di Gianni Quilici
Matt Black,
fotografo della Magnum, tra il 2014 e il 2017 ha percorso più di
80mila chilometri e 46 stati per fotografare le comunità americane con tassi di
povertà superiori al 20%. Questa è l’informazione del progetto, divenuta mostra
e libro “The geography of poverty”, e quella che vediamo è una delle foto
scelte tra le migliaia scattate.
Ed è una foto,
almeno così l’ho percepita, che non solo immediatamente piace, ma anche
sorprende. Mi sono chiesto perché e ho individuate due ragioni, tra loro,
intrinsecamente collegate.
Per un verso
l’iperrealismo del primissimo piano del tronco e della mano, reso più potente
dall’incisione dello scatto, che coglie le miriadi di dettagli presenti nei due
soggetti-oggetti rappresentati: le vene e le venuzze, i pulviscoli e le
irradiazioni, le pieghe e le linee, le
ombre e le luci, le sfumature di colori. Insomma, per dirla in poche parole, la bellezza raccolta
in un insieme infinitesimale di microcosmi umani e materiali.
Per un altro verso
la simbologia chiara, e nello stesso tempo indefinita e quindi aperta
all’immaginazione, della mano dell’uomo grande e antica posata sul palo di
legno nello sfondo di nuvole e cielo, di campi e di spazio.
Non una simbiosi,
ma un rapporto stretto tra l’umano e il naturale, dove l’umano è la mano che è,
fa, pensa, trasforma; e la natura è ciò che di più naturale essa produce dalla
terra e dal seme: l’albero e il legno, che possono diventare poi milioni di oggetti, ed anche
un semplice palo.
Ecco, ho pensato,
la forza semplice e immediata della foto è in sé nella sua forma e fattura, ed
è anche nel suo andare oltre lo sguardo immediato, perché richiama
inevitabilmente possibili simboli. Simboli che non hanno un nome, ne’ rimandano
a delle immagini precise. Sono i simboli che uno sguardo meticoloso può cogliere;
altrimenti rimangono piccole inconsapevoli suggestioni aperte.
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