Melfi: il castello |
Partenza dal luogo
natio, Lammari, paese a qualche km da Lucca; colazione, lettura veloce dei
quotidiani locali e a Capannori si entra in autostrada con una notizia
inaspettata e preoccupante. Nel tratto che va a Firenze “code a tratti” e
infatti già a Montecatini siamo inchiodati. “Se il buon viaggio si vede
dall’inizio…” dico.
Con qualche
affanno ecco l’autostrada del sole verso Roma e a questo punto niente più code,
né rallentamenti, ma un predisporsi a vivere energicamente lo scorrere della
strada con l’avvicinarsi della prima tappa del viaggio. Dopo Benevento tuttavia,
l’autostrada verso Bari attraversa i confini tra Puglia e Lucania e le distese
collinari di campi di grano segato giallo-arancio con decine di sfumature, con
stradine o sentieri, che si perdono nel nulla stuzzicano il mio immaginario,
fino a quando ecco l’uscita di Candela. Da lì una provinciale porta alla prima
meta del viaggio: Melfi. Non è la prima volta che pernotto a Melfi, ma sono
sorpreso: non avevo visto, maledetto me, in alto, la cintura muraria.
Non è facile trovare
il B&B, posto nell’immediata periferia tra caseggiati recenti in vie anonime,
che richiamano città italiane: Foggia, Venezia, perfino Lucca. Il proprietario
basso, cicciotto, in calzoncini corti, maglietta bianca, con quell’immediatezza
popolare priva di maschere, generoso, senza essere autolesionista ci racconterà
poi a colazione un sacco di cose sui
B&B in rapporto agli hotel, su Melfi e sull’importanza della Fiat
per la popolazione locale.
Di fronte la porta
Venosina, l’unica ad essere stata risparmiata dal terremoto del 1851. Mi chiedo perché le
porte in una città, soprattutto se medievali, mi affascino così tanto. Forse in
sé per la loro forma, forse perché tendono a delimitare uno spazio rendendolo
identificabile dal resto e lasciandolo, allo stesso tempo, aperto. E la porta
Venosina ha quella bellezza che mi attira: la materia povera e autentica di pietre
e sassi, l’arco ogivale, le due torri cilindriche, lo stemma con il basilisco a
destra e il leone rampante a sinistra.
La strada sale
verso il centro tra vie travagliate da rimaneggiamenti, vicoli e vicoletti,
portali e decorazioni in pietra, fino a sbucare improvvisamente nella grande
piazza. Davanti ho il palazzo dell’Arcivescovado, che, nella sera, morbidamente
illuminato, colpisce nella sua geometrica lunghezza barocca, nella
pavimentazione accuratamente ben disegnata.
La facciata della
Cattedrale è invisibile, ricoperta dal restauro in corso, mentre svetta il bellissimo
campanile, in cui si intravedono, all’ultimo ordine in alto, due splendidi leoni
di pietra basica di fattura araba.
Il castello di
Federico II si raggiunge facilmente a piedi e domina Melfi sulla sommità della
collina. Da lì ci regala due inevitabili sguardi.
Davanti il
castello possente con le torri, il ponte in muratura, originariamente levatoio,
e il profondo e asciutto fossato. Un castello che va, però, percorso, in tutta la sua circonferenza.
E’ nella parte posteriore che si coglie, infatti, la suggestione della cinta
delle mura a picco sulla nuda collina.
L’altro
inevitabile sguardo: la visione sottostante della cittadina sui cui tetti si
impone il campanile della Cattedrale e più in alto, nella serata serena,
percorsa da un vento leggero, il bagliore della luna piena.
Il centro storico
di Melfi già alle 10 di sera è vuoto, se si esclude la grande piazza intorno al
municipio. Chiuse le bottegucce e i bar, poca la gente per le vie. La porta
Venosina con il torrione illuminato sapientemente dai lampioni evoca Tempo e
Storia. Scatto alcune foto con luna appresso con il rimpianto che rimarranno
soltanto ricordo.
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