la classica recensione, ma tocca ciò che lo “spettacolo”
evocava e lasciava trapelare: la parola, il verso e il senso che essi evocano.
di Sharon Tofanelli
"Il Verso è tutto", diceva D'Annunzio.
Ecco, è ciò che si può chiamare una sconfinata fiducia. Come dire,
altrimenti? In quelle quattro parole è implicita una resa. Lui prende un mondo,
il mondo dell'umano, con ogni suo accidente, ogni palpito angoscia passione e
lo dà alla lingua. Glielo consegna come un pegno di guerra.
"Il Verso è tutto", diceva quel coraggioso.
Ma è così? C'è da fidarsi della parola? Invero, una donna strana,
strana e volubile. Pare sempre piccola, sempre infinitesimale. Talvolta si ha
l'impressione che il mare debba rovesciarsi tutto in un imbuto, quando ci vien
detta la parola ilare: "scrivi".
E se imbuto è la lingua, che non ha voce di fata, ma se la fa prestare
da uno sparuto lettore, allora mare, mare chiameremo i sensi, che ci portano al
bivio noto.
Perché è così sempre. Il groppo della mente passa dai sensi prima. E
talvolta sarebbe meglio esser muti, sordi, ciechi per non scoppiare.
Pure, alle volte nascono eventi come questo. Il Viaggio come Avventura dei Sensi.
Vi si arriva come spiaggiati, a fine giornata. Non è chiesto di
ragionare, ma di cedere. Si veleggia piano, tra una poesia, una prosa, una
pennellata di chitarra. Si considera il viaggio con la parola, poi con la
musica. E dove l'una non arriva, l'altra accorre. Senso e parola sono forse un
muto che porta a spasso un cieco e gli narra toccandolo le cose della via. O
magari no, magari è la parola a tartagliare e il senso un parlatore impenitente
ed eccessivo, che non conosce metodo e annega nei suoi verbi. Occorrono compromessi,
mediazioni. Occorre passar le notti dinnanzi al foglio bianco, col groppo alla
gola e la lingua che vuol passare, che vuol passare come i cubi di legno nei
giocattoli logici dei bambini; così punge, così perde acutezza; troppo rotonda;
quadrata da irritare.
"Il Verso è tutto", diceva il pazzo.
Alle spalle dei tre, nella semiluce da salotto, scorrono immagini di
strada, di cieli e cammini. La chitarra e la voce, poi un'altra voce e di nuovo
la chitarra. Si parla del mondo, si parla dell'umano. Si parla del viaggio, che
è là dove l'uno e l'altro si vanno a baciare. Un viaggio è inconcepibile senza
uno che lo intraprenda; è inconcepibile senza moto da luogo, a luogo, in luogo.
In un certo qual senso, parlando del viaggio si parla dell'universo intero. Lo
si fa con la voce dei poeti, passati e viventi. La profusione del canto ne
rimescola il mare. Gianni Quilici,
scrittore e poeta, Sandra Tedeschi,
rexitante, Igor Vazzaz, la voce
e la musica.
S'inclina il viaggio come un prisma sotto la luce. Scoperta per uno,
speranza, disperazione per l'altro. C'è l'inferno del Divin Poeta, c'è la
jungla nera e la tempesta del migrante. C'è lo spettatore che chiude gli occhi,
il più trasognato. C'è che forse la parola non basta, che sonorità e luce
devono coabitare e magari migliorare. C'è che un giorno, magari, serate come
questa veramente non ce le dimenticheremo più. C'è che per come sono fatti
alcuni di noi, ci vorrebbe un'Avventura dei Sensi a ogni spigolo di città.
C'è che forse il Verso non è tutto.
"Il viaggio come avventura dei sensi" con Sandra Tedeschi, Igor Vazzaz, Gianni Quilici. Capannori, cinema teatro Artè. 7 febbraio 2017.
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