di Maria Sardella*
Comincia tutto da una casa, anzi da una villa. Un’antica
dimora sulle colline attorno a Firenze, che non sfigura accanto ad altri
edifici storici di clero e nobiltà, che formavano il paese. Le trasformazioni e
i passaggi di proprietà ne avevano accresciuto la bellezza e il prestigio.
Finché, a conclusione della guerra, nel '43 gli ultimi proprietari la cedono,
costretti dalle circostanze, a Ottavio Fogli, nonno materno della protagonista.
La villa si chiamerà da quel momento Villa Gina, come la moglie del signor
Ottavio.
Ecco, è questa la tonalità narrativa che costituisce la peculiarità del romanzo
di Paola Martini: uno sguardo leggero e incantato su ciò che accade a lei
stessa bambina, alle sue piccole preoccupazioni, alla vita di famiglia e verso
tutto ciò che si muoveva intorno.
La vita della protagonista si svolge tra due poli ambientali e affettivi: la
casa e la scuola. La casa, bella grande e fredda d’inverno, tenuta viva più che
da una madre piuttosto appartata e distante (“Mia madre era e resterà per tutti
la ‘signora Lia”/ “La mamma non era esclusa dalla mia vita. La mia intimità le
era però ignota”) dalla Tata tuttofare. A lei si rivolge la bambina per cercare
sostegno e conforto, è la Tata (la maiuscola credo sia una precisa scelta
stilistica dell’autrice) ad insegnare alla piccola le preghiere, a insegnare a
Paola e a Chiara, piccole faccende (“Ma li hai insaponati bene i calzini,
tesoro? Tieni, struscia forte col bruschino…)”; Tata le svela la durezza della
vita di quelli che vivono oltre le mura di cinta della bella villa, è la Tata a
trasmettere il rifiuto dello spreco così legato al mondo, l’attenzione ai
sentimenti, e anche all’educazione. A Paola, già pensosa e incline alla
riflessione sono dirette le parole della Tata, maestra e guida: “Ma a cosa
pensi, Paola? Smetti di pensare: la vita viene da sé".
Alla saggezza contadina si oppone la scuola con i suoi banchi di legno, i
quadernetti con la copertina nera e l’assillo di evitare macchie d’inchiostro e
orecchie. La scuola, con la netta divisione che i bambini percepivano
chiaramente tra i benestanti, disciplinati e capaci, e i poveri, a cui si
aggiungevano sempre più numerosi i figli degli emigranti, sciatti e asini. Una
divisione che presto Don Milani mostrerà nel suo inganno, smascherando il concetto
meritocratico che attribuiva ai bravi figli di papà qualità innate ed evidenti.
Ai suoi professori di Liceo Scipione Guarracino e Marcello Rossi, Paola deve la sua consapevolezza sociale, la
presa di coscienza sui racconti della tata e sulle verità E quello che era
solamente dolore per la persona cara diventa pensiero meditato sulla condizione
sociale dei più. "I CARE". La guerra di Piero e Bocca di rosa, due
eroiche dimensioni che l’etica famigliare non avrebbe potuto concepire né
approvare. Una parte consistente della colonna sonora che condurrà la
protagonista per mano fino alle prime occupazioni dell’Università degli anni
Settanta, alla scoperta della sessualità fino al matrimonio con Carlo, che
segna la conclusione del romanzo.
Si dev’essere grati alla scrittrice di aver messo il punto fermo alle vicende
raccontate proprio a questo punto della narrazione. Si intuisce che dal quel
momento la vita cambierà completamente e così la percezione e la consapevolezza
della protagonista. Ma a noi lettori Paola ha voluto consegnare lo sguardo
incerto e spesso ambiguo della crescita, dei dubbi, della formazione. L’incanto
di un tempo avido di affermazioni e di esperienze eppure, a volte,
sorprendentemente disincantato, proprio della giovinezza, dell’apprendistato
necessario e complicato. Dopo, nulla sarebbe rimasto lo stesso.
Paola Martini. Gli anni forti. Manni 2017.
* Maria Sardella nata a
Canosa di Puglia docente di Lettere e
autrice di numerosi romanzi tra cui La musica del mais
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